In questo articolo proverò a raccontarvi come si realizza la violenza di gruppo, come e per quali motivi può nascere.
In un precedente intervento, abbiamo parlato di bullismo: quali sono le condotte in cui si concretizza e come difendersi da esso.
La violenza di gruppo, infatti, si attua principalmente attraverso i fenomeni di bullismo e mobbing, ovvero la condotta vessatoria attuata sul posto di lavoro.
Come detto, i due fenomeni si accomunano per le seguenti caratteristiche:
- La ripetitività nel tempo;
- La costanza delle condotte vessatorie;
- Le importanti conseguenze sulla vittima;
- L’asimmetria nel rapporto tra i soggetti coinvolti;
- La predominanza di una parte sull’altra.
Ma vediamo insieme, più nello specifico, come si generano le condotte violente nei gruppi.
Indice dei contenuti
La genesi della violenza di gruppo
Diversi studi e ricerche di criminologia si sono concentrati ad indagare la genesi dei comportamenti violenti nei gruppi.
Tutto parte sempre da un soggetto predominante sugli altri, che guida il gruppo.
Il soggetto aggressivo
Ancora una volta, tra le principali cause della nascita della violenza di gruppo, è l’educazione a farla da padrona.
Si, perché il modo in cui veniamo educati è una delle prime variabili che condizionano il nostro carattere ed i nostri comportamenti.
Le statistiche dimostrano che un soggetto aggressivo presenta sempre trascorsi particolari legati all’educazione impartita.
Nello specifico:
- Una educazione autoritaria. Questo modello insegna al figlio a sopraffare gli altri, comandarli, sfruttarli per proprio tornaconto personale: per sopravvivere è necessario sopraffare gli altri.
- Un modello educativo di trascuratezza: vissuti emotivi di assenza ed apatia rendono il ragazzo vulnerabile, il quale avrà bisogno di un sostegno esterno alla famiglia.
Il ragazzo, così, cercherà nel gruppo di pari un appoggio, anche se questo significa fare del male agli altri.
Aggregarsi ad un gruppo di amici devianti è tra le prime posizioni dei fattori di rischio dei comportamenti violenti.
- Una educazione violenta: i figli che subiscono questo tipo di educazione concepiscono questo come unico modello di relazione possibile con gli altri.
Una figura di riferimento che sostiene l’aggressività e la prevaricazione, che sostiene condotte prepotenti, è un grave rischio per la messa in atto di condotte aggressive nel ragazzo.
La responsabilità in un gruppo
Vediamo ora insieme cosa succede alla responsabilità in un gruppo violento.
Il capro espiatorio
Come già anticipato quando parlavamo di bullismo, nella violenza di gruppo si individua un soggetto che funge da capro espiatorio.
Si tratta di un soggetto, con particolari caratteristiche fisiche o psicologiche, che viene usato per sfogare le pressioni presenti in un gruppo.
Il gruppo può così mantenere il proprio equilibrio, sfogando all’esterno le problematiche.
Il soggetto-vittima individuato è di solito scelto tra i ragazzi più isolati, che non si conformano al gruppo ed alle sue regole.
Le teorie vittimologiche designano, infatti, alcuni soggetti che presentano un maggior rischio di subire aggressioni.
A scuola, sono i bambini soli, con passioni, attitudini o particolarità che li diversificano dagli altri.
Sul posto di lavoro, sono i dipendenti più chiusi, con tratti caratteriali particolari o abitudini bizzarre.
Il disimpegno morale
Alcuni studiosi autorevoli individuano dei meccanismi che vengono usati per giustificare le condotte violente, soprattutto nella violenza di gruppo. Vediamoli:
- Etichettamento della vittima: “è solo un cretino”, la vittima viene giudicata e dunque resa meritevole del comportamento subito;
- Deumanizzare la vittima, non facendola sentire meritevole né degna: “non vale niente, se l’è meritato”;
- Attribuzione della colpa alla vittima: “ha cominciato lui, se l’è cercata”;
- Distorsione delle conseguenze: “non gli ho mica rotto la testa”. La condotta violenta viene minimizzata;
- Giustificazione morale della condotta: “ha fatto bene a picchiarlo, tutti quelli come lui vanno tolti di mezzo”;
- Dislocamento da sé della responsabilità, tipico della violenza nei gruppi: “non c’ero solo io”;
- Diffusione della responsabilità: “eravamo tutti d’accordo”;
- Confronto vantaggioso: “non l’ho mica ucciso, l’ho solo spinto”.
I meccanismi elencati servono all’aggressore per diminuire la propria responsabilità per il fatto compiuto.
La propria coscienza viene neutralizzata, adottando strategie che deformano il senso di causa-effetto delle azioni violente.
Con l’adozione di tali strategie di autogiustificazione, la violazione di valori e norme è motivata e non più considerata sbagliata.
Spesso e volentieri il prevaricatore non si rende nemmeno conto di mettere in atto queste condotte!
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Il caso di Lorenzo
Lorenzo è iscritto alla classe terza di un Istituto Superiore di elettronica. È figlio unico, i genitori lo dipingono come un ragazzo a cui piace stare solo.
Spesso torna a casa da scuola con pagine dei quaderni scarabocchiate, con parolacce scritte e pagine del diario strappate.
La madre di Lorenzo ci riporta che il ragazzo non parla della propria giornata scolastica, evita l’argomento.
La classe di Lorenzo si sta preparando per una gita di alcuni giorni, ma lui non intende andare.
Capita che abbia la nausea quando rientra da scuola e che si chiuda per ore in camera.
Ultimamente, il suo rendimento scolastico non è dei migliori, Lorenzo non ha voglia di studiare ed è spesso distratto.
La mamma ci riferisce che il ragazzo ha un carattere piuttosto chiuso, ma che ha preso una nota per avere gridato contro un compagno.
L’insegnante di italiano riferisce ai genitori di Lorenzo che un gruppo di quattro ragazzi, durante la ricreazione, isolano, umiliano e offendono il ragazzo, ormai da settimane.
Richiamati i ragazzi, la famiglia è più tranquilla ma Lorenzo torna a casa sempre troppo stanco e arrabbiato.
Dopo cinque mesi Lorenzo lascia la scuola, in accordo con i genitori e si iscrive in altro Istituto scolastico.
Le pene però non sono finite: ha timore ad uscire di casa, soffre di insonnia, ha paura a frequentare i luoghi di ritrovo del proprio paese.
Per aiutarlo, la madre decide di recarsi presso le Autorità per riferire delle condotte abusanti dei quattro ragazzi, sospettando il perdurare di tali condotte sul figlio.
La Cassazione, con Sentenza, riconosce, negli atteggiamenti del gruppo di ragazzi, la violazione dell’art. 612 bis c.p.
La Corte individua gli atti di bullismo come atti persecutori e stalking, risolvendo una questione di giustizia molto rilevante.
Il ruolo degli adulti
Abbiamo già visto come e in quali casi è possibile fare causa al genitore che viola gli obblighi ed i doveri sanciti dal codice civile.
Anche nel caso della violenza di gruppo tra adolescenti è possibile configurare una responsabilità in capo agli adulti.
Secondo l’art. 2048 c.c. il tutore, insegnante o genitore che si prende cura del minore, risponde per i fatti illeciti da questo compiuti.
Dunque, non solo il genitore con il dovere di vigilanza ed educazione può essere responsabile, ma anche l’insegnante che non ha impedito il fatto.
L’adulto deve dimostrare di avere messo in atto tutte le possibili misure preventive di custodia e sorveglianza, anche al di fuori degli orari e dei luoghi di lezione.
E’ il Ministero dell’Istruzione a risponderne, rifacendosi poi, economicamente, sul dipendente statale presente nei momenti degli atti violenti.