Disabilità e scuola: l’esperienza di un educatore di sostegno

disabilità e scuola

Disabilità e scuola sono due parole delle quali oggi sentiamo parlare molto.

Tutti noi, infatti, abbiamo sentito parlare della figura dell’educatore di sostegno e della sua importanza nell’inclusione di bambini con disabilità.

Tuttavia, non tutti conoscono il significato delle sigle Pdf, Profilo Dinamico Funzionale, o Pei, il cosiddetto Piano Educativo Individualizzato.

Vediamo insieme il loro significato e l’iter da seguire per l’inserimento a scuola di vostro figlio.

Disabilità e scuola: l’iter da seguire

Intanto, precisiamo che il diritto all’istruzione e all’educazione delle persone con disabilità, sancito dalla Costituzione, è regolato dalla legge Quadro dell’Handicap: la legge 104 del 1992.

Il testo garantisce l’inserimento dei bambini disabili da 0 a 3 anni nell’asilo nido e il diritto all’istruzione per tutto il percorso scolastico e universitario.

L’integrazione scolastica, infatti, ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona disabile, per quanto riguarda l’apprendimento, la comunicazione, le relazioni e la socializzazione.

Prima di procedere con l’iscrizione a scuola, i genitori del bambino disabile devono recarsi presso la propria Asl di appartenenza e richiedere due documenti:

  • L’attestazione di “alunno in situazione di handicap”, redatta da uno specialista;
  • La diagnosi funzionale, ovvero il documento che contiene una diagnosi clinico-medica e una valutazione psicologica e sociale per individuare le potenzialità del soggetto.

Alla diagnosi funzionale fa seguito, nei primi mesi del nuovo ciclo di studi, un profilo dinamico-funzionale (Pdf) che indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive dell’alunno.

Il profilo, dunque, pone in rilievo:

  • Le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di disabilità e le possibilità di recupero;
  • Le capacità possedute che devono essere sostenute e sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona disabile.

Sulla base di ciò si procede alla stesura del Piano Educativo Individualizzato (Pei), redatto congiuntamente dagli operatori sanitari, dal personale insegnante curricolare e di sostegno della scuola.

Il ruolo dell’educatore di sostegno

Quando si parla di disabilità e scuola, il ruolo dell’educatore di sostegno è molto importante.

L’educatore lavora per recuperare e reinserire socialmente persone in difficoltà e in situazioni di disagio, che vivono per questo ai margini della società.

L’obiettivo finale, dunque, è il recupero delle potenzialità dell’allievo e il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia, collaborando con la famiglia e il contesto sociale.

Le funzioni dell’educatore sono:

  • Collaborazione alla stesura e aggiornamento del Piano Educativo Individualizzato e partecipazione a tutti i momenti di lavoro di équipe della scuola;
  • Programmazione, realizzazione e verifica di interventi quanto più integrati con quelli educativi e didattici dei docenti;
  • Supporto dell’alunno nelle sue difficoltà e promozione della sua autonomia, proponendo strategie per perseguire le finalità formative e di sviluppo complessivo della persona;
  • Spinta verso la socializzazione con gli altri alunni, mettendo in atto la cultura dell’inclusione;
  • Collaborazione con le famiglie e promozione di relazioni efficaci con esse.

Un ruolo quindi coordinato, di completamento rispetto a quello di docenti e di altri operatori scolastici, che richiede competenze specifiche e titoli adeguati.

Disabilità e scuola: l’esperienza di un educatore di sostegno

Oggi vogliamo proporvi il racconto di un’esperienza diretta, per farvi capire realmente l’importante ruolo dell’educatore di sostegno quando parliamo di disabilità e scuola,

Milena Gollini, Educatrice di Sostegno a Cento (Fe), ci spiega il suo lavoro educativo con un bambino di nome Mattia che ha accompagnato e sostenuto nel suo percorso di crescita.

Mattia è un ragazzo affetto da autismo e da un grave ritardo mentale.
Il suo ingresso alla scuola primaria non è stato facile: la sua condizione non gli permetteva di avere un’autonomia sociale e personale consona all’ambiente scolastico che frequentava.
Le insegnanti, che tendono ad avere un approccio prettamente didattico anche nei confronti della disabilità, richiedevano la sua presenza in classe.
Il bisogno principale di Mattia, però, era quello di trovare un ambiente sereno e sicuro, che gli permettesse di affrontare la giornata nella piena tranquillità.
Diversamente avrebbe potuto irrompere in comportamenti-problema di difficile gestione.
Ciò gli avrebbe permesso anche di acquisire un’autonomia, rapportata alle sue possibilità, sufficientemente accettabile dal contesto che si trovava a frequentare ogni giorno.
La famiglia, inizialmente, non ha facilitato questo compito.
A causa della non accettazione della condizione del proprio figlio, dell’approccio assistenziale che continuavano ad avere  e dello scarso interesse nell’impegnarsi a creare in lui determinate capacità.
Mattia veniva imboccato, utilizzava il pannolino e veniva vestito e spogliato, non esprimeva bisogni o preferenze, non accettava nessun tipo di negazione o di richiesta da parte dell’adulto.
Il suo tempo lo passava guardando esclusivamente cartoni animati (sempre gli stessi) e ascoltando musica, senza accettare che venisse interrotta.
I coetanei per lui erano oggetti da guardare dall’angolo più lontano del giardino, gli adulti erano nemici da affrontare con la forza.

Le basi per il cambiamento

L’unica cosa da fare era osservarlo attentamente in ogni istante della sua quotidianità scolastica, leggere la sua comunicazione non verbale e non conscia, per poter cogliere messaggi non espliciti, ma rilevanti.
In questo senso, ho esercitato quotidianamente un ruolo di mediazione.
Mediazione tra il suo fastidio per il rumore in classe e le richieste della scuola, tra le risorse a mia disposizione e i suoi bisogni, tra la sua scarsa collaborazione e gli obiettivi che mi ero imposta.
Ho dovuto trovare strategie sempre nuove per permettergli di crescere nella sua diversità, stimolandolo e attivandolo costantemente, nonostante le sue capacità e i suoi tempi di attenzione.
Ho cercato di creare un ambiente accogliente e sicuro, di entrare nel suo mondo senza pretendere che lui entrasse nel nostro, nelle regole imposte dalla società e nelle necessità dettate dalla scuola.

Gli obiettivi raggiunti

In 8 anni, tanta testardaggine e una pazienza infinita, sono riuscita ad abbattere i muri familiari, entrare in contatto con la mamma e ottenere una collaborazione efficace e una totale fiducia.
Mattia ha imparato gradualmente a mangiare da solo.
Inizialmente non riusciva nemmeno a trovare la sua bocca o tenere in mano la forchetta, ora non versa nemmeno una goccia di brodo dal cucchiaio.
Mattia ora va autonomamente in bagno ed esegue tutti i procedimenti da solo, compresa l’igiene di mani e viso.
Ha imparato ad accettare la presenza di coetanei o adulti, prima all’interno dei suoi spazi e a piccole dosi, e ora corre con loro in giardino e li prende per mano di sua iniziativa.
Inoltre, ti abbraccia se ha paura, o si porta le mani alle orecchie se qualcosa lo infastidisce, senza creare più panico.
Non si butta a terra, non sbatte le mani forte sulle gambe, non ti graffia il collo e non ti strappa i capelli.
Mattia ama ancora la musica, ma se la spegni sa che arriverà una richiesta da parte tua e si alza, pronto ad esaudirla.

Ecco, questo per farvi capire l’importante ruolo che esercita l’educatore di sostegno sulla crescita e lo sviluppo di un bambino con disabilità.

Grazie, Milena per aver condiviso con noi la tua esperienza 😉

E grazie a tutti gli Educatori di Sostegno che ricoprono questo ruolo di grande responsabilità.

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