Autonomia e disabilità: le parole di una Educatrice di Sostegno

autonomia e disabilità

Quando parliamo di autonomia e disabilità ci stiamo riferendo a due concetti che un educatore di sostegno deve conoscere a fondo e padroneggiare.

Infatti, nel lavoro educativo con la disabilità bisogna sempre tenere presente il concetto di autonomia e quello di inclusione.

Oggi  parliamo dell’importanza dell’acquisizione dell’autonomia da parte di un bambino con disabilità.

Il tutto con la testimonianza diretta di una Educatrice di Sostegno, Noemi Ferranti, che lavora da alcuni anni a stretto contatto con la disabilità.

La sua esperienza come Educatrice di Sostegno

L’esperienza di lavoro nelle scuole come educatore di sostegno mi ha dato la possibilità di confrontarmi con situazioni diverse e particolari. Ogni bambino con cui ci ritroviamo a lavorare ha la propria storia, il proprio vissuto e una patologia con cui confrontarsi, di fronte alla quale coloro che si trovano nella mia posizione devono riuscire ad improntare un percorso di crescita.

Percorso non solo prettamente didattico e scolastico, ma anche per quanto riguarda il livello dell’autonomia personale.

Durante questi 2 anni di lavoro ho avuto la possibilità di confrontarmi con il Disturbo dello Spettro Autistico. Un disturbo dello sviluppo che comporta un deficit più o meno grave nell’area della comunicazione e interazione sociale, nella creazione di legami e nell’area degli interessi e delle attività”.

Il lavoro educativo

Nella mia situazione specifica mi sono trovata a lavorare con una bambina della scuola primaria che, due anni fa, mi colpì fin da subito per la sua particolarità.

Nonostante la sua certificazione denotasse un livello grave del disturbo, la bambina presentava buoni aspetti, seppur comunque limitati, di comunicazione e interazione con gli adulti di riferimento e alcuni pari in particolare, oltre ad uno sviluppo alto dell’ autonomia personale e fisica.

Il tutto è stato possibile grazie ad un grande lavoro da parte dei terapeuti, degli educatori e della famiglia, che tuttora proseguono questo percorso educativo.

Il lavoro integrato tra professionisti con diverse competenze è, infatti, fondamentale per elaborare un intervento globale verso l’autonomia e l’inclusione.

Il lavoro quotidiano

Fin dai primi anni, dopo il riscontro della patologia, l’obiettivo è stato quello di rendere la bambina capace di muoversi attivamente negli ambienti di casa.

Per questo motivo, ci ha spiegato l’Educatrice, sono state applicate metodologie per consentire alla bambina di poter apprendere le funzioni degli oggetti e dei luoghi, la routine quotidiana, le azioni da compiere in base alla situazione in cui si trovava.

Ad esempio, l’utilizzo di disegni raffiguranti “storie sociali” come la routine delle azioni da svolgere in bagno, lavarsi i denti, lavarsi le mani, usare il wc e delle azioni a tavola ovvero apparecchiare, usare la forchetta, il bicchiere e il tovagliolo.

Queste hanno consentito alla bambina di potersi gestire autonomamente in molte cose, senza il bisogno perenne dell’adulto, acquisendo mano a mano maggior autonomia; anche la camera da letto è stata adattata tramite l’utilizzo di immagini per classificare i giochi in modo che lei riuscisse, senza bisogno di aiuto, a cercare un gioco da lei desiderato in base alla classificazione dentro i cassettoni.

Il lavoro a scuola

Nell’ambito scolastico si è lavorato sull’autonomia nelle azioni che si ripetono ogni giorno, ad esempio:

svuotare lo zaino, preparare il banco per le attività con il materiale necessario, preparare la merenda e durante le ore di lezione.

Si è cercato al meglio, ci ha riferito l’Educatrice, di far comprendere alla bambina il fatto di dover rimanere seduta al proprio banco e alzarsi solo in determinati momenti o per richiesta dell’insegnante, tutto tramite comunicazione visiva (disegno o immagini), seguita dal verbale.

Il “visivo” è stata la rampa di lancio per agganciare la comunicazione con la bambina, essendo essa capace di poter trasmettere un messaggio anche in situazioni frustranti, in cui l’ascolto del verbale si annulla.

La riflessione

Come conferma l’Educatrice, i miglioramenti raggiunti dalla bambina denotano l’importanza di non porsi un muro di fronte a ciò che appare impossibile da compiere.

Ciò soprattutto se si pensa che oggi la bambina è arrivata a parlare, leggere e scrivere, quando al momento della diagnosi sembrava non esserci speranza su quegli aspetti.

E’, quindi, fondamentale ricercare il fondo del problema, che sia esso la comunicazione o la difficoltà del compito, e cercare di risolverlo utilizzando gli strumenti di cui si dispone.

Spesso la praticità, il gioco e l’immagine visiva sono fonti di apertura verso concetti nuovi e apprendimenti che diventano col tempo naturali e autonomi.

L’occhio dell’educatore diventa quindi lo strumento per ricercare la strategia giusta in un determinato momento, che sia esso positivo o negativo. Trovarsi di fronte a casi del genere, in cui il lavoro è supportato da un team disponibile a indirizzare verso determinati percorsi educativi, aiuta a sviluppare strategie alternative per consentire al bambino di viversi l’esperienza scolastica al meglio e all’educatore di poter raggiungere determinati obiettivi di lavoro.

L’impegno e la determinazione degli Educatori di Sostegno sono fondamentali per raggiungere risultati e cambiamenti.

Ringraziamo Noemi per aver condiviso la sua esperienza con noi 😉

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