Abbiamo parlato a lungo di disabilità, dei concetti di integrazione e autonomia: oggi parliamo, invece, di disabilità e famiglia.
La disabilità all’interno di una famiglia è una presenza che va a toccarne tutti i componenti, tutte le dinamiche e il loro funzionamento.
E’ un evento che irrompe violentemente nella vita di una famiglia, modificandone, dunque, gli assetti mentali, emotivi e relazionali.
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Disabilità e famiglia
La disabilità è un terremoto emotivo che cambia per sempre la vita dei genitori.
Dall’iniziale negazione della realtà, all’accettazione della disabilità, la strada è lunga e faticosa e non sempre si giunge alla reale accettazione.
Molti genitori, infatti, rimangono nella rassegnazione del“dobbiamo conviverci”.
Inevitabilmente, la nascita di un figlio disabile pone la famiglia di fronte alla necessità di riorganizzarsi e di modificare i propri equilibri.
La famiglia è un sistema in evoluzione: affronta perciò compiti evolutivi che richiedono un più o meno vasto processo di riorganizzazione.
Le famiglie differiscono fra loro per le modalità con cui affrontano tali compiti evolutivi.
Il modo in cui una famiglia reagisce a circostanze difficili risulta dall’interazione tra diversi fattori:
- Le dinamiche familiari;
- La capacità di effettuare una valutazione corretta del problema;
- Le strategie disponibili per affrontarlo, le risorse materiali e i supporti sociali forniti dall’esterno.
Il momento della comunicazione della diagnosi
Un punto cardinale riguarda le modalità con cui la diagnosi viene comunicata.
La chiarezza e la gradualità delle informazioni, sia nel contenuto che nella modalità di presentazione.
Essi sembrano essere elementi importanti che non possono naturalmente impedire la sofferenza, ma possono accompagnare la famiglia verso un cammino fatto di speranza e un naturale processo di adattamento, stimolando reazioni di tipo costruttivo, attivo, anziché di rassegnazione.
La diagnosi può provocare nei genitori un forte trauma, legato alla discrepanza tra il bambino “ideale” che hanno costruito come oggetto d’amore durante l’attesa e il bambino “imperfetto” che la realtà presenta loro.
Il momento in cui viene data la diagnosi ed il successivo periodo di adattamento della famiglia restano determinanti per avviare una relazione tra il bambino, la famiglia e gli operatori che forniranno un sostegno terapeutico.
La testimonianza di una mamma
Oggi vi proponiamo la sincera testimonianza di Alba, mamma di Noemi, una bambina affetta da Autismo che frequenta la seconda elementare.
Come tutto ebbe inizio
Tutto è iniziato con un abbraccio, di una neuropsichiatra che stimo tantissimo, e con la frase “la piccola e’nello spettro dell autismo”. Uscendo dalla stanza ho pianto, di quei pianti che partono dalla pancia attraversano il cuore e fermano il battito, ma che alla fine ti danno un senso di liberazione. In quel momento non sapevo nulla della parola Autismo: non ne conoscevo il significato e cosa avrebbe comportato. Poi mi sono detta che l’autismo era solo una parte della mia bambina e che mi sarei concentrata su ciò che c’era e non su ciò che non c’era e che da lì sarei partita. Mi resi conto che dovevo affidarmi, e fidarmi, a persone specializzate che mi avrebbero insegnato a vedere. E così feci: io volevo fare la mamma, e non la terapista di mia figlia.
L’inizio del percorso
Cosi è iniziato il percorso. Non dico che è stato semplice, anzi, è stato tortuoso e doloroso ma sostenuta e indirizzata da professionisti siamo riusciti a far partire tutto. Ogni giorno bisogna fare un bilancio: le cose per cui vale la pena investire tempo e fatica e quelle, invece, per le quali è inutile lottare. Noemi mi ha insegnato a pensare prima di agire, c’è sempre bisogno di un pensiero, per proteggersi e per investire il tempo nel modo giusto. Ho, quindi, deciso di condividere la mia esperienza con le persone che frequentavo, e all’asilo ho trovato tante braccia aperte.
L’importanza della condivisione
Ho scelto di parlare, di condividere, sono stata ascoltata e,a mia volta, ho ascoltato. Tutti noi abbiamo delle difficoltà, e per ciascuno di noi sembrano enormi e insormontabili. Con questi confronti ho potuto ridimensionare il mio dolore: un dolore condiviso è un dolore dimezzato e questo vale anche per la gioia, una gioia condivisa è una gioia moltiplicata. In fondo da soli non si può fare niente. Come si dice, per educare un bambino ci vuole un intero villaggio ed proprio così: amici, amiche, educatrici, insegnanti, familiari, vicini di casa.
Un progetto per la socializzazione
In quel periodo abbiamo pensato ad un progetto, io e una delle educatrice di Noemi, per favorire l’integrazione e la socializzazione. Noi possiamo parlare, spiegare, confrontarci, ma solo vivendoci tutti i giorni possiamo sconfiggere le barriere che ci separano: solo ciò che non si vive e non si conosce ci fa paura. Così abbiamo pensato di creare dei momenti di gioco a casa con i compagni della classe, strutturati con l’aiuto e il sostegno dell’educatrice. Il tutti per dare la possibilità ai bimbi che vengono a casa di giocare con Noemi con fluidità e naturalezza, mentre per lei capire come fare per giocare ed interagire al meglio. Ognuno rispetta i tempi dell altro. Questo progetto è un vero successo, i bimbi fanno a gara per venire e Noemi è felicissima di condividere dei momenti unici con i suoi amici.
Per una vita possibile
Ad oggi posso dire che una vita è possibile, anzi ci vuole 😉 La fatica è grande, ma le soddisfazioni sono tantissime. Alla diagnosi ci dissero che Noemi probabilmente non avrebbe parlato; oggi, invece, in seconda elementare inizia a scrivere e leggere. Siamo una famiglia come tante altre, con alti e bassi, e con le nostre difficoltà, ma siamo uniti. E grazie anche a mio marito che, nonostante per una coppia reagire a tutto questo è difficilissimo e i tempi di risposta al dolore sono diversissimi, siamo riusciti insieme a cambiare sguardi e direzioni.
Io sono convinta che l’amore abbatte tutti i muri e tanto amore concentrato è un esplosione miracolosa!
Un Grazie sincero ad Alba per aver condiviso con noi la sua esperienza e le sue parole 😉
Quando si parla di disabilità e famiglia, unione e amore sono le parole chiave.