Adozione internazionale: linee guida

Adozione internazionale

Il sostegno di un esperto pedagogista, specializzato in dinamiche relazionali e di accompagnamento dell’adulto nel mondo dei bambini, si rivela importante, in tutti i casi descritti nei precedenti articoli che trattano dinamiche che coinvolgono minori.

Abbiamo già trattato ampiamente le tematiche della adozione così definita “pura”, nei suoi requisiti e nelle prassi, ma vediamo qui cosa si intende per adozione internazionale e come essa viene disciplinata nel nostro ordinamento.

I requisiti per adottare un minore straniero

I requisiti per l’adozione internazionale sono gli stessi che per adottare un bambino in Italia, e sono previsti dall’art. 6 della Legge n. 184 del 1983, come successivamente modificata dalla Legge 149/2001. Nello specifico, tra essi rientrano:

  • Essere una coppia sposata e, laddove il matrimonio sia stato contratto da meno di tre anni, è necessario dimostrare l’esistenza di una convivenza per un periodo almeno di 3 anni;
  • Una differenza minima tra genitore adottante e bambino di 18 anni;
  • Una differenza massima di 45 anni per uno dei coniugi, e di 55 anni per l’altro;
  • Dimostrare che non sussiste nessuno stato di separazione tra i due coniugi.

Per procedere è necessario presentare una dichiarazione di disponibilità all’adozione presso la Cancelleria del Tribunale dei Minori territorialmente competente, seguendo le stesse linee guida previste per l’adozione nazionale. Questi i documenti da presentare:

  • Certificato di nascita dei genitori
  • Stato di famiglia
  • Certificato di buona salute psico-fisica
  • Dichiarazione economica e situazione lavorativa
  • Casellario giudiziale dei genitori adottivi
  • Dichiarazione di attestazione che tra la coppia adottante non sussiste separazione

Tra la documentazione necessaria ricordiamo la dichiarazione dei genitori naturali del minore, che preveda l’assenso all’adozione, o comunque è fondamentale che il bambino si trovi in stato di abbandono.

Qual è l’iter previsto

Entro 4 mesi dalla presentazione della dichiarazione di disponibilità, il Tribunale dei Minori può incaricare i Servizi Sociali di sorvegliare i futuri genitori adottivi e verificare la presenza di tutti i requisiti della coppia: oltre a quelli previsti dalla legge viene valutata anche la capacità genitoriale.

I Servizi, entro due mesi dall’incarico loro attribuito, redigono una relazione conclusiva che deve essere presentata al Tribunale e, in caso positivo della prova, quest’ultimo può emettere decreto di idoneità, il quale viene trasmesso ad un organo competente: la Commissione per le Adozioni Internazionali.

Tale organo opera presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ponendosi come garante della Convenzione de L’Aja del 1993, principale strumento per difendere i diritti dei bambini e dei soggetti adottanti e per prevenire e sconfiggere eventuali traffici di minori.

È proprio a seguito dell’adesione italiana alla Convenzione che si definiscono le procedure di adozione internazionale, regolate infine dalla già citata Legge 4 maggio 1983, n. 184.

La coppia, in possesso del decreto di idoneità, ha un massimo di tempo di un anno per iniziare la procedura di adozione, pena la nullità della domanda. La richiesta dei futuri genitori deve essere effettuata presso un ente autorizzato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali.

Per chi fosse interessato, sul sito Internet della Commissione Adozioni è presente l’albo degli enti autorizzati alle adozioni internazionali, per ognuno dei quali vengono indicate le Regioni italiane di riferimento ed i Paesi in cui operano all’estero.

Una volta individuato l’ente, si effettua la firma dell’incarico che consta di un vero e proprio contratto e la coppia viene a conoscenza dei propri diritti e doveri e dei servizi dell’ente, facendo così partire il periodo d’attesa che può variare nel periodo di tempo, da Stato a Stato.

L’ente autorizzato, una volta ricevuta la proposta, in caso di parere positivo, invita i genitori adottivi del minore ad incontrare il piccolo presso il proprio Paese d’origine, trasmettendo la propria decisione alla Commissione per le Adozioni Internazionali in Italia.

In alcuni Paesi vi è l’obbligo per la coppia di genitori di trattenersi per un periodo di tempo variabile, nel Paese di provenienza del minore.

In alcuni Stati è necessario convivere con i figli fino a due mesi prima di poter rientrare in Italia, in altri sono necessari più viaggi a distanza di mesi, in altri ancora è sufficiente una settimana di permanenza all’estero.

Al termine delle procedure sopradescritte, la Commissione autorizza l’ingresso e la permanenza del minore adottato in Italia, dopo aver certificato che l’adozione sia conforme alle disposizioni della Convenzione de L’Aja.

La procedura si conclude, a questo punto, al termine dell’eventuale periodo di affidamento preadottivo, tramite l’ordine, da parte del Tribunale per i Minorenni, di trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile, determinando per il minore l’acquisizione della cittadinanza italiana.

L’importanza di rispettare le linee guida descritte è chiara: l’abbinamento con il bambino adottabile è deciso dall’Autorità straniera, l’adozione internazionale è la presa in cura di un bambino straniero fatta nel suo Paese, davanti alle autorità e alle leggi che vi operano.

Perché una simile adozione possa essere efficace in Italia è necessario seguire tutte le procedure particolari previste, l’inosservanza delle quali può non solo annullare tutti gli sforzi fatti ma, in certi casi, costituire reato, soprattutto nel caso in cui non ci si rivolta ad enti autorizzati.

A differenza dell’adozione nazionale che risulta gratuita, quella internazionale può comportare costi molto elevati, ciò è dovuto alla necessità di uno o più viaggi all’estero o la permanenza in loco, così come dell’intervento di intermediari e traduttori per le pratiche.

L’aspetto umano: buone prassi

Laddove non previsto dalle autorità competenti, sarebbe opportuno che i genitori adottivi rimanessero per un po’ di tempo nel Paese in cui il bambino è nato, per permettere al piccolo di fare la loro conoscenza ed abituarsi alla loro presenza.

Il ritrovarsi da soli in un paese straniero, di cui il bambino sa poco o nulla e dove la gente parla una lingua sconosciuta può alzare il livello di tensione e le difficoltà di adattamento.

Se si adotta un bambino molto piccolo, è bene tenere conto che già prima dell’anno di età il piccolo è in grado di riconoscere i volti familiari da quelli sconosciuti, è normale dunque che possa reagire con emozioni di paura, rabbia e con il pianto di fronte a figure estranee che si presentano nella sua vita.

È bene prendersi un po’ di tempo per informarsi bene in merito alle abitudini del bambino, i suoi orari, i gusti alimentari, il suo stato di salute, i suoi genitori biologici, per metterlo a proprio agio una volta tornati in Italia.

Quando si adotta un bambino straniero, qualsiasi sia la sua età, le differenze linguistiche possono essere un ostacolo: il minore potrebbe comprendere ciò che i genitori dicono ma non sapersi esprimere, oppure potrebbe avere bisogno di tempo per imparare a parlare l’italiano.

Ciò si rivela importante anche per i propri contatti sociali e le relazioni che dovrà sviluppare a scuola, con i compagni e le maestre. Solo un clima di accettazione e serenità può permettergli di sentirsi al sicuro permettendogli di integrarsi nella nuova situazione.

È bene sapere che grazie all’affetto ed alle attenzioni riservategli, il bambino riuscirà ad ambientarsi meglio ed abituarsi al nuovo ambiente in cui è stato inserito e ad interagire con le diverse figure di riferimento e di accudimento che si presenteranno a lui.

Per rendere più facili i primi approcci con il piccolo può essere utile conoscere alcune frasi semplici nella sua lingua d’origine, dandogli così la sensazione di poter esser capito sui suoi bisogni fondamentali.

Per i futuri genitori adottivi è sempre consigliato affidarsi a personale esperto che possa, durante tutto il percorso di prova e di attesa, affiancarli,  rispondendo a dubbi e bisogni, ma anche, nel momento di inserimento del minore nella famiglia, suggerendo buone pratiche per migliorare la capacità genitoriale.

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