Paul Watzlawick, psicologo e filosofo austriaco, naturalizzato americano, ci ha insegnato importanti concetti legati alla comunicazione.
“Non si può non comunicare” è uno dei principali assunti dello studioso ed è così: con qualsiasi atteggiamento si ha una comunicazione!
Anche il silenzio rappresenta una forma di interazione (non verbale), facendo riferimento ad un’arma importante nella gestione dei conflitti: l’indifferenza.
In questo articolo vediamo le differenze tra la comunicazione non verbale e verbale e la loro importanza nelle interazioni tra le persone.
Indice dei contenuti
Il senso di ciò che diciamo
Quello che abbiamo comunicato è quello che l’altro ha capito.
Ma cosa significa? Vi ricordate l’articolo sulla comunicazione funzionale?
Abbiamo detto che nella prevenzione del conflitto intrafamiliare è necessario lavorare alle modalità di relazione ed interazione tra i familiari, applicando le tecniche della comunicazione funzionale.
Il messaggio che emettiamo verso un soggetto destinatario viene da questo recepito secondo la propria interpretazione di senso.
E questa interpretazione può non corrispondere al significato originario che noi abbiamo dato al messaggio comunicato.
Qui si inseriscono i giudizi e le critiche percepite dalle persone persone nel comunicare con gli altri.
Può succedere che comunicando una nostra opinione, benché neutrale e non giudicante secondo il nostro parere, il nostro interlocutore possa recepirla come un’offesa nei suoi confronti.
Questo perché chi parla con noi interpreta e filtra secondo le proprie emozioni ed esperienze le nostre parole.
Lo stesso vale per gli apprezzamenti e i complimenti, per fortuna! 😉
Ognuno di noi valuta le parole degli altri secondo un proprio metro di giudizio.
Disguidi e incomprensioni emergono a causa di un uso scorretto della comunicazione tra le persone.
Ma vediamo come comunicazione non verbale e verbale influiscono in tal senso.
La comunicazione non verbale e verbale a confronto
Una interazione è influenzata dal ruolo tra i soggetti coinvolti e dal contesto.
In un contesto lavorativo si comunica in un determinato modo, a scuola i ragazzi comunicano diversamente da come comunicano in casa con la propria famiglia
Vediamo come anche il ruolo è importante: i bambini comunicano diversamente con la mamma e con la maestra, con i fratelli o con i compagni.
Questo perché una comunicazione è formata da:
- La parte cognitiva: viene elaborato il pensiero da trasmettere ad un interlocutore;
- La parte emotiva e affettiva: il sentire dentro del soggetto comunicatore, il proprio stato d’animo, che inevitabilmente cambia a seconda di chi abbiamo di fronte;
- Una parte comportamentale: l’agire verso l’altro, il comportamento, anche non verbale, che teniamo nei confronti del nostro interlocutore.
Comunicazione non verbale e verbale qui si incrociano.
Siamo state, di recente, presso una scuola superiore territoriale a parlare di criminologia.
Nei giorni precedenti avevo preparato una presentazione da mostrare agli studenti, con testo, immagini e grafici.
La mia comunicazione non verbale e verbale si è mossa, verso i miei interlocutori in diverse direzioni, al fine di trasmettere al meglio le mie informazioni e renderle più efficaci.
Essa è stata:
- Verbale, nella spiegazione dei concetti;
- Non verbale, attraverso alcune immagini (della scena del crimine 😉 ) che hanno stimolato l’emotività dei ragazzi.
La comunicazione per immagini stimola una reazione di comportamento, attraverso foto accattivanti, e rende il messaggio più efficace e memorizzabile.
Comunicazione non verbale e intenzionalità
Un’altra differenza fondamentale tra la comunicazione non verbale e verbale è l’intenzione di comunicare qualcosa.
Infatti, la comunicazione può essere involontaria, inconscia, non intenzionale.
Nello specifico, con il canale non verbale è possibile trasmettere significati ed emozioni ad un ricevente, senza verbalizzare alcun messaggio.
Attraverso un sorriso si può comunicare complicità, con un sopracciglio elevato perplessità, disgusto arricciando il naso e così via.
Ma vediamo insieme quali sono le parti di una comunicazione.
Solo il 7% della comunicazione è formata dalle parole dette; il 38% è formato dal modo di dire le cose.
E la fetta più imponente, il 55%, riguarda il non verbale (puro): la posizione del corpo rispetto al nostro interlocutore, le espressioni facciali.
Le parti di una comunicazione
La comunicazione verbale avviene attraverso l’uso del linguaggio, sia in forma scritta che orale e dipende da precise regole sintattiche e grammaticali.
La prosodia è la parte della linguistica che studia l’intonazione, la durata e l’accento nel linguaggio parlato.
Si tratta dunque di una parte abbastanza rigida e fissa che caratterizza un soggetto.
Il paraverbale riguarda la voce: ne comprende il tono ed il ritmo. Ma anche le pause e altre espressioni sonore come lo schiarirsi la voce.
Questa rappresenta una parte variabile e che cambia a seconda del nostro stato d’animo e di ciò che vogliamo comunicare.
La tristezza, ad esempio, comporta un tono di voce basso ed un ritmo piuttosto lento.
A differenza, la gioia viene espressa attraverso un timbro di voce più elevato, un verbale più fluente ed un ritmo più sostenuto.
La comunicazione non verbale (pura) riguarda le mimiche facciali, gli sguardi, i gesti, la distanza, la postura tra noi ed il nostro interlocutore.
Tutti questi sono aspetti che rivelano moltissime informazioni sia sulla relazione tra due interlocutori, sui loro ruoli e sulle loro emozioni esperite in quel momento di incontro e confronto.
La cinesica studia le posture.
Come stiamo seduti su una sedia durante un colloquio di lavoro può influenzare il nostro selezionatore.
La prossemica è la disciplina che studia lo spazio e le distanze tra due persone che stanno comunicando, che si trovano in una interazione, a livello di comunicazione non verbale e verbale.
La distanza tra le persone racconta i rapporti ed i ruoli tra i comunicatori. Osservando possiamo capire se due persone mantengono una distanza di intimità o più formale.
La comunicazione non verbale e verbale sono entrambe guidate dall’emozione. Vediamo in che senso.
Il ruolo delle emozioni
Le emozioni sono stati di attivazione che coinvolgono l’organismo e influenzano il modo in cui noi elaboriamo le informazioni guidandoci nell’attribuire i significati a tutto ciò che ci succede.
Partendo da questa definizione, un po’ complessa, cerchiamo di capire insieme come si concretizza un’emozione.
- Prima fase: il soggetto, in risposta ad un stimolo visivo o uditivo, ha un’attivazione emotiva;
- Seconda fase: il segnale ricevuto viene dal soggetto classificato, ad esempio come pauroso, di gioia, disgustoso, di tristezza;
- Terza fase: si ha la risposta psicofisica allo stimolo.
E’ lo studioso Paul Ekman che teorizza il metodo definito FACS (Facial Acting Coding System).
Questo metodo studia il movimento di singole unità muscolari del viso e riconduce ciascuno di essi ad un codice, il quale viene correlato ad una precisa emozione.
Ad esempio: un muscolo frontale si contrae e permette il movimento di elevazione del sopracciglio, nella sua parte esterna, che codifichiamo con il numero 2.
Questo movimento 2 è decodificato con l’emozione di dubbio.
Ecco che quando eleviamo la parte esterna di un sopracciglio ci mostriamo dubbiosi.
E così via.
Comunicazione non verbale e verbale: la rabbia
Di che emozione si tratta?
Siamo in grado di identificare questa espressione e dunque l’emozione che ne sta alla base?
Si, attraverso il metodo Ekman di analisi del comportamento non verbale!
Cosa succede durante l’attivazione fisiologica nella rabbia?
Abbiamo visto che la terza fase di elaborazione di un’emozione è la risposta fisiologica ad uno stimolo.
L’attivazione in risposta ad uno stimolo che fa provare rabbia, comporta:
- Aumento della pressione sanguigna;
- Tachicardia;
- Ipersudorazione;
- Tensione di vene sulla fronte e sul collo;
- Arrossamento del viso.
Tra gli indicatori paraverbali, ad esempio, troviamo aumento del tono di voce e eloquio più veloce.
Tra gli indicatori non verbali troviamo:
- Gesticolare più frequente;
- Corpo in avanti, con petto in fuori e spalle indietro;
- Mani ad artiglio, chiuse a pugno, dita puntate in alto o indice alzato;
- Braccia verso l’alto.
Tutti i segnali non verbali di rabbia sono prodromici di un acting-out violento, ovvero il cosiddetto passaggio all’azione.
Saperli riconoscere in una conversazione con un soggetto aggressivo è fondamentale per poter prevenire un attacco di violenza fisica.
Abbiamo già parlato della gestione della rabbia nei bambini.
Ma quali sono le funzioni della rabbia?
Funzioni positive:
- Aumenta l’energia, l’intensità alla base della determinazione;
- Aumenta il senso di potere per l’autostima;
- Riduce il sentirsi vulnerabile;
- Attutisce l’insicurezza e la vulnerabilità percepita;
- Stabilisce dominanza in una interazione.
Funzioni negative:
- Risposta alla frustrazione;
- Necessità, bisogno che spinge alla rabbia;
- Esaltazione di principi morali:
- Un ostacolo da eliminare per uno scopo;
- Un rifiuto, una ferita.
Per gestire la rabbia è necessario il suo precoce riconoscimento attraverso i segnali che anticipano un’esplosione al fine di prendere misure preventive ed evitare la escalation emotiva.