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L’esperta risponde

  • Sostegno e formazione contro la violenza domestica. Cosa fare

    violenza domestica cosa fare

    Abbiamo già parlato della violenza domestica e di tutte le forme e fasi in cui può concretizzarsi, soprattutto nei casi in cui a subire è una donna.

    Parlando di violenza assistita, abbiamo poi ulteriormente spiegato la violenza domestica, cosa fare per difendersi e quali sono le conseguenze sui figli.

    Tante forme di violenza che possono riguardare chiunque all’interno del nucleo famigliare: padri, madri, figli, nonni.

    Ma le statistiche che i ricercatori ci presentano, evidenziano un dato sconcertante.

    Sono le donne e i bambini a rappresentare il numero maggiore di vittime, costituendo la violenza domestica una vera e propria violenza di genere.

    Bambini e donne sono infatti tutelati da diverse normative, nazionali ed internazionali, quali soggetti deboli, che necessitano di maggiore protezione.

    Vediamo subito di che cosa sto parlando.

    La violenza di genere

    Ricorrono di frequente immagini di donne dei Paesi orientali che non possono frequentare la scuola, né parlare ad estranei, né guidare, né mostrarsi in pubblico.

    Per ragioni legate ad una religione molto rigida, vi sono Paesi che mutilano le donne, sformano loro i piedi, le vendono per contrarre matrimonio, le obbligano a prostituirsi.

    Ebbene, anche in Occidente, proprio qui vicino a noi, nella Nazione affianco alla nostra o in casa dei nostri vicini, si verificano quotidianamente violenze sulle donne.

    Ma, a differenza delle culture orientali, le ragioni delle nostre violenze si basano sui pregiudizi, sui valori educativi sbagliati, esperienze di violenza assistita e disturbi psicologici.

    Se immaginiamo di subire atti di violenza domestica, cosa fare per difenderci ci salta subito in mente: denunciare, reagire, fare qualcosa.

    Ma non è così facile! Probabilmente non riusciremmo a chiedere aiuto. Per diversi motivi.

    Studi dimostrano che dietro a uomini maltrattanti, probabilmente con tratti psicologici narcisistici, ci sono donne che, talvolta, mostrano forme di dipendenza affettiva.

    Un po’ di storia

    Ricorreva domenica 25 novembre, la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

    Tale data venne stabilita nel 1999, durante l’Assemblea Generale dell’ONU, in riferimento ai fatti relativi all’”omicidio delle farfalle”, avvenuto nel 1960.

    Tale episodio fa riferimento all’uccisione di tre donne che, durante il regime dittatoriale in Repubblica Dominicana, si recarono a trovare i loro mariti in prigione, poiché ribelli.

    Le donne vennero avvicinate dalle Autorità, portate in un vicino campo di canna da zucchero, picchiate a morte e strangolate.

    È nel 1980, durante il primo incontro internazionale femminista in Colombia, che tale evento viene sancito come ricorrenza.

    Definizioni e statistiche

    La violenza di genere è definita come una violenza perpetrata dall’uomo o dalla donna sull’altro sesso, che per ragioni culturali, valoriali ed educativi ha pregiudizi sulla vittima e su di essa si impone.

    Relativamente alle violenze sulle donne, possiamo effettuare questa classificazione:

    • Violenza sessuale, anche tentata;
    • Umiliazioni e minacce;
    • Percosse, lesioni;
    • Stalking;
    • Molestie sul posto di lavoro;
    • Controllo economico.

    Secondo una ricerca ISTAT, si evidenzia che 1 donna su 3 subisce violenza durante l’arco della propria vita; già dai 15 anni di età.

    Il 62,7% delle donne intervistate a campione ha subito stupri da parte del partner o ex partner, che di frequente effettuano stalking.

    Il 38% degli omicidi di donne si concretizza per mano di un uomo, di solito il marito o il compagno.

    Vorrei soffermarmi, di seguito, su tre specifici casi: lo stalking, la violenza economica ed il mobbing lavorativo.

    Il controllo economico

    Una delle forme di violenza domestica più subdole e assoggettanti è quella del controllo economico, che si realizza ai danni di un uomo o più spesso di una donna, per mano del partner convivente.

    E’ chiaro che a differenza della violenza fisica, la violenza economica rientra in una forma di pressione psicologica, a causa di cui aumenta la dipendenza della vittima dal proprio abusante.

    E’ una forma pericolosa, nascosta, che provoca nella vittima la totale perdita di controllo e di autostima.

    La violenza economica si sostanzia in:

    • Controllo del denaro contante e delle transazioni bancarie;
    • Controllo delle proprietà;
    • Divieto di intraprendere un lavoro;
    • Controllo della gestione familiare.

    Ed ha come obiettivo l’assoggettare l’altro, renderlo completamente dipendente ed annullarlo.

    Lo stalking

    Eccoci ad affrontare questa fattispecie relativamente nuova nel nostro ordinamento, di cui si è tanto discusso: lo stalking.

    Infatti, viene introdotto nel 2009 con una Legge che prevede, per gli atti persecutori, una pena dai 6 mesi ai 4 anni di detenzione, inserendo lo stalking tra i reati, all’interno del codice penale.

    L’art. 612-bis spiega che le persecuzioni, per essere tali, devono:

    • Essere ripetute nel tempo;
    • Condizionare la vittima nella propria quotidianità;
    • Cambiare le abitudini della vittima;
    • Causare ansia, timore e terrore nella vittima;
    • Impaurire la vittima, che teme per sé, per i propri cari.

    Se vi chiedete in caso di violenza domestica cosa fare, ricordate innanzitutto che parlare con qualcuno di ciò che sta succedendo è un primo passo importantissimo!

    Mentre il controllo economico e lo stalking rientrano maggiormente in casi di violenza familiare, vi sono altresì casi di violenza che si concretizza sul posto di lavoro.

    Vediamo insieme.

    Violenze sul posto di lavoro: il mobbing

    Ogni tanto vi sarà capitato di sentire parlare di mobbing: con questo fenomeno si vuole intendere un atteggiamento vessatorio e di violenza, perpetrato ai danni di un lavoratore.

    Infatti, la giurisprudenza ha sottolineato che le violenze domestiche integrano anche quelle che si verificano sui posti di lavoro.

    Così come riportato in una ricerca ISTAT, le donne ammettono di avere subito il maggior numero di condotte vessatorie sul posto di lavoro, nell’arco della vita tra i 45 e i 54 anni.

    Seguono poi le donne che ammettono di avere subito abusi e violenze soprattutto negli ultimi 3 anni; esse rientrano nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni.

    Questa recente ricerca ISTAT riporta le principali forme di mobbing, denunciate dalle donne:

    • Richiesta di disponibilità sessuale;
    • Richiesta di prestazioni sessuali;
    • Avances per avanzo di carriera.

    Il mobbing non è regolamentato, nel nostro ordinamento, come fattispecie di reato.

    Ci sono però diversi metodi di contrasto e di aiuto che si possono mettere in atto per fare emergere tali violenze e combatterle.

    Se vuoi discutere con noi una situazione di mobbing, non esitare a scriverci, siamo a disposizione per fornirti le indicazioni di cui hai bisogno!

    Che cosa possiamo fare

    Le denunce

    Il numero complessivo di denunce alle Forze dell’Ordine, relative a violenze ed abusi subiti dalle donne, risulta aumentato negli ultimi anni, soprattutto grazie alla grande sensibilizzazione che si sta attuando.

    Ma, mentre il numero di denunce sale, aumenta anche la certezza che sono gli uomini i perpetratori: nel 77% dei casi, infatti, sono uomini ad essere denunciati.

    In diminuzione risultano, secondo i dati ISTAT, le denunce per percosse, in aumento, invece, quelle per stalking.

    Sempre maggiori sono gli ammonimenti e gli allontanamenti effettuati su padri di famiglia e uomini sposati o conviventi, da parte delle Autorità.

    Ancora molto alto, però, risulta essere il numero oscuro relativo agli abusi sulle donne. Si tratta di ricatti vissuti in silenzio tra le mura domestiche.

    ISTAT ci mostra che l’80,9% delle donne non denuncia i fatti, nello specifico per tre motivazioni principali:

    • Considerano scarsa la gravità delle violenze o normali e giustificate;
    • Non ripongono fiducia nelle Forze dell’Ordine;
    • Si ritengono impossibilitate ad agire e senza via di fuga.

    Lavorare con gli uomini

    Nel mese di Novembre 2018 ISTAT ha effettuato una ricerca sui centri per uomini maltrattanti, presenti sul nostro territorio.

    Da tale ricerca emerge che sono in aumento i luoghi in cui gli autori di reato vengono accolti ed ascoltati, al fine di aiutarli a riconoscere la loro problematica.

    Nello specifico, tali centri hanno lo scopo di:

    • Lavorare con uomini maltrattanti sulla gestione della rabbia;
    • Diminuire il rischio o la recidiva di comportamenti violenti;
    • Lavorare sulla consapevolezza, responsabilizzazione e sensibilizzazione del fenomeno;
    • Dare consulto psicologico e psicoterapeutico, oltre a consulenza legale;
    • Fornire aiuto nel contrasto alle dipendenze.

    Che cosa consiglierei ad una donna vittima di violenza?

    Innanzitutto, di creare una rete di sostegno attorno a sé, parlare con i propri cari, chiedere aiuto, ma soprattutto fronteggiare la situazione con le proprie risorse, credere in sé e nel proprio valore.

    Cosa possiamo fare noi, per una donna vittima di violenza o per un uomo abusante?

    Noi siamo a disposizione per ascoltare, consigliare e supportare le situazioni di violenza, soprattutto in presenza di bambini ed adolescenti.

    A differenza di un percorso di trattamento psicologico, ci proponiamo di individuare ed attivare le risorse presenti sul territorio ed i servizi di ascolto e consulenza legale.

    Operiamo progetti individuali di prevenzione e sostegno alla responsabilità genitoriale in presenza di figli, soprattutto nei casi di violenza assistita o in presenza di separazioni conflittuali.

    Affianchiamo i genitori in difficoltà, alla ricerca della migliore soluzione per il bambino, elaborando relazioni con valenza legale.

  • Affrontare cyberbullismo e bullismo. Consigli educativi pratici

    cyberbullismo e bullismo

    Cyberbullismo e bullismo sono due fenomeni che vedono un gruppo di persone coinvolte in azioni di molestie verso altre.

    Ma com’è possibile riconoscere il fenomeno? Quali sono i segnali a cui prestare attenzione? Se ve lo state chiedendo, proseguite nella lettura!

    Le vittime di cyberbullismo e bullismo si possono riconoscere da indicatori, che sono alla base della presenza delle condotte di prevaricazione, ad esempio:

    • Indizi di bullismo diretto: perdita o danneggiamento di oggetti, segni fisici di aggressione;
    • Indicatori indiretti: apparire depressi, piagnucolosi, isolarsi dal gruppo di amici, peggiorare il rendimento scolastico, attaccamento ai grandi. Sono connessi ai cambiamenti di comportamento della vittima;
    • Indizi di cyberbulling: il bullo manifesta dipendenza da internet di giorno e di notte, chiude i programmi o spegne il pc se arriva un adulto. La vittima si mostra turbata, depressa, frustrata dopo aver usato il pc.

    Se vostro figlio presenta una delle caratteristiche citate, è bene informarsi su tali fenomeni, al fine di prevenirli e contrastarli.

    Il bullismo classico

    Come trattato in dettaglio, in un precedente articolo, le condotte di bullismo si verificano ad opera, solitamente, di un gruppo di individui ai danni di un singolo ragazzo.

    Le sue caratteristiche principali sono l’asimmetria di potere tra i soggetti coinvolti, l’intenzionalità delle prepotenze e la ripetizione nel tempo delle stesse, la maggior parte delle volte sono attacchi finalizzati ad umiliare i bambini isolati.

    Il desiderio di farsi accettare, fa sì che gli studenti siano spinti a conformarsi ai valori negativi, anche se non li condividono, il sostegno del gruppo aiuta il bullo a delegittimare le proprie responsabilità, diminuendo la gravità del gesto.

    Il luogo privilegiato in cui si verifica bullismo è la scuola: in classe, in giardino, nei bagni o nei tragitti casa-scuola.

    Il bullismo elettronico

    L’avvento delle nuove tecnologie, come il computer ed il telefonino personale, hanno rivoluzionato anche la modalità di tenere condotte violente sugli altri.

    Ad oggi molti adolescenti, sempre più precocemente, ne fanno un uso-abuso, che può portare ad una dipendenza da questi mezzi elettronici.

    Cellulare e computer possono rappresentare mezzi con cui molestare i pari, nelle mani di ragazzi non educati ad usarli nel modo corretto.

    Ciò che accomuna il bullismo tradizionale con questa nuova modalità di violenza non sono dunque i mezzi e le condotte prevaricatrici, ma restano invariate le caratteristiche principali, ovvero:

    • Il danno inflitto è volontario
    • È un atto ostinato e ripetuto
    • Vi è asimmetria di potere tra cyberbullo e vittima

    Cyberbullismo e bullismo si somigliano anche per le conseguenze psicologiche sulla vittima.

    Essa, infatti, si mostra triste, isolata e diffidente verso gli amici, incapace di raccontare la propria giornata, prova vergogna e paura.

    Cyberbullismo e bullismo classico a confronto

    Vediamo ora quali aspetti differenziano cyberbullismo e bullismo classico.

    Mezzi

    Come anticipato, il cyberbulling prevede l’utilizzo di due strumenti: computer e cellulare, a differenza del bullismo tradizionale, che consta in aggressioni prevalentemente fisiche.

    Condotte

    Le condotte violente del bullismo elettronico riguardano:

    • Diffondere pettegolezzi online
    • Sostituirsi ad un’altra persona, altra identità per mandare messaggi, pubblicare testi, compromettere la reputazione
    • Diffondere immagini o insulti riferiti alla vittima
    • Diffondere informazioni riservate della vittima

    Sesso

    Per motivi culturali e caratteriali, le femmine provano più senso di colpa e ansia, quando sono aggressive, mentre i maschi sono più giustificati e presentano meno empatia.

    In questo senso, il bullismo tradizionale è più un fenomeno maschile, mentre la prevaricazione tra femmine è indiretta, più psicologica, con pettegolezzi ed esclusione.

    Il cyberbullismo riguarda, invece, bulli ambosessi, con una prevalenza femminile, che attua le violenze tramite l’uso dei social network.

    Anonimato

    A differenza del bullismo tradizionale, quello elettronico si caratterizza per l’anonimato, la vittima, infatti, può non sapere chi ha inviato o diffuso l’offesa e fa molta più fatica a difendersi.

    Per questo motivo, il bullo in rete si sente più forte, nascosto dietro ad una realtà virtuale in cui molestatore e vittima non entrano mai in contatto.

    Il tempo e lo spazio

    Cyberbullismo e bullismo tradizionale sono caratterizzati da tempi diversi: il primo si protrae per tutto il giorno o la notte, nel periodo estivo o in pausa dalla scuola.

    Addirittura, un video pubblicato e diffuso online può rimanere nello spazio virtuale anche per un tempo indeterminato, a differenza del bullismo tradizionale, che avviene nel mondo reale sotto gli occhi di tutti.

    Ragazzi in difficoltà: riconoscere le cause

    In precedenza, abbiamo analizzato il carattere della vittima e del bullo, evidenziando gli aspetti psicologici e comportamentali che portano i bambini a trovarsi in queste situazioni.

    Cyberbullismo e bullismo presentano una vittima caratterizzata da poca autostima, debole ed un bullo prepotente e leader.

    Ma qualcosa li accomuna: il periodo della crescita e le difficoltà relazionali, dettate da situazioni differenti.

    Il duro periodo dell’adolescenza

    Il periodo dell’adolescenza si presenta con la necessità di fare parte di un gruppo ed essere accettati, controllando e sottomettendo gli altri, per ottenere una sensazione di potere.

    È periodo di cambiamento fisico e di sviluppo della propria identità, in cui si decide se isolarsi o aggregarsi agli altri.

    Caratteri personali come bisogno di dominio, uso del potere, prepotenza, ed accettazione della violenza da parte degli adulti favoriscono i comportamenti bullizzanti.

    La famiglia e l’educazione

    Tra gli elementi correlati all’essere bullo o vittima rientra di certo l’educazione impartita dalla famiglia, che insegna i principi e le norme condivise socialmente. Il suo compito è educare i figli nel rispetto della propria persona e degli altri.

    Se vi accorgete di rientrare in questi modelli genitoriali, è bene cominciare a cambiare qualcosa quanto prima. Possiamo riassumere così i tipi di educazione disfunzionale:

    • Troppo permissiva

    Tollerare continuamente i “no”, soprattutto dei piccoli maschietti, accondiscendere alle richieste e risolvere il pianto con il “dare”, non potrà che portare a sempre più arroganza nel bambino.

    Dare tutto subito è un errore in cui molti genitori spesso incorrono nel tentativo di emulare il genitore ideale che non fa mancare niente ai figli, perchè i mezzi economici non mancano.

    Questo comportamento non permette ai giovani di apprezzare quello che hanno, tutto si può avere. Così la noia, l’insoddisfazione per la vita, il desiderio di superare i limiti, di trasgredire le norme possono portare a comportamenti a rischio.

    • Iperprotettiva

    Uno stile iperprotettivo sviluppa un attaccamento morboso alla madre, non educando il figlio a crescere nel mondo ed attraversare le avversità e le paure con le proprie risorse e forze.

    • Coercitiva, autoritaria, violenta

    I bambini sgridati, puniti, repressi anche fisicamente, tendono a riconoscere la violenza come unico modello possibile di relazione.

    Se la debolezza e la compassione verso gli altri, in famiglia, viene considerata fonte di emarginazione, il bambino crescerà mostrando sicurezza e aggressione all’esterno e proverà, dentro di sé, un grande disagio e deficit empatico.

    • Assente, non comunicativa

    Uno stile genitoriale di trascuratezza, mancanza di calore e disinteresse, soprattutto della madre, porta il figlio ad essere ostile ed aggressivo verso gli altri o a crescere isolato e senza risorse personali.

    Anche eventi quali conflitti tra genitori, liti, divorzi e separazioni conflittuali, dipendenze, alcolismo, influiscono negativamente sul comportamento minorile.

    Cause esterne

    Tra le cause dei comportamenti di cyberbullismo e bullismo rientrano anche le scene di violenza di film e programmi televisivi. I videogiochi violenti spingono alla continua competizione, innescando un sentimento aggressivo che può sfociare in reati minori.

    Numerosi studi evidenziano le dipendenze come principale causa esterna delle condotte minorili devianti: il sesso, il gioco d’azzardo, l’alcool e le droghe.

    Il consumo di sostanze porta a condotte di aggressività, legate all’astinenza, alla dipendenza fisica ed economica dagli stupefacenti, finanche a commettere piccoli reati, ma non solo.

    Consigli pratici per genitori

    Vista la difficoltà dei ragazzi a raccontare ciò che accade è importante che i genitori siano informati sul tema bullismo, per coglierne i sintomi e agire. Nello specifico, consigliamo di:

    • Aiutare i figli ad inserirsi nei vari contesti, spronarli per favorire lo sviluppo delle abilità sociali
    • Incoraggiare i minori per favorire la loro autostima, consigliarli senza influenzarli
    • Educare alla diversità, sensibilizzare alle emozioni, per imparare a comunicare con gli altri
    • Trasmettere regole e limiti e farli rispettare
    • Spiegare che la scuola è il luogo in cui si impara ad aspettare il proprio turno, ad alzare la mano per prendere parola, a rispettare gli altri
    • Fare attenzione ai segnali ed alle variazioni comportamentali dei propri figli
    • Dialogare e confrontarsi con altri genitori e con gli insegnanti, partecipando a corsi
    • Controllare la cronologia dei siti visitati

    È importante affiancare vostro figlio in tutte le fasi della sua vita, durante le decisioni più importanti e nei momenti di difficoltà, lasciandolo sbagliare e assumersi le proprie responsabilità.

    Fare il genitore è un compito molto difficile ed una grande responsabilità, in quanto la capacità genitoriale non è innata.

    Puoi contattarci per un consiglio sulla tua situazione, vedremo insieme come affrontarla, e se leggi su smartphone, premi pure sull’icona verde, e scrivimi con WhatsApp!

  • Lo sviluppo emotivo dei bambini e il linguaggio delle emozioni

    sviluppo emotivo dei bambini

    Perché è importante studiare lo sviluppo dei bambini?

    Perché è necessario conoscere le tappe e l’evoluzione del loro sviluppo psico-fisico, emotivo e linguistico?

    Quale disciplina si occupa di questo studio?

    Quando si diventa genitori ci si domanda di continuo che cosa aspettarsi dalla crescita del proprio bambino: quando comincerà a camminare, quando dirà le prime parole.

    Esistono delle fasi di crescita, della tappe evolutive, degli intervalli temporali, da non prendere però alla lettera, in cui i bambini tendono ad acquisire determinate capacità.

    Occorre sempre ricordare che ogni bambino ha i propri tempi e i propri ritmi di crescita, non bisogna mettergli fretta, ma aspettare e rispettare i loro tempi, incoraggiandoli e sostenendoli.

    In questo articolo si vuole offrire un approfondimento sullo sviluppo emotivo dei bambini e sul linguaggio delle emozioni, toccando le tappe evolutive di tale sviluppo.

    La psicologia dello sviluppo

    La psicologia dello sviluppo è lo studio scientifico del comportamento e dello sviluppo dei bambini, che ha come obiettivo quello di costruire una base di conoscenze per comprendere la natura dell’infanzia, ma anche le caratteristiche distintive dei bambini.

    L’infanzia è un processo di continuo cambiamento e ciò che si vuole definire sono le tappe dello sviluppo.

    Le pietre miliari dello sviluppo però assumono forme diverse.

    Alcune sono palesi, come l’età in cui i bambini imparare a camminare o a parlare, altre sono meno ovvie, perché si riferiscono ad aspetti meno evidenti.

    Quello che si cerca di stabilire è la fascia di età in cui la maggior parte dei bambini dimostra, per la prima volta, di aver acquisito un’abilità e, sulla base della regola individuata, seguire il progresso dei singoli bambini.

    Tenendo sempre presente che ogni bambino è unico.

    Ciò significa che lo sviluppo delle varie abilità non è uguale per tutti i bambini: alcuni possono essere più precoci, altri più tardivi.

    Per un genitore è indispensabile conoscere l’evoluzione e le fasi di crescita dei bambini, dallo sviluppo emotivo, cognitivo, sociale a quello linguistico.

    Lo sviluppo emotivo dei bambini

    Cominciamo con una definizione dell’emozione: “l’emozione è una reazione soggettiva a un evento saliente, caratterizzata da cambiamenti fisiologici, esperienziali e comportamentali”.

    C’è sempre un evento scatenante specifico per ogni emozione, così come ci sono sempre cambiamenti fisiologici, esperienziali e comportamentali.

    Le emozioni sono il costante sottofondo delle nostre esperienze quotidiane, eppure la scienza ha mostrato sempre un’estrema lentezza a passarle al microscopio.

    Al contrario delle funzioni cognitive, le emozioni riguardano il sistema nervoso autonomo, una parte cioè più primitiva, più remota della nostra struttura.

    Le emozioni sono importanti per lo sviluppo dei bambini, sia dal punto di vista psico-fisico sia dell’adattamento sociale.

    Hanno funzioni positive, non sono elementi di disturbo all’interno del sistema: servono per comunicare i propri bisogni ed esigenze agli altri, hanno una valore di sopravvivenza e svolgono funzioni utili per la regolazione interpersonale.

    I bambini si avvicinano alle emozioni nel contesto relazionale: le relazioni interpersonali sono inevitabilmente questioni emotive.

    E’ proprio durante l’interazione con gli altri che i bambini hanno l’opportunità di osservare come le altre persone maneggiano i propri sentimenti, ma anche, soprattutto, come il loro comportamento emotivo influisce sugli altri.

    La consapevolezza del proprio stato emotivo

    I bambini devono:

    • Imparare che in certe situazioni possono provare rabbia, in altre paura o felicità;
    • Saper identificare queste circostanze;
    • Comprendere cosa si prova interiormente quando si è in preda di certe emozioni, come le si manifesta all’esterno;
    • Riconoscerle per poterle verbalizzare.

    Tutto ciò implica un certo grado di consapevolezza di sé, cioè la capacità di rimanere in disparte e monitorare i propri sentimenti e il proprio comportamento; un traguardo sofisticato nella sua forma più evoluta, sebbene gli inizi si possono osservare già in età precoce.

    Controllare l’espressione delle proprie emozioni

    Lo sviluppo emotivo dei bambini è basato su fondamenta biologiche comuni; il suo corso successivo è forgiato dalle diverse esperienze sociali.

    Il modo in cui le emozioni vengono manifestate può differenziarsi radicalmente da una società all’altra.

    Ogni società ha elaborato regole proprie sulle modalità socialmente accettabili di espressione delle emozioni, sia su quelle negative sia su quelle positive.

    Trasmettere queste regole ai bambini è un aspetto molto importante della socializzazione.

    I bambini, ovviamente, apprendono i primi fondamenti sulle emozioni nel contesto familiare: come esprimerle, come possono manifestarsi e sul tipo di azioni da prendere quando compaiono determinate emozioni.

    Il tipo di relazione che i piccoli instaurano con le figure di attaccamento determinano il modo e la misura in cui avrà luogo la loro socializzazione emotiva.

    Le lezioni impartite dai genitori vengono immagazzinate e trasferite, negli anni successivi, ad altre relazioni, per diventare parte dello stile affettivo di ogni individuo.

    Riflettere sulle emozioni

    I bambini, con gli anni, dedicano una porzione sempre crescente di tempo a riflettere sulle emozioni, oltre che a viverle.

    Cercano di comprendere che cosa significhi per loro stessi e per altre persone, essere coinvolti in episodi emotivi, e di conseguenza formulano teorie sulla natura e sulle cause dei sentimenti.

    All’inizio le teorie sono piuttosto primitive, per poi assumere una forma sempre più sofisticata. i bambini comprendono che le emozioni implicano anche stati emotivi interiori.

    Con l’età, dunque, i bambini passano da una concezione comportamentale a una concezione mentalistica.

    Acquisiscono la cosiddetta teoria della mente: la comprensione del fatto che gli altri hanno un mondo interiore e l’abilità di descrivere quel mondo come tratto distintivo di ciascun individuo.

    Tale comprensione si sviluppa notevolmente nel periodo prescolare perché i bambini sono sempre più abili nel generare teorie che li aiutino a prevedere i sentimenti altrui.

    Al più tardi a sei anni, i bambini hanno acquisito la capacità di comprendere lo stato mentale di un’altra persona.

    Il linguaggio delle emozioni

    Quando imparano a parlare, lo sviluppo emotivo dei bambini assume una dimensione del tutto nuova.

    Ora le emozioni possono diventare oggetto di riflessione: grazie alla capacità di definire i sentimenti che provano, possono separarsene, riflettere su di esse ed esternare quanto avviene nel loro intimo.

    Ora che possiedono le parole delle emozioni, i bambini possono avventurarsi in discussioni sul tema.

    Da un lato, possono comunicare ad altri il proprio stato d’animo, dall’altro possono ascoltare le descrizioni che altre persone fanno dei propri sentimenti.

    Possono dunque condividere le emozioni e comprenderne la natura, le cause, le conseguenze e le modalità per maneggiarle; impresa che diventa più facile quando si dispone dello strumento verbale.

    Verso il secondo anno i bambini iniziano ad utilizzare le parole, come semplice commento, che esprimono i sentimenti: parole come felice, triste, arrabbiato e spaventato compaiono nei discorsi dei bambini.

    Durante il terzo anno di vita, l’uso di termini che indicano lo stato emotivo aumenta di quantità fino ad arrivare ai sei anni in cui usano abitualmente parole come agitato, spaventato o infastidito.

    Già a tre anni inoltre i bambini sono in grado di parlare non solo dei propri sentimenti, ma anche delle emozioni di altre persone.

    Nel periodo prescolare, la verbalizzazione delle emozioni acquista rapidamente accuratezza, chiarezza e complessità, iniziando a riferire le cause dei sentimenti di altre persone.

    I bambini già dai due anni si interessano alla comprensione delle emozioni, indagando il motivo per cui le persone si comportano in un determinato modo.

    Questo interesse a conversare sulle emozioni si sviluppa durante l’interazione sociale e svolge numerose funzioni:

    • Permette ai bambini di affrontare le proprie emozioni;
    • Favorisce la comprensione di una vasta gamma di sentimenti;
    • Consente di comprendere la natura e le circostanze delle relazioni interpersonali;
    • Permette di condividere le esperienze emotive con altre persone;
    • Spiega il comportamento proprio e degli altri.

    A tempo debito i bambini devono apprendere la competenza emotiva; è un concetto usato per definire l’abilità di maneggiare le proprie emozioni e riconoscere e affrontare le emozioni altrui.

    Essere in grado di maneggiare le proprie emozioni, regolarle, controllarle, modificare i propri impulsi è essenziale per un corretto e adeguato funzionamento emotivo.

    Naturalmente la competenza emotiva deve essere sempre valutata in base all’età della persona, segue cioè delle tappe specifiche di sviluppo, fino a raggiungere la piena maturità.

    Bibliografia

    Shaffer R. H, (2004), Psicologia dello sviluppo. Un’introduzione, Raffaello Cortina Editore

  • Disturbi comportamentali nei figli adottivi: manuale di istruzioni per genitori

    disturbi comportamentaliOgni cambiamento comporta sempre un certo stress: un bambino in balìa degli eventi può essere coinvolto in emozioni differenti: dalla paura alla rabbia, sentendosi frustrato, insofferente, spaventato o confuso.

    Appena arrivato a casa, il bambino potrebbe mostrare sintomi di disturbi comportamentali, come avere un sonno agitato, dire sempre di no, essere sempre contrariato, fare pipì a letto, divincolarsi dagli abbracci o rifiutare il cibo.

    Alcuni bambini si abituano in fretta alle regole della nuova famiglia, ai volti nuovi, alle nuove abitudini, altri invece potrebbero avere bisogno di più tempo per adeguarsi agli orari, gli spazi, gli abiti, i linguaggi ed i cibi della nuova famiglia.

    Le difficoltà di adattamento. Cosa fare

    Le difficoltà di adattamento di un bambino appena arrivato nella nuova casa, possono presentare tali disturbi:

    1. Difficoltà e disturbi del sonno.

    Un bambino che attraversa un momento di cambiamento può vivere in uno stato continuo di allerta, che lo porta ad esperire uno stato di vigilanza, provocato dalla paura, che rende difficile l’addomentamento o il sonno ristoratore.

    La vicinanza, l’affetto e le dimostrazioni di amore sono fondamentali per rassicurare il piccolo che le sue paure non hanno motivo di esistere, trovandosi in un ambiente sicuro e protettivo.

    2.Terrori notturni e incubi.

    Un bambino che fa fatica ad addormentarsi è più incline agli incubi notturni. Il piccolo può svegliarsi in preda al pianto e avere bisogno di un adulto accanto per riaddormentarsi.

    I sogni d’angoscia insorgono nell’età prescolare, dai 2 anni, con apice tra i 3 e i 4 anni.

    Ma non fatevi prendere dal panico! I problemi collegati al sonno tendono a scomparire con il tempo, ma è possibile che riemergano, in concomitanza ad uno stress che comporta tensione.

    3.Enuresi.

    Fare pipì a letto è molto più frequente di quel che si pensi, in tutti i bambini. Ricerche hanno dimostrato che il 15% dei bambini di 5 anni presenta questo disturbo almeno una volta al mese.

    Alla base di questo disturbo vi sono diverse motivazioni psicologiche, come sentimenti di inferiorità, rabbia repressa, risentimento.

    Bambini che hanno subìto maltrattamenti e trascuratezze gravi possono soffrire di enuresi in una forma più acuta e persistente.

    Non ci si deve scoraggiare, spaventarsi o preoccuparsi se il disturbo persiste nel tempo: le rassicurazioni e un ambiente sereno e amorevole saranno fattori protettivi rispetto al problema.

    Le difficoltà comportamentali. Come riconoscerle e gestirle

    In un figlio adottivo è possibile riscontrare, già in tenera età, difficoltà comportamentali, causate da trascuratezze, indisponibilità di affetto da parte dei genitori biologici nei confronti del neonato o violenze subite.

    Non è infrequente trovare, in bambini con un passato tormentato alle spalle, elementi comportamentali di isolamento, rifiuto rabbioso, scarsa autostima, aggressività ed ostilità ma soprattutto rabbia.

    Disturbi comportamentali possono manifestarsi all’asilo nido, alla materna, ma anche in età prescolare con depressioni e pianti.

    Il contatto con le nuove figure genitoriali adottive, la frequenza scolastica, la conoscenza dei nuovi amici ed un ambiente protettivo, sono esperienze necessarie per favorire una crescita armoniosa di un bambino con un passato difficile.

    Tra le difficoltà comportamentali, si possono trovare:

    1. Disturbi dell’attenzione o da iperattività caratterizzati da:

    • Difficoltà di apprendimento;
    • Rendimento scolastico compromesso;
    • Eccessiva attività motoria;
    • Difficoltà a mantenere una posizione;
    • Incapacità a rimanere seduti;
    • Parlare troppo e fuori luogo;
    • Interrompere gli altri con grande impazienza.

    2. Disturbo oppositivo provocatorio associato a:

    • Atteggiamenti oppostivi, di ostilità;
    • Perdita di controllo sui propri impulsi;
    • Alta litigiosità con i pari;
    • Atteggiamenti di sfida verso le regole e il mondo degli adulti;
    • Rifiuto con irritabilità;
    • Intolleranza e rancore.

    3. Disturbi della condotta caratterizzati da:

    • Comportamenti ripetitivi e persistenti;
    • Violazione di norme e regole societarie;
    • Condotte aggressive nei confronti di proprietà, persone o animali;
    • Reati di frode e furto;
    • Marinare la scuola, rientrare a casa molto tardi, fughe reiterate.

    L’osservazione di tali atteggiamenti da parte dei genitori e degli insegnanti si rivela importante, allo scopo di riconoscere tali disturbi che possono terminare, grazie all’intervento ed al sostegno esperto di un pedagogista.

    Ciò che è bene fare è insegnare al bambino a svolgere le attività seguendo le istruzioni per piccoli passi, sostenendo sempre i comportamenti corretti, sottolineando i progressi, permettendo di svolgere alcuni compiti in movimento o in piedi, senza forzarlo.

    Una educazione incoerente, maltrattamenti, gravi carenze pedagogiche, eccessiva severità, punizioni autoritarie o una eccessiva indulgenza, possono predisporre l’insorgenza di questi disturbi comportamentali, i quali possono aggravarsi con il passare del tempo.

    Lavorare sui sentimenti e sulle emozioni

    Lavorare sulle emozioni è uno dei capisaldi della capacità genitoriale: non solo le cure materiali rientrano in una buona genitorialità, bensì anche e soprattutto le cure affettive e le attenzioni emotive.

    Con l’arrivo di un nuovo elemento in famiglia, che si tratti di un fratellino o una sorellina, tutti i bambini provano un sentimento di gelosia, che rappresenta uno stato d’animo fisiologico e naturale.

    Saperlo riconoscere e gestire è molto importante, e la consulenza pedagogica è importante per non incorrere nel rischio di alimentare tale sentimento con comportamenti educativi sbagliati.

    Un bambino geloso adotterà comportamenti capricciosi, disobbedienti ed aggressivi, ribellandosi a dividere affetti e giochi con il nuovo arrivato.

    Un genitore deve tenere bene a mente che è fondamentale evitare di fare paragoni tra i bambini, mostrando preferenze o disparità di trattamento, rischiando di fare accrescere la conflittualità tra i fratelli.

    Anche la rabbia e il risentimento sono sentimenti che possono presentarsi all’arrivo di un fratello in famiglia: è bene essere preparati per poter prevenire disturbi comportamentali che possono presentarsi durante la crescita.

    Se negati o ignorati, tali sentimenti possono predisporre il bambino a disagi, problemi relazionali con i propri pari e disturbi comportamentali e psicosomatici.

    Aiutare i bambini ad esprimersi attraverso i giochi, le rappresentazioni, i disegni, la scrittura, è una strategia fondamentale per liberare le emozioni, sfogarle e imparare a gestirle.

    È bene aumentare l’autostima del piccolo, sottolineandone i risultati positivi, le piccole vittorie, rassicurandolo sulle proprie qualità e facendolo sentire apprezzato.

    Tra le emozioni esperite da un bambino adottato possono rientrare tristezza, rabbia, ansia da separazione, che sono frequenti e prevedibili nelle prime fasi dell’inserimento nella nuova famiglia.

    Paure improvvise, ingiustificate, possono caratterizzare alcuni bambini, alla luce delle loro esperienze passate.

    È necessario prestare loro molta attenzione, fornire sempre sostegno e disponibilità.

    Le difficoltà che il figlio adottivo ha vissuto nel suo passato emergono attraverso i comportamenti più che attraverso le sue parole.

    Creare un clima accogliente è fondamentale per far sì che possa fidarsi di voi.

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