All Posts By:

Giulia Piazza

  • Motivazione ad apprendere: quanto è importante per gli studenti

    In questo articolo voglio parlarvi della motivazione ad apprendere e della sua importanza nell’apprendimento degli studenti.

    La motivazione è quella spinta, quell’energia che orienta e mantiene costante il proprio orientamento nel raggiungimento di obiettivi specifici, anche ovviamente obiettivi di apprendimento.

    Essa spiega, infatti, l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza d un comportamento diretto ad uno scopo.

    Il concetto di motivazione, dunque, è utilizzato per comprendere perché una persona svolge un determinato compito.

    Non è però un processo unitario in quanto può essere considerata come un insieme di esperienze soggettive, quali gli obiettivi, le aspettative, i valori, i processi emotivi, gli interessi personali.

    Lo sviluppo della motivazione ad apprendere

    Come si sviluppa la motivazione?

    Come si modificano le relazioni fra motivazione e apprendimento?

    La motivazione può dipendere da cause intrinseche, ovvero l’interesse, la curiosità, il piacere di imparare, oppure da cause estrinseche, i premi.

    Con la crescita il bambino acquisisce una maggiore capacità di selezione d alcuni ambiti di interesse o di competenza.

    Alcuni ambiti verso cui si sente particolarmente abile, che distingue dagli altri, verso cui prova una maggiore attrazione e motivazione.

    La spinta motivazionale è certamente importante per l’apprendimento, però è altresì fondamentale che la motivazione venga diretta verso mete più o meno specifiche e sostenuta dalla conoscenza di “come” i traguardi prefissi possono essere raggiunti.

    Questo “come” si riferisce alle strategie di apprendimento, che consentono di realizzare concretamente la situazione verso cui la motivazione è espressa.

    Le strategie nell’apprendimento

    Lo studio è un tipo di apprendimento particolare consiste nella lettura attenta e selettiva, mirata a comprendere e a memorizzare le informazioni utili per eseguire una prova.

    Nello specifico, è lo studente che decide tempi e modalità dello studiare, in base alle proprie conoscenze strategiche e ai personali obiettivi e valori.

    È possibile definire tre fasi differenti nello studio:

    • La prima implica l’organizzazione e la definizione degli obiettivi;
    • La seconda prevede la lettura, la comprensione e l’elaborazione dei contenuti;
    • La terza implica la memorizzazione e la successiva rievocazione del materiale studiato.

    Per ognuna di queste fasi è possibile utilizzare diversi tipi di strategie che possono rendere più efficace, e meno difficoltosa, l’esperienza di apprendimento, con un’elaborazione profonda e personale, sostenuta da concentrazione e interesse.

    Nella fase di organizzazione posso suggerire alcune modalità per programmare il tempo di studio, concentrarsi, scegliere il luogo dove studiare e le ore del giorno con maggiore profitto.

    Per la fase di lettura, comprensione ed elaborazione posso suggerire l’utilizzo di strategie per leggere più velocemente, per sottolineare, schematizzare o prendere appunti.

    Infine, per la memorizzazione e il ripasso posso presentare strategie per ricordare più a lungo e più efficacemente, organizzare il momento del ripasso, gestire l’ansia d’esame, anticipare le domande e le possibili risposte.

    Altre strategie a sostegno dell’apprendimento possono essere, ad esempio:

    • Comprendere a fondo;
    • Rielaborare con parole proprie;
    • Porsi delle domande e riflettere sui concetti;
    • Eliminare le distrazioni;
    • Focalizzare l’attenzione;
    • Provare interesse per i contenuti, anche collegandoli con gli scopi o elementi personali.

    Queste alcune strategie che possono aiutare gli studenti nell’apprendimento e nel sostenere la propria motivazione ad apprendere.

    Scopri il nostro “DOPOSCUOLA PEDAGOGICO“, un percorso di autonomia e sostegno allo studio dedicato a tutti gli studenti!

    Scrivici per maggiori informazioni 😉

  • Stili di apprendimento individuali: da “cosa pensi” a “come pensi”

    Oggi vogliamo parlarvi degli stili di apprendimento, ovvero degli stili cognitivi utilizzati da ciascuno studente nel proprio apprendimento.

    Iniziamo dalle origini 😉

    La ricerca sugli stili cognitivi si è sviluppata agli inizi degli anni quaranta, coinvolgendo differenti ambiti teorici.

    Il termine stile cognitivo può essere definito come “un modo di riferirsi a differenti tipi di personalità o di comportamento”.

    Lo stile cognitivo è una modalità di risposta agli stimoli ambientali e costituisce una sorta di guida del processo cognitivo.

    Per stile di apprendimento si intende la tendenza di una persona a preferire un certo modo di apprendere-studiare.

    Esso riguarda, dunque, la sua modalità di percepire e reagire ai compiti legati all’apprendimento, attraverso la quale mette in atto, o sceglie, i comportamenti e le strategie per apprendere.

    Si tratta, infatti, di un prolungamento dello stile intellettivo, di una modalità che si manifesta in modo costante, in più contesti, coinvolgendo non solo aspetti cognitivi, ma anche socio-affettivi, e che influenza l’approccio all’apprendimento di ciascun individuo, nonché la scelta e l’utilizzo di strategie specifiche.

    Ci sono, ad esempio, persone più riflessive, altre persone più curiose, persone con una tendenza all’introversione e alla rigidità, persone estroverse e più flessibili.

    Alcuni studenti preferiscono e acquisiscono più con facilità informazioni riferite a oggetti concreti, come fatti e osservazioni, altri, invece, acquisiscono meglio i concetti astratti.

    Alcuni acquisiscono più facilmente informazioni visive, come figure, schemi, immagini, altri preferiscono, invece, le informazioni verbali.

    È importante conoscere e avere la consapevolezza del proprio stile cognitivo, ovvero della propria modalità di pensare o di agire di fronte a situazioni precise, tenendo però presente che agire con un certo stile non implica necessariamente che lo stesso stile sia usato in tutte le situazioni.

    Vediamo quali sono i diversi stili di apprendimento che possiamo utilizzare nelle varie attività.

    Lo stile cognitivo sistematico/intuitivo

    Questi stili riguardano la modalità di ragionamento verso la scoperta di concetti nuovi.

    Chi predilige un pensiero sistematico prende in considerazione ogni informazione a disposizione, procedendo passo dopo passo nel ragionamento.

    Al contrario chi preferisce un pensiero intuitivo, cerca di verificare l’ipotesi iniziale in vari modi, senza un concreto procedimento.

    Gli studenti sistematici procederanno, dunque, con più lentezza ma avranno una maggiore consapevolezza nel raggiungimento del risultato.

    Al contrario gli studenti intuitivi, saranno più veloci ma faranno fatica a dimostrare nel dettaglio come sono arrivati alla soluzione, ovvero a mostrare i passaggi del loro ragionamento.

    Lo stile cognitivo globale/analitico

    Questi stili riguardano la capacità di percezione delle informazioni dall’ambiente.

    Lo studente con stile globale tenderà a concentrarsi sugli aspetti generali per poi sintetizzare la situazione e vederla nel suo complesso, mentre lo studente con stile analitico si soffermerà sui dettagli, concentrandosi sugli aspetti più particolari e minuziosi.

    Lo stile cognitivo impulsivo/riflessivo

    Riguardano i processi di valutazione e risoluzione dei problemi, in riferimento ai tempi di presa delle decisioni.

    Uno studente impulsivo ha la tendenza a fornire soluzioni precipitose, a volte non ottimali, in tempi molto brevi, mentre uno studente riflessivo fornisce risposte più lente e accurate, analizzando minuziosamente tutti i particolari a disposizione.

    Lo stile cognitivo convergente/divergente

    I convergenti tenderanno a dare risposte simili a situazioni già conosciute o già verificate in precedenza, mentre i divergenti cercheranno risposte nuove, creative, anche fuori dagli schemi.

    Lo stile cognitivo verbale/visuale

    Gli studenti verbalizzatori hanno una buona capacità di recepire le informazioni testuali e preferiscono leggere, sottolineare, prendere appunti in formato di sintesi o riepilogo scritto.

    Gli studenti visualizzatori, invece, preferiscono apprendere creando schemi, mappe, grafici e disegni.



  • Il coordinatore pedagogico: ruolo, funzioni e prospettive

    Il coordinatore pedagogico rappresenta una figura professionale innovativa ed emergente, con un ruolo particolarmente complesso.

    La sua figura si declina in maniera molto differente a seconda dei contesti territoriali ed istituzionali nei quali opera.

    L’impossibilità di definirne in termini assoluti, validi per tutte le realtà, l’identità professionale deriva dalla mancanza di una legislazione condivisa sul piano nazionale.

    Il moltiplicarsi dei servizi educativi per la prima infanzia rende ancora più evidente l’esigenza di coordinare sotto il profilo sia pedagogico-didattico sia organizzativo-gestionale tali contesti.

    Un’esperienza di coordinamento, dunque, molto poliedrica e complessa con diverse funzioni, quali:

    • Supporto pedagogico ed educativo;
    • Salvaguardia della qualità educativa dei servizi;
    • Gestione della formazione degli insegnanti e del rapporto con le famiglie;
    • Gestione di tutti gli aspetti organizzativi inerenti i servizi educativi per l’infanzia.

    Il coordinatore pedagogico: genesi ed evoluzione

    Tale figura nasce e si trasforma con lo svilupparsi del nido e degli altri servizi per l’infanzia, tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.

    In tale periodo, infatti, vi è stata una grande rivoluzione nei ruoli sociali e familiari che ha portato progressivamente ad una nuova visione dell’infanzia.

    In quegli anni, i Comuni più attenti cominciarono ad avvalersi della nuova figura del coordinatore.

    E’ a partire dagli anni Ottanta che si verificarono grandi trasformazioni nel panorama dei servizi per l’infanzia, cambiamenti che producono importanti modificazioni anche sul ruolo del coordinatore.

    Cominciano, infatti, a svilupparsi diverse offerte formative rivolte alle famiglie e all’infanzia che portano il coordinatore pedagogico ad essere visto sempre più come il garante e il promotore di una cultura dell’infanzia.

    Il ruolo del coordinatore pedagogico

    E’ possibile conoscere e comprendere le competenze e le funzioni di questo professionista sociale individuandone specifiche e fondanti che ne delineano l’identità operativa.

    1. Elaborazione della progettualità culturale e pedagogica dei servizi per l’infanzia.
      Individuare gli obiettivi generali e specifici relativi all’apprendimento e definire specifici interventi pedagogici e formativi.
    2. Formazione delle competenze educative degli operatori alla prima infanzia, in riferimento anche alla capacità di elaborare un progetto educativo.
    3. Organizzazione del servizio educativo inteso come spazi, tempi, materiali.
      Questi argomenti sono stati già trattati in precedenti articoli, cliccate su questo link 😉
    4. Elaborazione di diversi progetti educativi e formativi.

    L’interconnessione tra l’aspetto pedagogico e quello organizzativo, che connota sempre più la professionalità del coordinatore, è molto forte.

    Come sostiene Catarsi (2010) “l’aspetto pedagogico e l’aspetto organizzativo sono strettamente connessi e intrecciati: l’organizzazione è la modalità con cui viene dato seguito alle scelte pedagogiche”.

    Il coordinatore pedagogico, dunque, deve avere piena consapevolezza degli aspetti amministrativi e organizzativi per garantire che le scelte organizzative effettuate trovino piena corrispondenza nel Progetto.

    Egli compie scelte sia organizzative sia pedagogiche e deve possedere, in modo integrato, entrambe queste competenze.

    Un corpus di competenze tecnico-scientifiche e di natura psico-pedagogica costituisce la connotazione specifica di questa professionalità.

    Coinvolto in queste innumerevoli e complesse realtà, il coordinatore pedagogico rischia in primo luogo il disorientamento legato alla definizione del proprio sé professionale.

    Una figura, dunque, connotata da una grande complessità, innovazione e poliedricità, che richiede necessariamente di lasciare aperte queste riflessioni.


    Gariboldi A, Maffeo R, Pelloni A, (a cura di) “Sostenere, connettere, promuovere, il coordinatore pedagogico nei servizi educativi per l’infanzia”, Edizioni Junior, 2010

  • Progetto educativo nella scuola dell’infanzia: definizione e caratteristiche

    Il progetto educativo può essere definito come quello strumento che sviluppa un processo educativo all’interno di un contesto di apprendimento.

    E’, dunque, un vero e proprio progetto di lavoro che delinea e descrive un percorso con l’obiettivo di realizzare specifiche finalità educative.

    Per fare ciò un progetto parte sempre dai bisogni di uno specifico gruppo, come ad esempio i bambini della scuola dell’infanzia, bisogni che possono essere impliciti ed espliciti.

    Tutto ciò che è educazione non può prescindere dalla dimensione progettuale.

    Il progetto educativo, infatti, è la struttura fondante e l’elemento indispensabile per ogni situazione che voglia porsi come educativa.

    Esso dà un senso all’esperienza educativa: perché si progetta, quali sono i bisogni iniziali, quali sono le attività che devono essere svolti, quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

    La realizzazione dei progetti educativi segue i seguenti step:

    • Identificazione dei bisogni educativi;
    • Definizione delle finalità educative;
    • Definizione degli obiettivi;
    • Scelta dei contenuti;
    • Individuazione dei metodi;
    • Definizione delle modalità di valutazione e verifica.

    La progettazione richiede una grande capacità di ideazione nonché di riflessione e di sistematicità.

    Essa riguarda, infatti, la capacità del progettista educativo di immergersi nella realtà per modificarla attivando, cioè, un processo di intenzionalità e cambiamento.

    Perché fare un progetto educativo alla scuola dell’infanzia

    Il progetto educativo è l’espressione della necessità di promuovere negli studenti crescita personale e sociale.

    Alla scuola dell’infanzia una grande attenzione è rivolta alla programmazione didattica ma anche alla progettazione educativa.

    Con ciò si intende sicuramente una scuola attenta alle finalità educative e non solo didattiche.

    Dunque, educazione e non solo istruzione.

    La progettazione educativa pianifica prospettive generali e a lungo termine, mentre quella didattica è relativa agli apprendimenti che si intende perseguire in un arco di tempo limitato.

    I progetti educativi sicuramente derivano dal PTOF (il piano triennale dell’offerta formativa) dove sono inseriti i valori perseguiti dalla scuola sulla base dei quali sono definiti i singoli progetti.

    Ogni scuola, dunque, ha la libertà di definire la propria progettazione educativa diventando un vero e proprio cantiere ed inventore di progetti 😉

    In questo senso possiamo dire che ogni azione progettuale è flessibile e coerente con i bisogni individualizzati e specifici.

    La scuola dell’infanzia ha una grande responsabilità, perché ha il compito di promuovere precocemente percorsi che favoriscano un’idea di benessere e puntino alla costruzione del progetto di vita di ogni singolo alunno.

  • Progettare alla scuola dell’infanzia: i traguardi di sviluppo delle competenze

    Progettare alla scuola dell’infanzia richiede una riflessione sui traguardi di sviluppo delle competenze e sui campi di esperienza.

    Abbiamo affrontato i campi di esperienza in un precedente articolo, clicca qui per approfondire!

    I traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini alla scuola dell’infanzia vengono esplicitati nei cinque campi di esperienza.

    Approfondiamoli insieme 😉

    Il sé e l’altro

    Si riferisce alla sfera della costruzione dell’identità, alla sfera emotiva, al riconoscimento dei diritti e dei doveri, alle prime domande di senso.

    E’ il campo in cui confluiscono tutte le esperienze ed attività esplicitamente finalizzate, che stimolano il bambino a comprendere la necessità di darsi e di riferirsi a norme di comportamento e di relazione indispensabili per una convivenza unanimemente valida.

    Ecco alcuni traguardi di sviluppo:

    Il bambino sviluppa il senso dell’identità personale ed è consapevole delle proprie esigenze e dei propri sentimenti, sa controllarli ed esprimerli in modo adeguato.

    Sa di avere una storia personale e familiare, conosce le tradizioni della famiglia, della comunità e sviluppa un senso di appartenenza.

    Pone, infatti, domande sui temi esistenziali e religiosi, sulle diversità culturali, su ciò che è bene o male, sulla giustizia, e ha raggiunto una prima consapevolezza dei propri diritti e dei diritti degli altri, dei valori, delle ragioni e dei doveri che determinano il suo comportamento.

    Riflette, si confronta, discute con gli adulti e con gli altri bambini, si rende conto che esistono punti di vista diversi e sa tenerne conto.

    Dunque, è consapevole delle differenze e sa averne rispetto.

    Ascolta gli altri e dà spiegazioni del proprio comportamento e del proprio punto di vista.

    Dialoga, discute e progetta confrontando ipotesi e procedure, gioca e lavora in modo costruttivo e creativo con gli altri bambini.

    Infine, comprende chi è fonte di autorità e di responsabilità nei diversi contesti, sa seguire regole di comportamento e assumersi responsabilità.

    Il corpo e il movimento

    Si riferisce alla scoperta delle potenzialità del proprio corpo, allo sviluppo del coordinamento della motricità generale e fine, all’educazione e alla salute.

    E’ il campo di esperienza della corporeità e della motricità, teso a promuovere la presa di coscienza del valore del corpo.

    I traguardi di sviluppo sono i seguenti:

    Il bambino raggiunge una buona autonomia personale nell’alimentarsi e nel vestirsi, riconosce i segnali del corpo, sa che cosa fa bene e che cosa fa male.

    Conosce il proprio corpo, le differenze sessuali e di sviluppo e consegue pratiche corrette di cura di sé, di igiene e di sana alimentazione.

    Prova piacere nel movimento e in diverse forme di attività e di destrezza quali correre, stare in equilibrio, coordinarsi in altri giochi individuali e di gruppo che richiedono l’uso di attrezzi e il rispetto di regole, all’interno della scuola e all’aperto.

    Controlla la forza del corpo, valuta il rischio, si coordina con gli altri.

    Esercita, dunque, le potenzialità sensoriali, conoscitive, relazionali, ritmiche ed espressive del corpo.

    Progettare alla scuola dell’infanzia riguarda sicuramente questi due campi di esperienza e anche gli altri tre 😉

    Seguici, li affronteremo nei prossimi articoli.

  • L’insegnante della scuola dell’infanzia: la dimensione relazionale e di cura

    In questo articolo vogliamo approfondire il ruolo dell’insegnante della scuola dell’infanzia in riferimento alla dimensione relazionale e di cura.

    Lo sviluppo della professionalità docente, infatti, prende forma in una quotidianità costituita da una pluralità di relazioni che solo se autentiche possono aiutarla e sostenerla nella conquista del proprio Sé.

    In questo senso, dunque, il docente deve essere una figura:

    • Con capacità relazionali;
    • Aperta alla dimensione di collegialità e corresponsabilità;
    • Aperta alla collaborazione con il territorio e le risorse presenti.

    La professionalità docente si arricchisce attraverso il lavoro collaborativo” e “la costruzione di una comunità professionale ricca di relazioni“.

    E’, inoltre, “orientata alla condivisione di conoscenze” attraverso “uno stile educativo ispirato a criteri di ascolto, interazione partecipata, mediazione comunicativa“.

    Nel lavoro educativo la dimensione relazionale e di cura assumono una grande rilevanza.

    Tali concetti si esprimono nella collaborazione, condivisione, interazione, comunità, ascolto, mediazione, accompagnamento, così come nell’instaurare relazioni autentiche, fondate sulla reciprocità e sull’ascolto di tutti.

    Il concetto di cura con i bambini

    Nei confronti dei bambini la dimensione relazionale e di cura non si esplica solo in un generico ascolto a essi rivolto, ma si manifesta nella cura dell’ambiente, dei materiali e dei gesti.

    Solo all’interno di un quadro relazionale positivo, infatti, il bambino costruisce e sviluppa le sue relazioni sociali per strutturare i significati e per interpretare la realtà.

    La cura è inoltre in grado di attivare relazioni gratificanti e incoraggianti per i bambini.

    E’ proprio l’insegnante della scuola dell’infanzia che incoraggia, ridimensiona eventuali insuccessi, fornisce sostegno e appoggio, così da sviluppare nell’allievo autostima, fiducia, sicurezza, interesse.

    Il docente conosce i bisogni reali dei bambini così da adeguare l’azione didattico educativa agli stessi, anche in corso d’opera.

    Il rapporto con gli altri docenti

    Per collegialità si intende un modo di agire, di gestire i rapporti, di assumere decisioni tra colleghi attraverso il contributo e la responsabilità di tutte le persone.

    La collegialità non si improvvisa, al contrario è frutto di un’elaborazione collettiva, espressione di una volontà di accordo e collaborazione.

    Accordo e collaborazione che si realizzano attraverso un graduale processo di convergenza e contrattazione.

    Deve essere garantita, infatti, la partecipazione concreta di tutti 😉

    Per fare ciò le idee, le perplessità e le proposte devono essere rispettosamente accolte e apertamente discusse, mantenendo presente l’obiettivo principale: il benessere dei bambini, dei genitori e dello stesso gruppo docente.

    La comunicazione deve essere aperta e chiara per dialogare e per confrontarsi con tutti, così che si possa riflettere sul lavoro svolto ed, eventualmente, rivedere ed integrare i percorsi.

    Operare collegialmente vuol dire pensare insieme, confrontarsi costantemente con i colleghi, mettersi nelle condizioni di ascolto attivo, programmare, organizzare attività.

    _____________________________________________________________________________________________

    Scuola dell’infanzia e prospettiva zerosei, (a cura di) Cerini G, Mion C, Zunino G, HB, 2019.

  • Il curricolo verticale alla scuola dell’infanzia tra insegnanti e bambini

    In un precedente articolo abbiamo parlato del curriculum implicito (clicca qui per approfondire ;)) oggi invece affrontiamo insieme il curricolo cosiddetto verticale.

    L’idea alla base del concetto di curricolo è di mettere il soggetto che apprende al centro del processo di apprendimento.

    Osservare i prodotti dei bambini, ascoltare le loro risposte, individuare le criticità o le potenzialità impreviste e imprevedibili.

    E poi essere capaci di intervenire ri-progettando il lavoro sulla base delle osservazioni effettuate.

    Il curricolo, dunque, implica una dinamica costante tra ciò che si è fatto e ciò che si pensa di fare successivamente.

    In questo senso comporta una rilettura continua del proprio operato in funzione dei bisogni e delle esigenze del singolo e del gruppo.

    Lavorare sul curricolo significa, infatti, individuare contenuti, metodologie, percorsi capaci di promuovere interessi e conoscenze, partendo dal riconoscimento delle caratteristiche degli individui, rispettandole profondamente e considerandole basi imprescindibili di qualunque crescita e sviluppo.

    La logica curricolare comporta la capacità di tenere insieme la necessaria organizzazione con la doverosa flessibilità che deriva dalla consapevolezza di lavorare con soggetti in età evolutiva.

    Le caratteristiche del curricolo

    Il curricolo deve essere innanzitutto graduale, in quanto tiene conto della continuità dei processi di crescita e di apprendimento dei bambini.

    Condiviso, perché il team docente discute e condivide le scelte metodologiche e i contenuti sui quali impostare i percorsi e le attività.

    L’idea è che tale progettazione deve essere collegiale, integrata e interattiva coinvolgendo tutti gli aspetti.

    Di conseguenza la responsabilità non può che essere collettiva.

    I percorsi e le attività devono essere poi efficaci e capaci di stimolare crescita in tutte le dimensioni di sviluppo dei bambini e garantire esiti formativi a ciascuno.

    I percorsi curricolari devono essere attuabili, ovvero devono selezionare esperienze e contenuti significativi per i bambini.

    Devono essere, cioè, in grado di attivare processi di apprendimento significativi.

    Tale scelta non può dunque prescindere da un’analisi approfondita delle situazioni di partenza dei bambini stessi, ma anche dell’ambiente, del contesto in cui la scuola opera, delle competenze e delle risorse su cui si può contare.

    Il curriculum deve, inoltre, essere in grado di adattarsi alle diverse situazioni locali, deve essere flessibile.

    Il contesto non può essere considerato neutro rispetto agli apprendimenti, ininfluente rispetto alle competenze che si intendono sviluppare.

    Al contrario i contesti co-producono la conoscenza: la crescita e lo sviluppo avvengono, infatti, attraverso la progettazione, la costruzione e l’organizzazione di ambienti, materiali, strumenti, situazioni, che danno significato e senso alle esperienze che vengono proposte.

    Inoltre, lo sviluppo e la crescita del bambino si realizzano all’interno di un processo intersoggettivo socialmente organizzato.

    Il concetto di continuità

    Il concetto di continuità e di curricolo non possono essere trattati in maniera disgiunta.

    Il curricolo, infatti, non può non essere anche verticale, ovvero non può sottrarsi alla responsabilità di accompagnare i bambini nell’intero percorso scolastico.

    Per essere efficace, dunque, il curricolo deve essere verticale, e non può prevedere percorsi spezzettati.

    Solo tempi distesi, percorsi ricorsivi, condivisione profonda di obiettivi comuni rappresentano la garanzia di un’azione educativa efficace.

    Il curricolo, infatti, deve essere pensato e progettato tenendo sempre presente la continuità delle esperienze lungo tutto il percorso di frequenza dei bambini alla scuola dell’infanzia.

    Le esperienze e le attività proposte devono avere un senso e devono essere pensate con continuità, garantendo anche un sereno passaggio tra nido e infanzia e tra infanzia e scuola primaria.

    Questo tema merita un articolo a sé: non perderti il prossimo articolo 😉

  • I campi di esperienza nella scuola dell’infanzia

    Cosa si intende con il termine “campi di esperienza” nella scuola dell’infanzia?

    I bambini esplorano continuamente la realtà ed imparano a riflettere sulle proprie esperienze descrivendole, rappresentandole, riorganizzandole con criteri diversi“.

    In questo modo si parla dei campi di esperienza nelle Indicazioni/2012.

    Questa frase può essere assunta come una descrizione sintetica ma efficace del concetto che sta alla base di tutti i campi di esperienza.

    Tutti i bambini, infatti, esplorano la realtà utilizzando metodi, strategie, linguaggi, modi di comunicare diversi.

    Quando arrivano alla scuola dell’infanzia, a tre anni, hanno una lunga storia di esplorazione alle spalle.

    I bambini nei loro primi anni di vita hanno imparato a camminare, correre, muoversi nello spazio; a parlare e a utilizzare il linguaggio come strumento di relazione con gli altri; fanno congetture e supposizioni; imitano comportamenti e attraverso il gioco del fare finta, iniziano a distinguere il mondo reale da quello immaginativo.

    Tutte queste conquiste sono state raggiunte in modo spontaneo o casuale.

    E’ proprio a questo punto che entrano a scuola dove “imparano a riflettere sulle proprie esperienze”.

    Alla scuola dell’infanzia, dunque, si comincia a riflettere sulle esperienze.

    I campi di esperienza

    Sono i luoghi, gli ambienti pedagogicamente organizzati, sono ponti che prendono il bambino per mano e gli consentono di “descrivere, rappresentare, riorganizzare con criteri diversi” le esperienze nelle quali è coinvolto.

    L’esperienza dei bambini è fatta di partecipazione concreta e diretta, coinvolgente, esperita nella maniera più completa e globale possibile.

    I bambini dai tre anni ai sei anni imparano facendo!

    E’ legandosi i lacci della scarpe o abbottonandosi la giacca che ciascuno di noi ha interiorizzato giorno dopo giorno, in maniera del tutto inconsapevole ma efficace, i concetti del dentro-fuori, sopra-sotto.

    Il fare, dunque, ha un grande valore cognitivo: un fare concreto, legato a materiali, strumenti, gesti reali.

    E’ all’interno di contesti come questi che i bambini sviluppano la loro capacità di osservare in maniera sempre più selettiva e funzionale rispetto i loro scopi, diventano capaci di descrivere utilizzando parole e frasi che assumono connotati e significati sempre più ampi.

    Deve essere, però, un’esperienza di qualità e la scuola dell’infanzia deve garantire questa qualità delle esperienze attraverso la:

    • Creazione di ambienti che sostengano l’apprendimento;
    • Scelta di strumenti che stimolino nei bambini la riflessività che rappresenta la condizione per passare dal fare al saper fare.

    La riflessione sulle esperienze attraverso la descrizione, la rappresentazione e la riorganizzazione con criteri diversi diventa una struttura metodologica applicabile a tutti i campi.

    E’ grazie a questo che è possibile introdurre elementi di concettualizzazione, stimolare il passaggio dal concreto all’astratto, dal segno al simbolo.

    Perché solo attraverso questo passaggio le interazioni dei bambini con la realtà che li circonda diventano sempre più significative e producono concreti risultati in termini di costruzione dell’identità, dell’autonomia, della competenza.

    I 5 campi di esperienza attualmente sono così suddivisi:

    1. Il sé e l’altro
    2. Il corpo e il movimento
    3. I discorsi e le parole
    4. Immagini, suoni, colori
    5. La conoscenza del mondo

    Non perderti i nostri prossimi articoli dove li approfondiremo uno alla volta 😉

    _____________________________________________________________________________________________

    Scuola dell’infanzia e prospettiva zerosei, (a cura di) Cerini G, Mion C, Zunino G, HB, 2019.

  • Gli spazi a scuola: progettazione e organizzazione

    Gli spazi a scuola, la loro organizzazione e progettazione costituiscono un aspetto fondamentale dell’azione educativa.

    Essi sono uno degli aspetti più importanti del curricolo implicito della scuola dell’infanzia che abbiamo trattato nell’articolo precedente.

    La scuola è l’ambiente nel quale i bambini trascorrono molto tempo e nel quale avvengono importanti momenti educativi di crescita e di sviluppo.

    L’ambiente scuola, infatti, è ricco di connotazioni educative e formative.

    E’ lo spazio degli affetti, dove ciò che conta è come ci si sente al suo interno, dove si sviluppano vissuti, memorie, affetti, attraverso i quali il bambino sperimenta e costruisce la sua identità.

    Gli spazi a scuola

    Gli spazi a scuola sono educazione e crescita.

    Essi, infatti, raccontano l’identità di una scuola e lo stile educativo degli insegnanti e degli educatori.

    Ad esempio, una disposizione degli ambienti che non consenta ai bambini di utilizzarli in modo libero, non potrà facilitare l’organizzazione spontanea ed autonoma di giochi e attività.

    Oppure, una strutturazione degli arredi poco flessibile, che non permetta di modificarne la disposizione per una certa attività o per lavorare in piccoli gruppi, tenderà ad offrire ai bambini contesti di apprendimento limitati e ripetitivi.

    Gli spazi a scuola, dunque, devono essere pensati e progettati con cura e consapevolezza.

    All’interno della sezione o di altri spazi all’interno della scuola, possono essere predisposti alcuni ambienti, con proposte di attività diverse.

    Questi ambienti vengono chiamati “angoli”, ­ovvero zone nelle quali si presentano alcune situazioni che ricreano ambienti o suggeriscono azioni coordinate.

    Sono spazi che si presentano ordinati e raccolti, progettati con lo scopo di offrire un’atmosfera familiare e a misura di bambino.

    Progettazione degli spazi

    Per essere efficaci gli spazi a scuola devono essere:

    • Identificabili nella strutturazione;
    • Riconoscibili per la presenza di materiali adeguati all’angolo;
    • Condivisi a piccoli gruppi;
    • Ordinati e raccolti.

    Gli spazi devono, infatti, ricreare gli ambienti familiari e suggerire azioni coordinate.

    La suddivisione della sezione e degli spazi comuni per angoli o centri d’interesse consente di individualizzare l’insegnamento.

    I bambini possono scegliere l’angolo che preferiscono 😉

    Questo solo se gli angoli sono opportunatamente pensati e organizzati dall’insegnante e dall’educatore.

    Inoltre, la strutturazione in angoli mette il bambino nella condizione di fare da sé.

    Se si offre un ambiente ben organizzato, ricco di proposte di attività, il bambino, spinto dalla curiosità, si potrà muovere secondo una ricerca personale, scegliendo lo spazio che al momento lo interessa maggiormente.

  • Il curricolo implicito nella scuola dell’infanzia: di cosa parliamo

    Nella scuola dell’infanzia molto importante è il curricolo, in particolare il curricolo implicito.

    Una delle responsabilità del coordinatore pedagogico è proprio quella di riflettere sul curricolo della scuola.

    Le scelte pedagogiche e le azioni educative messe in atto, infatti, determinano proprio il curricolo.

    Vediamo insieme cosa significa e di cosa parliamo 😉

    Il curriculum rappresenta le fondamenta di tutto il pensiero e di tutte le scelte educative e pedagogiche di una scuola dell’infanzia.

    Esso attraversa vari piani dell’esperienza scolastica, nello specifico:

    • Gli obiettivi cognitivi e le strategie dell’apprendimento;
    • I contenuti culturali e le attività didattiche;
    • Le metodologie dell’apprendimento;
    • Le strategie e le scelte organizzative.

    Attraversando diversi piano dell’esperienza il curricolo ha diverse funzioni:

    • Didattica, in quanto itinerario di insegnamenti progettati;
    • Organizzativa, in quanto percorso in ambienti progettati, organizzati, in tempi pensati;
    • Relazionale, in quanto percorso di azioni svolte e realizzate insieme ad altri, in modo reciproco.

    Dunque, il curricolo deve essere inteso come l’offerta di saperi essenziali e particolari insieme, cioè validi per tutti, ma allo stesso tempo specifici per ogni bambino.

    E’ il programma che si adatta alla realtà della classe e di ciascuno dei suoi componenti (Penso, 2012).

    Curricolo esplicito ed implicito

    Nella scuola dell’infanzia possiamo dire che sono co-presenti, due modelli allo stesso tempo antitetici e complementari.

    Da una parte, infatti, individuiamo un’educazione formale, un insieme di interventi a scopo formativo appositamente pensati, elaborati, strutturati e messi in atto dagli insegnanti.

    Si tratta di azioni mirate, pensate, progettate, ad hoc, con proposte didattiche specifiche riferito ai cosiddetti campi di esperienza.

    Tutti quegli apprendimenti specifici da intendere come le possibili esperienze di crescita intellettiva e culturale dei bambini lungo l’arco del loro sviluppo.

    Dall’altra parte, invece, è presente un curricolo implicito, una pedagogia latente, informale.

    Ad essa è dedicato gran parte del tempo ed è inserita nella vita quotidiana.

    Il bambino apprende, in questo caso, osservando, imitando, aderendo ai modelli ed alle indicazioni (per lo più implicite) proposte dagli adulti o trasmesse e suggerite dal contesto ambientale nel quale egli si trova.

    Quando si parla di “curricolo implicito” si fa riferimento al valore educativo che ha l’organizzazione degli spazi e dei tempi di una scuola.

    E’ pedagogia in quanto condiziona scelte e suggerisce azioni ed è implicita perché non è visibile, espressa.

    Anche se non visibile e non espressa, però, influisce e condiziona lo sviluppo dei bambini.

    Il curricolo implicito

    Quali sono le dimensioni del curricolo implicito?

    Innanzitutto esso è costituito dagli spazi, dove si vive e si cresce e che parlano e raccontano la storia di una scuola, gli stili educativi, le scelte pedagogiche degli insegnanti.

    E’ poi costituito dai tempi e dalla loro strutturazione che può essere più o meno affrettata o distesa e rispettosa dei ritmi dei bambini.

    Dai materiali sia informali che strutturati da manipolare, esplorare ed ordinare.

    Dalle routine, attività quotidiane che scandiscono il tempo di vita a scuola con regolarità e prevedibilità, eventi stabili e ricorrenti che nello scorrere della vita quotidiana, fatta di tante significative sequenze, restituiscono al bambino il senso della stabilità e della continuità.

    Nei prossimi articolo affronteremo insieme tutti questi aspetti specifici del curricolo implicito.

    Non perderti i nostri prossimi articoli 😉

  • Il coordinatore pedagogico nelle scuole dell’infanzia

    In questo articolo voglio parlarvi del ruolo e delle attività del coordinatore pedagogico nelle scuole dell’infanzia.

    Vedremo insieme tutte quelle che sono le sue attività quotidiane, i suoi compiti e le sue responsabilità.

    Pronti?

    Venite con me nel mondo del coordinamento pedagogico 😉

    Chi è il coordinatore pedagogico

    E’ una figura di vitale importanza in tutti i servizi educativi della prima infanzia: dal nido alla scuola dell’infanzia e anche negli altri gradi scolastici.

    Partiamo dal principio.

    Il Pedagogista è dotato di Laurea Specialista ad indirizzo Pedagogico che, dapprima legato agli enti Locali, si è sviluppata con la nascita e la diffusione degli asili nido e delle scuole dell’infanzia comunali e privati.

    Negli ultimi anni, e con l’aggiornamento delle normative regionali in materia di servizi educativi alla prima infanzia, il coordinamento è richiesto, e obbligatorio, anche presso le strutture a gestione privata.

    Il Coordinatore Pedagogico è, infatti, responsabile del progetto educativo, della sua verifica e della sua qualità, della formazione e dell’aggiornamento del personale educativo.

    Sostiene, orienta, controlla e cura le attività dei servizi educativi, facilitando il confronto, lo scambio di esperienze e la formazione.

    Attiva azioni di consulenza pedagogica e di supervisione del lavoro svolto dal personale educativo.

    E’ una figura necessaria nei servizi per l’infanzia con ruoli e compiti specifici, di grande responsabilità per il funzionamento della scuola.

    Fa, dunque, da ponte tra le insegnanti e i genitori, gestendo tutte le possibili problematiche gestionali, pedagogiche ed educative.

    Il Pedagogista a scuola proprio non può mancare!

    Ruolo e compiti

    Il Coordinatore Pedagogico si occupa di:

    • Curare, orientare e sostenere il lavoro educativo degli operatori dei servizi per l’infanzia;
    • Osservare il lavoro educativo per fornire strumenti operativi e strategie di cambiamento;
    • Attivare azioni di consulenza pedagogica e di supervisione del lavoro svolto dal personale educativo;
    • Gestire situazioni particolarmente critiche durante il lavoro educativo;
    • Fornire formazione e aggiornamento degli operatori secondo l’ottica della formazione permanente;
    • Monitorare e verificare l’andamento e la qualità dei programmi educativi e dei progetti educativi messo in atto dal servizio per l’infanzia, con lo scopo di fornire un sostegno tecnico ed operativo;
    • Coordinare e valutare progetti e percorsi di sperimentazione educativo/didattica.

    Seguite i prossimi articoli dove approfondiremo tutti questi compiti e attività del Pedagogista con tanti spunti pratici e di riflessione.

    Nei prossimi articoli voglio riportarvi la mia esperienza come Coordinatore Pedagogico di una scuola dell’infanzia con tutte le attività e i progetti quotidiani 😉

× Richiedi una consulenza!