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consulenza pedagogica

  • Inclusione e integrazione: la pedagogia interculturale

    Quando parliamo di inclusione e integrazione non possiamo non parlare della pedagogia interculturale.

    Cominciamo subito con una importante distinzione.

    Multiculturale e interculturale

    Il termine multiculturale indica una situazione in cui le diverse culture coesistono fra loro, senza occasioni di confronto, scambio, parità, reciprocità, incontro ed apertura.

    Il termine interculturale, invece, indica una situazione di interazione e di integrazione fra le diverse culture, caratterizzata da pluralismo culturale, incontro e confronto democratico.

    L’intercultura, infatti, presuppone l’idea e l’impegno a ricercare forme, strumenti ed occasioni per sviluppare un confronto e un dialogo costruttivo e creativo.

    E’ un concetto dinamico che vuole presupporre l’idea e l’impegno di sviluppare un dialogo costruttivo e creativo nonché un reale confronto.

    Valorizzare le differenze senza annullarle!

    Il tutto attraverso una scambio attivo che porta al rispetto reciproco.

    Ad impedire la costruzione di una società disponibile al confronto e allo scambio culturale, bloccandola alla dimensione multiculturale, vi sono sia atteggiamenti contradditori di apertura e chiusura da parte dei gruppi di immigrati, sia resistenze messe in atto dalla popolazione autoctona.

    Passare ad una società interculturale richiede necessariamente un progetto pedagogico.

    Un progetto cioè finalizzato alla costruzione e allo sviluppo di un pensiero aperto e flessibile, problematico ed antidogmatico, capace di decentrarsi dai propri riferimenti mentali e morali, per riconoscere e comprendere le differenze e le analogie con le altre culture.

    In tal senso l’inter della parola interculturalità sta a designare non soltanto un’istanza di comparazione, ma bensì un’esigenza di reciproca solidarietà nel costruire, insieme, progetti di convivenza democratica.

    Le culture hanno bisogno di interrogarsi sui propri aspetti, di confrontarsi e di arricchirsi di elementi innovativi 😉

    Oggi l’interculturalità rappresenta il più alto grado di civilizzazione e va perseguita, nella società e nelle scuole.

    Inclusione e integrazione

    Molto spesso si tende anche a confondere il termine inclusione con quello di integrazione.

    L’integrazione è un processo basato principalmente su strategie per portare l’alunno “diverso” ad essere quanto più possibile simile agli altri.

    Alla base di tale prospettiva rimane un’interpretazione della disabilità come problema di una minoranza, a cui occorre dare opportunità uguali a quelle degli altri alunni.

    Nell’integrazione l’azione si focalizza sul singolo soggetto.

    L’inclusione, invece, si basa sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti e della valorizzazione delle differenze e peculiarità di ciascuno.

    Ogni alunno è portatore di una propria identità e cultura, di esperienze affettive, emotive e cognitive: peculiarità che devono essere valorizzate.

    In questo senso, l’inclusione non va pensata come un modo di “normalizzare il diverso”, bensì come un modo per ripensare i nostri ambienti di apprendimento e renderli più fruibili per quella stessa “normalità” per cui sono stati concepiti.

    Fondamentale per un’efficace inclusione è la valorizzazione di tutte le differenze!

  • Educare alla diversità: spunti e prassi pedagogiche

    Educare alla diversità è un aspetto molto importante in educazione e in pedagogia.

    Esistono diversi modi di dire, infatti, a riguardo:

    Tutto il mondo è paese!

    Per fortuna non siamo tutti uguali!

    Ma allora quale delle due è vera? La prima che dice che in fondo-in fondo ci assomigliamo tutti, o la seconda che al contrario dice che siamo tutti diversi?

    É sicuramente vero che siamo tutti esseri umani, con pari diritti e pari dignità.

    Allo stesso tempo, però, nonostante la nostra comune natura di esseri umani che ci conferisce uguali diritti ed uguale dignità, siamo tutti estremamente diversi, per fortuna 😉

    Tra gli essere umani inevitabilmente ci sono delle differenze.

    Siamo tutti diversi gli uni dagli altri: caratteristiche corporee o caratteriali, preferenze. gusti, comportamenti, ecc.

    Queste diversità non sono un male, anzi, sono una ricchezza da vivere con orgoglio, curiosità e voglia di confronto!

    Educare alla diversità e pedagogia interculturale

    La convivenza tra persone, però, non è sempre facile, anzi a volte può essere molto difficoltosa…e il rischio è quello di entrare in disaccordo con gli altri.

    Come fare in questi casi?

    Ci sono alcuni consigli provenienti dall’ambito della pedagogia interculturale che possono risultare utili per un dialogo costruttivo e non distruttivo con chi è diverso da noi.

    Innanzitutto, non c’è una verità assoluta, questo perché la verità deriva dalla nostra interpretazione di quello che vediamo o sentiamo nel mondo.

     Questo concetto è spiegato molto bene nella parabola indiana dei “Ciechi e l’elefante”. La conoscete? Eccola qui!

    C’erano una volta sei vecchi saggi che vivevano in una cittadina; erano saggi ma erano tutti ciechi. Un giorno venne condotto in città un elefante, un animale che non avevano mai incontrato. I sei saggi volevano conoscerlo, ma essendo ciechi non potevano vederlo. Decisero quindi di toccarlo.

    Il primo saggio si avvicinò all’elefante e gli toccò un orecchio, sentendolo grande e piatto; inoltre lo sentì muoversi lentamente producendo una dolce aria fresca, perciò disse: “L’elefante è come un grande ventaglio”.

    Il secondo saggio toccando invece una zampa disse: “Ti sbagli. L’elefante è come un forte albero”.

    State sbagliando entrambi”, disse il terzo toccandogli la coda. “L’elefante è come una corda”.

    Il quarto saggio, toccando invece la punta di una zanna disse: “Non è vero, l’elefante è come una lancia”!

    No, no” disse il quinto saggio toccando il fianco dell’animale. “Che stupidaggini! L’elefante è come un muro”.

    Il sesto intanto aveva afferrato la proboscide. “Avete sbagliato tutti”, disse, “L’elefante è come un serpente”!

    “No, come una fune”.

    “No, come un ventaglio”.

    “Come un serpente!”

    “Un muro!”

    “Avete torto tutti!” “Ho ragione io!”

    I sei ciechi, convinti tutti di avere la verità in tasca, non riuscirono mai a scoprire come fosse davvero fatto un elefante.

    Questa breve storia ci insegna come non esista davvero un’unica verità, ma di come noi tutti possediamo una piccola parte delle informazioni…se le mettiamo in comune, senza avere la pretesa di essere nel giusto, forse conosceremo meglio l’elefante!

    Un altro consiglio da tenere in mente quando ci approcciamo alla diversità è che se l’altro è diverso da me… allora anche io sono diverso da lui!

  • Tutoring tra pari: i pari possono svolgere il ruolo di tutor?

    Oggi voglio parlarvi di tutoring tra pari.

    Ne conoscete il significato?

    Un bambino più esperto decide di istruire e guidare un altro bambino, con l’obiettivo di portarlo ad un livello di competenza simile al proprio.

    In un precedente articolo vi ho parlato dell’educazione tra pari e dell’importanza delle relazioni tra pari nello sviluppo e nella crescita dei bambini. Ecco il link 😉

    I bambini si aiutano reciprocamente per risolvere i problemi, anche nello studio e nelle situazioni di apprendimento.

    In questo senso, infatti, il tutoraggio tra pari è proprio un’attività di sostegno allo studio portato avanti da uno studente nei confronti di un proprio coetaneo.

    Il tutoring tra pari

    Il peer tutoring è una metodologia che se applicata correttamente è estremamente efficace per l’apprendimento dei ragazzi!

    In particolare è molto adatta se uno studente tende a provare emozioni negative nel confronto quotidiano con gli adulti.

    Dunque, per uno studente può essere estremamente benefico l’essere affiancato nello studio da un coetaneo, in modo che lo studio possa risultare più gradevole e che il momento dell’apprendimento scolastico abbia meno emozioni negative.

    Il ragazzo che fa da tutor utilizzerà molto probabilmente un linguaggio, esempi e modalità comunicative più semplici da comprendere per lo studente rispetto a quelli utilizzati dagli adulti.

    L’attività di peer tutoring non è benefica solo per chi riceve il tutoraggio…ma anche per chi lo offre!

    Alcuni dei vantaggi per i peer tutor possono essere:

    • Di tipo scolastico, per consolidare le conoscenze già acquisite e colmare qualche lacuna;
    • Di sviluppo personale, per potenziare l’autostima e la fiducia in sé o per affinare alcune abilità sociali.

    Spiegare è uno dei modi migliori per imparare 😉

    I vantaggi

    La maggior parte degli studi sul tutoraggio tra pari ha dato risultati positivi.

    I bambini traggono grande vantaggio dalla guida di un compagno, anche quando la differenza di età tra i due è minima.

    Inoltre, lo scambio è proficuo anche per il bambino più esperto.

    Per essere realmente efficace però devono esserci alcune condizioni.

    Non è sufficiente, infatti, stare in compagnia di un pari più esperto per progredire.

    Nei casi, ad esempio, in cui il più esperto comprende il problema meglio del partner meno competente, ma non a fondo, il processo di istruzione potrebbe essere negativo.

    Allo stesso modo, se il tutor domina e non concede abbastanza spazio all’altro è probabile che quest’ultimo non ne tragga gran beneficio.

    Chiaramente, i tutor bambini devono adottare alcune strategie per essere efficaci nella loro funzione di istruire, ad esempio:

    • Mostrarsi sensibili nei confronti degli sforzi dei loro partner;
    • Fornire il feedback al giusto livello;
    • Adeguare le direttive all’abilità dell’apprendista di interiorizzarle.

    Bibliografia

    Shaffer Rudolph H, Psicologia dello sviluppo un’introduzione, Raffaello Cortina Editore, 2004

  • La competenza emotiva e il controllo delle proprie emozioni

    Abbiamo parlato di emozioni in diversi articoli: cosa sono le emozioni e perché sono importanti nella crescita dei bambini, cosa significa gestire le emozioni.

    Oggi continuiamo a parlare di emozioni parlando però della competenza emotiva.

    L’idea che le persone si differenzino per il loro grado di intelligenza è oramai accettata a livello universale.

    Al contrario, invece, l’idea che si possa valutare in maniera simile anche l’adeguatezza del funzionamento emotivo è stata riconosciuta con grande ritardo.

    L’idea di poter effettivamente misurare il funzionamento emotivo e determinare se una persona è più abile di un’altra nell’affrontare le emozioni è stata presa in considerazione solo in tempi recenti.

    A tal proposito, Goleman ha pubblicato Intelligenza emotiva (1995) enfatizzando, infatti, il bisogno di sviluppare una “alfabetizzazione emotiva”.

    Che cos’è la competenza emotiva?

    Rispondere a questa domanda non è semplice.

    Innanzitutto, la competenza emotiva è costituita da otto componenti principali:

    • Consapevolezza del proprio stato emotivo;
    • Capacità di riconoscere le emozioni altrui;
    • Saper utilizzare il vocabolario delle emozioni;
    • Capacità di coinvolgimento simpatetico nelle esperienze emotive di altre persone;
    • Saper comprendere che lo stato emotivo interiore non corrisponde necessariamente alla manifestazione esteriore, sia in se stessi sia in altre persone;
    • Capacità di affrontare in maniera adattiva le emozioni negative e angoscianti;
    • Consapevolezza che le relazioni sono definite in larga misura dal modo in cui le emozioni sono espresse e dalla reciprocità delle emozioni al loro interno;
    • Capacità di autocontrollo emotivo, ovvero avere il controllo delle proprie esperienze emotive e saperle accettare.

    Ognuna di queste componenti rappresenta un’abilità che i bambini devono padroneggiare nel loro cammino verso la maturità.

    Ma attenzione: avere successo in una di esse non garantisce il successo in un’altra, tanto meno in tutte le altre.

    Dunque, esprimere la competenza emotiva per mezzo di un indice simile al quoziente intellettivo non avrebbe molto senso.

    Potrebbe essere, invece, più utile un profilo che descriva le forze e le debolezze dell’individuo nelle varie componenti.

    Ciò che definiamo competenza deve, ovviamente, essere sempre valutata in relazione all’età della persona, ma anche al suo background culturale.

    Aspetti positivi

    La competenza emotiva è strettamente associata alla competenza sociale, in particolare perché la capacità di maneggiare le proprie e le altrui emozioni è fondamentale nelle interazioni sociali.

    Questo aspetto è particolarmente evidente nelle interazioni tra pari.

    Da alcune ricerche emerge che i bambini che hanno elaborato modalità costruttive per la gestione delle proprie emozioni hanno generalmente più successo nel rapporto con gli altri.

    Ancora, i bambini in grado di segnalare con chiarezza agli altri i propri stati emotivi sono più apprezzati dal gruppo dei pari.

    E ancora, i bambini che interpretano con accuratezza i messaggi emotivi degli altri hanno una maggiore approvazione sociale.

    Dal controllo degli altri al controllo di sé

    Le persone non solo hanno emozioni, ma le maneggiano (Frijda 1986).

    In questo senso, la capacità di inibire o modulare le proprie emozioni in modo socialmente accettabile, ovvero essere in grado di regolare, controllare, riorientare e modificare i propri impulsi nel rispetto delle norme sociali è essenziale.

    I bambini, infatti, per diventare “emotivamente competenti” devono riuscire a controllare le proprie emozioni, positive e negative.

    Il trasferimento del controllo emotivo dal genitore al bambino è un compito evolutivo fondamentale che impegna tutta l’infanzia e non giunge mai ad una conclusione definitiva.

    Durante l’infanzia, infatti, raccogliamo tutta una serie di strategie per la regolazione e la manifestazione delle emozioni.

    Più vasta è la gamma di strategie e più flessibile è l’individuo nell’utilizzarle, maggiori sono le probabilità di un buon adattamento sociale.

    Bibliografia

    Shaffer Rudolph H, Psicologia dello sviluppo, Un’introduzione, Raffaello Cortina Editore, 2004

  • Gestione delle emozioni nei bambini: consigli e strategie

    La gestione delle emozioni è molto importante nella crescita e nello sviluppo dei bambini.

    In realtà, tutto ciò che riguarda le emozioni è importante per la crescita dei bambini.

    Di emozioni abbiamo già parlato in un nostro precedente articolo, che puoi trovare cliccando qui, riguardante lo sviluppo emotivo e il linguaggio delle emozioni.

    Abbiamo visto, infatti, che un’emozione può essere definita come “una reazione soggettiva a un evento saliente, caratterizzata da cambiamenti fisiologici, esperienziali e comportamentali”.

    C’è sempre un evento scatenante specifico per ogni emozione, così come ci sono sempre cambiamenti fisiologici, esperienziali e comportamentali.

    Le emozioni ci accompagnano quotidianamente: alla base di ogni comportamento, infatti, si cela sempre un’emozione!

    Hanno funzioni positive e servono per comunicare i propri bisogni ed esigenze agli altri, hanno una valore di sopravvivenza e svolgono funzioni utili per la regolazione interpersonale.

    La gestione delle emozioni

    Rabbia, gioia, tristezza, paura sono tutte emozioni che i bambini, e anche gli adulti, possono provare in riferimento a diverse situazioni.

    Fondamentale è la modalità di gestione delle emozioni 😉

    A volte possono essere difficili da gestire, soprattutto la rabbia o la tristezza, e la modalità più utilizzata potrebbe essere quella di reprimerle o contenerle.

    Questa modalità però non è educativamente funzionale.

    Al contrario le emozioni devono essere sempre espresse, comunicate e gestite in modo positivo e costruttivo 😉

    I genitori in questo hanno un ruolo fondamentale nell’educare i bambini alla “giusta” espressione e gestione delle proprie emozioni.

    Ecco qualche consiglio per aiutare i bambini a regolare le proprie emozioni 😉

    Educare alle emozioni

    La capacità dei bambini di gestire le emozioni non è innata, ma si apprende con la crescita, soprattutto osservando i propri genitori e le altre persone a loro vicini.

    Sono i genitori, infatti, che aiutano i bambini a comprendere e orientare la tensione interna che si accompagna a un vissuto emotivo.

    In questo è importante accompagnare i bambini, già dalla tenera età, nella conoscenza e nella comprensione di tutte le emozioni, nonché nella loro espressione positiva.

    Dare l’esempio è fondamentale.

    Parlare delle proprie emozioni, mostrando come gestirle e verbalizzarle in modo appropriato e particolareggiato.

    Incoraggiare a propria volta il bambino a parlare di quello che sente.

    È importante evitare frasi come “non essere triste” o “non dovresti arrabbiarti per questo”, ma incoraggiare espressioni come “ho visto che sei triste. Cosa è successo? Ti va di parlarne?”.

    Oppure riportare esperienze personali per incoraggiare il bambino a parlarne, normalizzando il suo vissuto interno (“una volta anche io mi sono sentito in questo modo perché…”). 

    È importante far capire al bambino che uno stesso evento può attivare emozioni diverse fra le persone e che è anche normale provare più emozioni diverse allo stesso tempo.

    Non c’è nulla di sbagliato nel provare emozioni, ma che al contrario è naturale provarle!

    Bisogna soltanto imparare a capire come e quando è appropriato agirle.

    Per altri consigli o approfondimenti non esitare a contattarci e richiedere un percorso specifico per accompagnare e educare alle emozioni i tuoi bambini.

  • Educazione e rispetto delle regole: quale equilibrio

    Educazione e rispetto delle regole sono due concetti fondamentali per la crescita e lo sviluppo equilibrato dei bambini.

    Riuscire a far “rispettare” le regole, infatti, è una delle principali difficoltà dei genitori nell’educazione dei propri figli.

    Ricevo quotidianamente richieste da parte di genitori che non riescono a farsi ascoltare dai propri figli oppure faticano a gestire i loro capricci.

    Un papà, ad esempio, mi racconta di non riuscire a farsi ascoltare dal proprio bambino: ogni giorno diventa una lotta per andare a dormire, vestirsi per andare all’asilo o accettare un “no”.

    Ancora, una mamma mi scrive di non riuscire a gestire il momento della nanna, in quanto la bambina non vuole mai smettere di giocare e andare a dormire.

    Ciò sfocia, naturalmente, in pianti e urla.

    Un’altra coppia di genitori mi racconta che il proprio figlio in casa si oppone ad ogni regola, disubbidendo continuamente.

    Tutte queste situazioni hanno un denominatore comune: come facilitare l’interiorizzazione, la comprensione e il rispetto delle regole nei bambini?

    Proprio per questo ho ideato un percorso specifico dal nome “EDUCHIAMOCI ALLE REGOLE” con l’intento di sostenere i genitori nell’educazione e nel rispetto delle regole.

    Per saperne di più!

    Cosa sono le regole

    Le regole non devono essere intese come divieti o imposizioni, dall’alto, bensì come norme di comportamento necessaria per la vita sociale e comunitaria.

    In famiglia, a scuola e in società dobbiamo conoscere, seguire e rispettare delle regole ben precise.

    Sancire delle regole, infatti, non è sufficiente per farle rispettare, così rimangono soltanto dei condizionamenti esterni.

    Per essere realmente rispettate devono essere conosciute, apprese e interiorizzate 😉

    Educazione e rispetto delle regole

    I bambini, anche molto piccoli, osservano tantissimo tutto quello che accade intorno a loro, per capire come funziona il mondo circostante.

    Crescendo, poi, queste osservazioni si fanno sempre più sistematiche verso il mondo intero.

    I bambini iniziano a consolidare l’apprendimento del “come si fa a…” ottenere le cose desiderabili, entrare in contatto con gli altri, gestire i conflitti, padroneggiare gli eventi, e così via.

    In questo modo, dunque, i bambini conoscono e interiorizzano le norme sociali necessarie per il vivere civile e per una socialità basata sul riconoscimento e sul rispetto reciproco.

    Così il bambino sperimenta sia la realtà fisica sia gli atteggiamenti e le risposte degli adulti, assumendo atteggiamenti provocatori per provocare, appunto, risposte chiarificatrici.

    Pensate ad esempio a quando il bambino fa un capriccio o punta i piedi perché non vuole fare una cosa e lancia uno sguardo agli adulti presenti per vedere cosa pensano e cosa fanno, per imparare cosa è permesso e cosa non lo è!

    Questi “gesti provocatori” devono essere colti: è questo il momento in cui il bambino chiede che gli venga insegnata una regola. Sgridarlo e basta vuol dire perdere un’importante occasione di apprendimento.

    Interiorizzare le regole è, dunque, un processo conoscitivo che deve essere sostenuto da noi adulti.

  • La gestione dei conflitti in età scolare: strategie e competenze

    La gestione di conflitti in modo positivo è importante in tutti i contesti sociali, soprattutto a scuola e in famiglia.

    I bambini devono essere, infatti, educati ad una corretta gestione dei conflitti 😉

    I conflitti sono un qualcosa di positivo se espressi e gestiti nel modo giusto!

    Cosa è un conflitto

    Il conflitto è sempre l’espressione di un bisogno insoddisfatto.

    Ebbene sì, alla base di un conflitto c’è sempre un qualcosa che non va, un disagio insoddisfatto e inespresso.

    Disagio che, per tale ragione, deve essere conosciuto e compreso per essere risolto.

    In questo senso, il conflitto può essere visto in modo sano e positivo perché permette alle persone coinvolte di esprimere il proprio disagio e risolverlo.

    Il conflitto interpersonale, infatti, si sviluppa tra due persone quando la soddisfazione di un desiderio o il conseguimento di un obiettivo da parte di un singolo entra in contrasto con i desideri e gli obiettivi di altre persone.

    Entrare in conflitto significa iniziare a discutere con un’altra persona e aprire un contesto comunicativo e dialogico che favorisce e offre l’opportunità di uno scambio attivo e concreto.

    Ogni comunicazione, così come ogni conflitto, necessita di abilità di interazione sociale, come ascolto attivo e dialogo, assertività, negoziazione e comprensione.

    La gestione dei conflitti

    Come anticipato, il conflitto in sé per sé non è dannoso, anzi se gestito e risolto efficacemente può essere molto positivo.

    Conflitti che si protraggono nel tempo, non risolti, diventano causa di rancori, aggressività e stress; ciò è sicuramente deleterio per tutti i rapporti interpersonali.

    La gestione dei conflitti efficace non significa soltanto risolverli, bensì conoscere le cause e le motivazioni che li hanno generati e le strategie per poter giungere alla loro pacifica risoluzione.

    Questa capacità di gestire i conflitti in modo positivo non è semplice da attuare, soprattutto per i bambini e i ragazzi che devono essere educati in questo da noi adulti.

    Quello che molto spesso accade, infatti, è che i ragazzi adottino provocazioni vicendevoli che sfociano poi in un’aggressività fine a se stessa.

    L’aggressione comporta sempre dei comportamenti che mirano ad offendere e nuocere l’altra persona.

    Il conflitto, invece, si manifesta in condizioni di incompatibilità, in cui una persona si oppone apertamente alle azioni o alle motivazioni dell’altro, inizia con l’opposizione ma termina sempre con la risoluzione.

    L’obiettivo principale del conflitto è, infatti, quello di ristabilire l’equilibrio personale e interpersonale attraverso l’uso di specifiche strategie di gestione dei conflitti.

    Per la gestione efficace dei conflitti è necessario mettere in campo le proprie personali capacità, tra cui:

    • Assertività;
    • Dialogo e ascolto attivo;
    • Capacità di gestire le proprie e altrui emozioni;
    • Intelligenza emotiva.

    Sviluppando tutte queste capacità e competenze i bambini e i ragazzi saranno in grado di gestire efficacemente i conflitti e vivere in modo sereno le proprie relazioni.

  • Gestire la rabbia nei bambini: istruzioni per l’uso

    Perché gestire la rabbia nei bambini non è sempre facile? Perché molto spesso pensiamo di doverla reprimere e contenere senza invece esprimerla nel modo adeguato?

    La rabbia è una delle emozioni primarie ed è di vitale importanza per la crescita e lo sviluppo dei bambini.

    In questo senso, la rabbia è un’emozione legittima che i bambini possono, anzi devono provare.

    Non deve, dunque, essere repressa, bensì deve essere compresa.

    Vediamo insieme come 😉

    La rabbia

    La rabbia è un’emozione primaria, insieme alla gioia, alla paura, alla tristezza e al disgusto.

    Molto spesso, però, viene considerata un’emozione scomoda, non piacevole, che non dovrebbe essere provata o meglio non dovrebbe essere espressa.

    La rabbia produce un aumento della pressione sanguigna, l’innalzamento dei neurotrasmettitori legati allo stress e l’abbassamento di quelli legati al piacere.

    Essa non è un’emozione né negativa né positiva, spesso ha a che fare con paura, frustrazione, senso di inadeguatezza. 

    I bambini, infatti, sono i primi a sentire questo senso di malessere che li assale.

    Malessere che, soprattutto se molto piccoli e non educati a gestire la rabbia, faticano a canalizzare nel modo giusto.

    I bambini molto piccoli la sperimentano in continuazione essendo parte integrante del loro processo di crescita.

    Possibili cause della rabbia nei bambini

    I bambini si arrabbiano molto spesso, per le ragioni più disparate e con le reazioni più disparate, lo sappiamo bene 😉

    Ecco alcune possibili cause:

    • Promesse fatte e non mantenute: attenzione a quello che promettete, deve essere sempre realistico!
    • Un “no” o una regola non compresa e non accettata;
    • Una frustrazione, ad esempio volere un oggetto e non poterlo avere;
    • Stanchezza;
    • Un’ambiente troppo affollato o rumoroso;
    • Un modo per attirare l’attenzione dell’adulto.

    In tutte queste situazioni ricordate sempre di non giudicare o di non minimizzare l’emozione della rabbia: è sempre lecita, i bambini non conoscono il giusto modo di esprimerla, per questo devono essere indirizzati da noi adulti 😉

    Imparare a gestire la rabbia

    Molto importante è educare i bambini a gestire la rabbia; non reprimerla, non contenerla, bensì gestirla e canalizzarla nel modo giusto!

    E’ fondamentale educare i bambini al fatto che la rabbia è un’emozione che possono provare, non c’è nulla di male ad essere arrabbiati, l’importante però è canalizzare e “sfogare” questa rabbia nel modo giusto.

    Voglio riportarvi il pensiero e i consigli del Metodo Montessori per canalizzare la rabbia.

    Immaginate un bambino che esplode in un attacco di rabbia, urla e pianti: qual è secondo voi ciò che sente?

    Sicuramente sente che l’ambiente in cui si trova non si adatta alle sue aspettative: non può avere ciò che desidera, si sente offeso, infastidito da qualcuno o da qualcosa.

    Nel rapporto tra il bambino e le proprie emozioni i genitori hanno il compito di guidarli nella scoperta di tali emozioni e nel loro apprendimento.

    I genitori devono essere presenti nella scoperta emotiva dei loro bambini per poter rispondere a tutte le loro domande e fare attenzione a ognuna delle loro emozioni.

    I consigli della Montessori

    1. Non giudicate, sottovalutate o minimizzate nessuna parola o emozione dei bambini: ogni emozione è importante.
    2. Evitate di fare paragoni con altri bambini.
    3. Siate una base sicura per il bambino, dove egli possa sentirsi protetto e sicuro.
    4. Permettete ai bambini di sbagliare, hanno bisogno di fare le cose da soli per sentirsi capaci e autonomi.

    Una volta compreso il motivo della manifestazione della rabbia, è importante educare il bambino a controllarla e gestirla nel modo giusto, limitando al massimo ansia e frustrazioni.

    Per richiedere una consulenza educativa personalizzata su come aiutare i vostri figli nel gestire la rabbia contattaci!

  • L’educazione affettiva come educazione alla vita: l’importanza delle relazioni

    L’educazione affettiva ha un ruolo molto importante nella crescita e nello sviluppo di bambini e adolescenti.

    Ma cosa intendiamo quando parliamo di questa educazione?

    Per educazione affettiva si intende quella parte del processo educativo che si occupa di atteggiamenti, sentimenti, credenze ed emozioni delle persone.

    Implica, infatti, un’attenzione per lo sviluppo personale e sociale degli allievi, per la promozione della loro autostima, nonché per la dimensione interpersonale e alle capacità sociali.

    In questo senso, possiamo dire che unisce la parte di emozioni e sentimenti alla parte sociale e interpersonale.

    Abbiamo già trattato lo sviluppo emotivo, vediamo ora invece l’importanza dello sviluppo sociale in riferimento alla creazione di relazioni.

    Creare le relazioni

    Crescere è un processo che possiamo illustrare come una serie di compiti evolutivi che si presentano a varie età e che i bambini devono affrontare con l’aiuto delle persone che si prendono cura di loro.

    Instaurare relazioni è uno dei compiti più vitali dell’infanzia ed è uno dei primi a comparire.

    La costruzione delle relazioni è una questione che dura tutta la vita.

    Pensiamo a tutte le relazioni che un bambino instaura: con i genitori, con i fratelli e le sorelle, con i nonni, con gli insegnanti, con i pari.

    Ogni relazione è così ricca, complessa e sottile.

    Nelle relazioni, infatti, il bambino fa le sue prime incursioni nel mondo esterno, identifica gli aspetti più significativi e sviluppa modalità di considerare se stesso in relazione al mondo.

    La prima esperienza di relazione

    La prima esperienza di relazione dei bambini ha luogo nella famiglia.

    Questo gruppo è il contesto fondamentale all’interno del quale la maggior parte dei bambini viene introdotta alla convivenza sociale.

    Qui, infatti, vengono acquisite le regole di comportamento interpersonale.

    Facciamo però un passo indietro.

    Che cos’è una famiglia?

    I notevoli cambiamenti sociali che si sono registrati a partire dalle metà del ventesimo secolo nella società occidentale hanno messo fine all’ideale tradizionale di famiglia.

    Il matrimonio non è più considerato un requisito essenziale della vita familiare; il tasso di divorzi è drasticamente aumentato; le famiglie monogenitoriali sono molto comuni.

    Quanto questi fattori possono influenzare lo sviluppo dei bambini?

    Dall’esame di tutti gli studi sull’influenza delle caratteristiche della famiglia sullo sviluppo dei bambini emerge chiaramente che:

    la struttura della famiglia ha un ruolo molto meno significativo rispetto al suo funzionamento.

    Si è, dunque, riscontrato più volte che le variabili strutturali esercitano un’influenza limitato sul risultato psicologico dei bambini.

    La natura umana è flessibile e può svilupparsi in maniera soddisfacente in una vasta gamma di strutture familiari.

    E’ molto più importante la qualità della relazione che intercorre tra qualunque individue che compone l’ambiente domestico.


  • Per una educazione di genere a scuola e in famiglia

    educazione di genere

    Oggi voglio parlarvi dell’importanza dell’educazione di genere a scuola e in famiglia.

    Che cosa significa educare alla differenza di genere i bambini, maschi e femmine, già da molto piccoli?

    Perché è così importante per la loro crescita?

    Quello che possiamo, e dobbiamo fare, come genitori, insegnanti o educatori, è educare i bambini a confrontarsi in modo critico e consapevole con gli stereotipi culturali e sociali che spesso vengono imposti, anche inconsapevolmente, dalla società. 

    Un piccolo dizionario

    Innanzitutto, le parole sono importanti ed è opportuno utilizzarle opportunamente, soprattutto quando parliamo o siamo ascoltati dai bambini

    Vediamo insieme qualche definizione che dobbiamo conoscere: 

    • Il sesso è l’insieme delle caratteristiche biologiche, genetiche e fisiologiche dell’individuo, che distinguono il corpo del maschio da quello della femmina;
    • Il genere è quel qualcosa che viene ‘aggiunto’ dalle convenzioni sociali, ed è diverso da paese a paese.

    Ma che cosa sono gli stereotipi?

    Teniamo presente che gli stereotipi ci aiutano a semplificare la realtà circostante e, in questo senso, se usati correttamente, possono risultare utili. 

    Capita però di utilizzarli in modo improprio, per andare a categorizzare, per esempio, il genere o l’etnia. 

    Gli stereotipi di genere, infatti, riguardano proprio la distinzione tra maschi e femmine. 

    Spesso sentiamo dire “questa cosa è da maschio” oppure “non fare la femminuccia”, categorizzando inevitabilmente i bambini nel genere maschile e le bambine nel genere femminile. 

    Ciò condiziona i bambini a comportarsi da maschio e le bambine a comportarsi da femmine, non permettendo la loro libera espressione. 

    Promuovere l’educazione di genere: consigli pratici

    Fare educazione di genere è importante già a partire dalla scuola dell’infanzia, ponendo le basi per la crescita equilibrata dei bambini. 

    Un’educazione che possa gettare le basi per permettere a ogni futuro uomo o donna di vivere pienamente la propria esistenza, senza vincoli o condizionamenti di genere. 

    Ricordiamoci sempre quanto è importante educare in prevenzione!

    Come abbiamo detto, le parole hanno un grande significato.

    Cerchiamo, dunque, di non fare distinzioni di genere quando parliamo con i bambini, facendogli capire che possono fare quelle che preferiscono, giocare a calcio o danzare 😉

  • Come dire no ai bambini in modo positivo: una possibilità di crescita

    come dire no ai bambini

    Come dire no ai bambini in modo positivo?

    I “no” sono importanti, così come lo sono le regole e i limiti, ma non sempre è facile definire un sistema di regole in modo positivo.

    Spesso, infatti, non si sa come porre limiti ai più piccoli, affinché crescano in un ambiente affettuoso ma anche con delle regole.

    Dire no, infatti, funziona come con le regole; se sono infatti comunicati nel modo giusto e specifici avranno un ruolo positivo.

    Eppure i “no” sono indispensabili alla crescita del bambino.

    Per questo, è necessario trovare un equilibrio e soprattutto dire di “no” senza pronunciare questa parola e facendolo in maniera positiva.

    Come dire no ai bambini in modo positivo

    Una tendenza comune dei genitori è quella di utilizzare costantemente la parola no: “non fare questo” “no quello no”.

    In educazione, è fondamentale riuscire a dire no ai bambini in modo positivo, ovvero senza pronunciare la parola no!

    Questo comporta un grande beneficio nei bambini:

    • Riusciranno a comprendere meglio il motivo delle regole che devono rispettare;
    • Diverranno più responsabili e autonomi;
    • Capiranno che determinate azioni producono delle conseguenze;
    • Aumenterà la loro autostima.

    Consigli per genitori

    Le regole devono essere chiare e comprensibili

    E’ indispensabile spiegare al bambino quali sono le regole fondamentali.

    Raccontiamogli il perché di queste regole e le eventuali conseguenze se non vengono rispettati i limiti.

    I bambini devono imparare che ogni azione ha delle conseguenze. 

    In questo modo instaureremo un dialogo con il bambino, aiutandolo a modificare autonomamente il proprio comportamento, con la possibilità di prevenire che si producano queste azioni, magari pericolose o negative.

    Proponete delle alternative

    Se vogliamo impedire che il bambino svolga una determinata attività perché pericolosa o semplicemente perché non è il momento per farla, invece di pronunciare la parola “no”, cerchiamo di proporre un’alternativa.

    In questo modo, non solo si offre un’altra possibilità ma si rende partecipe il bambino delle decisioni.

    Per approfondire iscrivetevi al nostro corso dedicato proprio alla definizione delle regole in modo positivo 😉

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