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Separazione e divorzio

  • Separazione e affidamento dei figli: come funziona

    separazione e affidamento dei figli

    Nell’articolo precedente abbiamo parlato di separazione, affrontando il delicato discorso su come dire ai figli della separazione, del quale vi consiglio la lettura 😉

    Oggi, invece, voglio parlarvi di separazione e affidamento dei figli.

    Quali sono i passi da seguire?

    Quale affidamento è il più idoneo per i vostri figli?

    Dall’affidamento esclusivo a quello condiviso

    Nella disciplina dell’affidamento dei figli in caso di rottura dell’unità familiare sono intervenute profonde trasformazioni: ora si tende a preferire, in sede di giudizio, l’affidamento condiviso a quello esclusivo.

    L’affidamento condiviso (o congiunto) comporta la partecipazione, in comune accordo, di entrambi i genitori al mantenimento, all’educazione e all’istruzione dei figli.

    Dunque, in presenza di una separazione, l’esercizio di tali responsabilità richiede la realizzazione di un progetto educativo comune,

    I figli sono così affidati ad entrambi i genitori, e non esclusivamente ad uno di essi.

    In passato, invece, di norma il giudice affidava il figlio in via esclusiva a quello dei genitori (solitamente la madre) che meglio pareva essere in grado di seguirne il processo di sviluppo tenendolo presso di sé.

    La Legge 54/2006: il diritto di bigenitorialità

    La legge n. 54/2006 ha capovolto il sistema e le prassi previgenti, introducendo un nuovo principioil diritto alla bigenitorialità.

    Con il termine bigenitorialità si intende la partecipazione attiva, di entrambi i genitori, nel progetto educativo di crescita e assistenza dei figli, in modo da creare un rapporto equilibrato che in nessun modo risenta dell’evento della separazione.

    Con questa nuova legge il figlio non è più oggetto di spartizione, ma è soggetto del diritto di continuare a ricevere da entrambi i genitori affetto, cura, mantenimento, educazione ed istruzione, a prescindere dalla rottura dell’unità familiare.

    Cambia così del tutto l’ottica dell’affidamento: l’affidamento condiviso deve essere preferito a quello esclusivo, salvo casi particolari lasciati alla discrezione del giudice.

    Si cerca infatti di privilegiare quello condiviso in quanto permette al minore di mantenere un rapporto equilibrato e sereno con entrambi i genitori.

    Inoltre si cerca di responsabilizzare al massimo entrambi i genitori, sugli aspetti relazionali ed economici, nell’esclusivo interesse del figlio.

    Separazione e affidamento dei figli

    Il giudice deve adottare l’affidamento congiunto solo se valuta che è la scelta migliore nell’interesse morale e materiale dei figli.

    Se, infatti, vi sono ragioni gravi per le quali non è possibile adottare l’affidamento congiunto, si deve optare sull’affidamento esclusivo ad un solo genitore o addirittura l’affidamento ad una terza persona.

    La decadenza della responsabilità genitoriale di un genitore può fare venir meno la bigenitorialità.

    Il giudice, per realizzare il principio di bigenitorialità, deve adottare i provvedimenti con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei figli.

    In particolare il giudice deve validare i seguenti provvedimenti:

    • Valuta prioritariamente la possibilità di affidare i figli minori ad entrambi i genitori, oppure stabilisce a quale di essi affidarli;
    • Determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore;
    • Fissa la misura ed il modo con cui ciascun genitore deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli;
    • Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.

    L’affidamento condiviso rappresenta la regola e quello esclusivo l’eccezione: spetta al giudice valutare tutti gli aspetti per prendere la decisione più idonea nell’esclusivo interesse del figlio.

    Il giudice, per decidere e prendere la propria decisione, può avvalersi di un Consulente Tecnico di Parte o CTP.

    La consulenza tecnica di parte

    In un procedimento giudiziario ognuna delle parti coinvolte può avvalersi di un consulente (CTP), nominato dal’’avvocato.

    Il giudice, infatti, assegna alle parti il termine per la nomina del loro Consulente Tecnico di Parte.

    La figura del consulente tecnico è sempre più richiesta ed assume un ruolo fondamentale per la risoluzione di questioni complesse che dipendono da valutazioni di carattere tecnico.

    Il consulente tecnico di parte, dunque, è un libero professionista, di regola operante in un determinato campo tecnico/scientifico, al quale una parte in causa conferisce un incarico con il titolo di esperto.

    La nostra consulenza tecnica di parte

    Noi ricopriamo il ruolo di CTP nei procedimenti civili, nelle cause di separazione, divorzio e affidamento per una tutela dei figli.

    La nostra consulenza tecnica di parte, svolta in èquipe multidisciplinare, è in grado di fornire un sostegno nei procedimenti giudiziali, in collaborazione con la difesa legale.

    Affianchiamo la parte che richiede una consulenza in un intero processo di disamina ed osservazione dei fatti e della situazione di crisi e conflitto; analizzando documentazioni, relazioni utili, considerando l’intero ciclo di vita di una famiglia.

    Analizzando la relazione e la modalità educativa dei genitori verso i figli. ne individuiamo carenze, disfunzionalità e punti di forza, fornendo indicazioni sulla migliore soluzione di affidamento minorile da adottare.

    Bibliografia

    Moro C. A, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

  • Minori contro la legge: la testimonianza nel processo penale

    testimonianza nel processo penale

    Nell’articolo precedente abbiamo parlato del minore nel processo civile, spiegando in cosa consiste la consulenza tecnica.

    In questo articolo, parlerò del minore e della sua testimonianza nel processo penale, ovvero in presenza di reati.

    Vediamo ora i principali aspetti del processo minorile, in ambito civile ed in quello penale.

    Il processo civile minorile: cosa, come, dove.

    Ricordiamo qui che il procedimento civile fa riferimento a decisioni che riguardano la potestà genitoriale (artt. 330, 333, e 336 c.c.), nello specifico nei casi di:

    • Separazione e divorzio
    • Affidamento a l’uno o l’altro genitore, o ad un tutore
    • Adozione
    • Abbandono di minore
    • Pregiudizio del benessere del bambino
    • Casi specifici di convivenza

    E’ al Tribunale per i Minorenni, territorialmente competente, che ci si rivolge per gestire tali situazioni.

    Questo Tribunale è formato da giudici e da soggetti non togati, esperti studiosi in ambito minorile.

    I soggetti che possono fare ricorso al Tribunale per i Minori, in un procedimento civile, sono:

    • Un genitore
    • Un parente
    • I servizi sociali
    • Il minore stesso, ma solo tramite il Pubblico Ministero

    In una causa civile, è necessario acquisire tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione favorevole al benessere del bambino.

    Le fonti di informazione del P.M. e del Giudice, nello specifico, sono:

    Il Tribunale è comunque sempre obbligato a convocare e sentire i genitori del bambino.

    Inoltre, come visto in un precedente articolo, fondamentale è, in queste cause civili, l’ascolto del minore.

    Durante un processo civile, il Tribunale può adottare provvedimenti di urgenza, per garantire la sicurezza immediata del minore, prassi però molto contestata.

    Una volta emessa una Sentenza, è il Tribunale stesso, attraverso il suo Giudice Tutelare, che vigila sul rispetto della decisione presa, anche attraverso i Servizi Sociali.

    Il minore nel processo penale: cosa cambia.

    Vediamo brevemente come si svolge il processo penale per un ragazzo minorenne.

    Anche in questo caso, è il Tribunale per i Minorenni ad essere competente, poiché si occupa di  reati commessi dai minori degli anni 14 e delle misure rieducative, per soggetti con irregolarità di condotta.

    Infatti, già a 14 anni un ragazzo può rispondere di un reato commesso ma, in questo caso, avrà una pena diminuita.

    In una procedura penale, è sempre obbligatorio accertare l’età del ragazzo e, in caso di dubbio, è necessario presumere la minore età.

    Per accertare la capacità di discernimento di un adolescente e la sua responsabilità per un fatto, il Giudice deve sempre accertare la sua situazione, ovvero:

    • Le condizioni di vita
    • Le risorse personali
    • La struttura famigliare
    • Le relazioni sociali

    Per queste informazioni, il Giudice può sempre sentire soggetti che sono a conoscenza dei fatti o esperti, consulenti della famiglia.

    Nel processo penale minorile, alcuni capisaldi della procedura sono:

    • Il processo a porte chiuse, se disposto dal Giudice
    • La presenza dei Servizi Sociali, in ogni fase di processo
    • L’informativa al minore e ad un tutore di ciò che sta accadendo
    • L’audizione protetta, per le vittime di reato

    Il procedimento minorile mette all’ultimo posto la punizione, cerca, invece, laddove possibile, di trovare una soluzione di mediazione.

    Per alcune tipologie di reato, accertata la tenuità ed occasionalità del fatto, è possibile non procedere a condannare il minore.

    Al contrario, in caso di condanna, il Giudice può scegliere di applicare diverse misure, lasciando la detenzione come ultima spiaggia.

    Diverse sono le misure cautelari, indicate dal codice di procedura, che si possono applicare per un minore.

    Mi sento qui di citarne due in particolare: la comunità e la messa in prova.

    Condannato a vivere in una comunità, il minore ha l’obbligo di lavorare o di frequentare la scuola, seguendo sempre le prescrizioni ordinate dal Giudice.

    Nel caso della messa alla prova, il processo viene sospeso, per affidare il minore ai servizi sociali, i quali dispongono di un programma di attività personalizzato.

    Al termine della prova, il Giudice valuta la personalità del ragazzo ed i suoi miglioramenti, al fine di dichiarare il reato estinto.

    Il caso del bullismo: quale punizione?

    Il bullismo, di cui parleremo in modo più approfondito in seguito, non è un reato, ma può concretizzare alcuni di essi, ad esempio:

    • Estorsione
    • Minaccia
    • Stalking
    • Molestia
    • Diffamazione
    • Violenza privata
    • Percosse
    • Maltrattamenti

    In alcuni casi, per attivare un procedimento penale, è sufficiente la denuncia ad un organo di polizia, ad esempio in caso di lesioni gravi, minaccia grave e molestie.

    In altri casi, è necessario sporgere querela, ovvero la richiesta che si proceda penalmente contro l’autore di reato.

    Nel processo contro minorenni, il sistema di giustizia cerca sempre di individuare una misura educativa mirata, attivando una mediazione per riparare il danno creato.

    Come anticipato, al 14esimo anno di età, il ragazzo deve già rispondere delle proprie azioni.

    Non è escluso che i genitori di un minorenne, autore di reato, rispondano a loro volta penalmente per il reato, punibile o meno, commesso dal figlio. Anche con un risarcimento economico.

    La responsabilità genitoriale ha un ruolo centrale nella prevenzione, così come l’educazione e la sorveglianza dei figli.

    Il minore e la testimonianza nel processo penale

    Abbiamo visto che, nelle procedure civili che lo riguardano, il minore ha il diritto di esprimersi.

    Nel caso della testimonianza nel processo penale, il minore è chiamato ad esprimersi su fatti rilevanti a cui ha assistito, che ha commesso o di cui è stato vittima.

    L’articolo 498 c.p.p., al comma 4, spiega qual è la procedura da seguire in questi casi:

    • È sempre e solo il Giudice che pone le domande al minore
    • Nei casi in cui il minore è vittima, si può ricorrere, per l’ascolto, all’audizione protetta
    • E’ vietato porre domande suggestive
    • Il Giudice può avvalersi di un familiare o di un esperto in materia minorile

    Al di sotto dei 14 anni, la testimonianza nel processo penale di un minorenne non si può mai disporre.

    Ad ogni modo, è sempre necessario prestare attenzione all’attendibilità delle informazioni rilasciate dal minore.

    E’ sempre preferibile, per evitare interferenze e accelerare il processo di elaborazione dei vissuti dolorosi, ascoltare il minore in via anticipata, prima dell’avvio del processo.

    La testimonianza indiretta, ad esempio rilasciata dai genitori per bambini piccolissimi, non è ammessa dalla Legge.

    Un’ulteriore accortezza è quella di registrare i contenuti rilasciati dal bambino, assisterlo in ogni momento, chiedere il sostegno di esperti e chiedere di elaborare un documento scritto.

    L’audizione protetta dei minori vittime di reato

    La testimonianza nel processo penale minorile si effettua, nel caso di minori vittime, con una audizione protetta.

    Nello specifico, i reati per i quali si dispone questo tipo di ascolto, sono:

    • Prostituzione minorile
    • Tratta di persone
    • Violenza sessuale
    • Atti sessuali con minorenni
    • Corruzione di minore
    • Atti persecutori
    • Ignoranza dell’età della persona offesa

    Durante un’audizione protetta, i bambini vengono sentiti all’interno di una stanza con vetro a specchio ed impianto citofonico.

    Nei casi di abusi e violenze, ciò permette alla vittima di non trovarsi davanti al proprio carnefice.

    E’ sempre il Giudice in prima persona che si occupa di ascoltare il minore, spesso con domande formulate in precedenza da un esperto.

    Se non riferite al contesto in modo specifico, sono vietate le domande sulla vita privata del bambino, le inclinazioni, la sessualità.

    E’ inoltre necessario che un genitore o un tutore sia presente, durante l’audizione.

    Soprattutto se si tratta di bambini molto piccoli, sono vietate le domande che suggeriscono la risposta, ma devono essere aperte, lasciando del tempo per pensare.

    Tra le tecniche di comunicazione, soprattutto con i bambini, quelle non verbali sono importanti, come i disegni, l’uso di giochi e bambole, la scrittura libera di pensieri.

    La consulenza tecnica di parte nel procedimento di ascolto

    Nell’affiancare un minorenne nella procedura di ascolto, l’esperto consulente deve tenere conto di diversi aspetti.

    Durante la testimonianza nel processo penale e l’audizione di un minore, soprattutto se molto piccolo, si possono verificare le cosiddette “trappole della memoria“.

    E’ bene tenere a mente che ciò che influenza una dichiarazione è:

    • La percezione personale ed emotiva del soggetto, durante il fatto e dopo
    • Il lasso di tempo trascorso dal fatto
    • La durata dell’evento
    • L’influenza di altri soggetti, soprattutto nei minori
    • Lo sviluppo cognitivo di un minore, della realtà, della memoria
    • L’impostazione e la struttura della domanda

    Il consulente deve tenere conto di qualsiasi forma di violenza subita in tenera età, che può purtroppo provocare gravi conseguenze sul processo di crescita.

    I bambini sono più suggestionabili nei ricordi e nelle dichiarazioni, anche a causa delle poche esperienze e delle scarse abilità linguistiche.

    Nelle dichiarazioni dei bambini possono essere presenti fraintendimenti, esagerazioni, bugie di diversa natura, spinte da diverse motivazioni, disturbi e patologie.

    In ogni caso, quando la consulenza valuta elementi di dubbio sulla credibilità del minore, è bene richiedere una perizia ad un esperto di psichiatria infantile.

    La nostra esperienza lavorativa e di progettazione all’interno delle carceri minorili ci ha insegnato a lavorare con determinate problematiche, legate all’universo dei ragazzi.

    Alcuni comportamenti possono essere riconosciuti e prevenuti grazie all’intervento degli esperti.

    La famiglia ha il compito di preservare ed aiutare un figlio in difficoltà, così da evitare situazioni e conseguenze spiacevoli.

    Per una richiesta di sostegno e per pareri, puoi contattarci, per lavorare insieme ed individuare un percorso di crescita adatto ai tuoi figli.

  • Il minore nel processo civile: la consulenza tecnica

    consulenza tecnica

    Il minore può essere coinvolto in prima persona nel procedimento giudiziario: può essere lui l’oggetto o il destinatario indiretto.

    L’ordinamento giuridico si è preoccupato di disciplinare la posizione del minore imputato di un reato, cercando di garantirne i diritti nei procedimenti che lo riguardano.

    Scarsamente si è invece preoccupato del minore vittima in un procedimento penale o chiamato a testimoniare, a seguito di una situazione abusante o violenta.

    Di questi delicati argomenti parleremo nel prossimo articolo.

    Qui approfondiremo il procedimento civile, focalizzandoci sul ruolo della consulenza tecnica, anche nei casi di separazione dei genitori, le cui conseguenze toccano anche i figli.

    L’ascolto del minore nel processo

    Fondamentale, per rispettare la personalità del minore, è garantirgli la possibilità di far conoscere le proprie valutazioni della situazione in cui è coinvolto, esigenze aspettative.

    La riforma della filiazione (l. 219/2012 e D.lgs 154/2013) ha disciplinato con portata generale l’ascolto del minore.

    L’articolo 315 bis menziona il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e procedure che lo riguardano, quando abbia compiuto i 12 anni o quando, anche di età inferiore, sia capace di discernimento.

    Con ciò viene sancita l’esistenza di un vero e proprio diritto del minore.

    Il giudice, prima di procedere all’ascolto, deve informare il minore della natura del procedimento e dei suoi effetti.

    Per garantire la spontaneità della partecipazione del minore, è prevista la partecipazione dei genitori e dei difensori delle parti o anche del curatore, solo se ammessi dal giudice.

    L’ascolto può essere condotto direttamente dal giudice, oppure può essere effettuato avvalendosi di esperti, sempre per tutelare la personalità minorile.

    La rappresentanza tecnica: il difensore

    Le persone che non hanno, come i minori, il libero esercizio dei propri diritti, non possono stare in giudizio se non a mezzo di un rappresentante.

    Il difensore tecnico viene assegnato al minore solo se egli è parte nel processo, se è coinvolto in prima persona.

    Si prevede infatti una obbligatoria assistenza legale nel campo della procedura di adozione e nel campo degli interventi sulla responsabilità genitoriale.

    Nelle procedure civili in cui è ora prevista la presenza di un difensore, il minore non ha capacità processuale in proprio ed è processualmente assente se non è rappresentato da qualcuno.

    Il difensore tecnico ha soltanto la funzione di “assisterlo” sul piano della tecnica giuridica.

    E’ un mero strumento di assistenza tecnica e può non comprendere completamente l’interesse del minore in questione.

    Nonostante ciò, dovrà ovviamente avere una particolare capacità ed attitudine a comprendere le esigenze del soggetto in formazione, con il suo vissuto e i suoi problemi.

    L’interpretazione delle esigenze del minore: la consulenza tecnica

    E’ sempre più viva l’attenzione al minore come persona e la necessità di comprendere i suoi reali bisogni, nel rispetto della sua personalità.

    Ciò comporta, sempre più spesso, il ricorso ad un consulente tecnico, per lo più un pedagogista o uno psicologo, che analizzi la situazione, il modo in cui è vissuta e sofferta dal bambino e le migliori prospettive per aiutarlo a uscire da una situazione di difficoltà.

    La consulenza tecnica si ritiene lo strumento ideale per poter prendere una decisione conforme ai suoi interessi, da privilegiare rispetto a quelli degli adulti.

    L’attività del consulente tecnico, di parte o di ufficio, comporta le seguenti attività:

    • Evidenziare l’interesse del minore, in un contesto in cui esso rischia di essere trascurato o posto in secondo piano;
    • Far emergere dall’ombra le situazioni di disagio del minore, spesso non avvertite dai genitori o attribuite alla responsabilità dell’altro;
    • Analizzare, comprendere e giudicare una situazione problematica;
    • Sviluppare una funzione di aiuto, sostegno, di sviluppo positivo delle relazioni.

    In questo senso, la consulenza tecnica implica non tanto un asettico giudizio finale quanto, lo svolgimento di un percorso che consenta di migliorare le condizioni del bambino.

    Non deve avvenire soltanto attraverso la predisposizione di quesiti e la stesura della relazione finale, così come non deve essere vista come mera indagine in un momento limitato del procedimento giudiziario.

    Deve, bensì, prevedere un complesso lavoro volto a comprendere in profondità la situazione del bambino e sviluppare ipotesi di miglioramento per tale situazione.

    La consulenza nei casi di separazione

    Nelle dinamiche processuali legate alla separazione, come l’affidamento o le modalità di frequentazione, non sono coinvolti soltanto i genitori, ma anche i figli.

    In questi casi il giudice deve regolamentare il nuovo assetto relazionale della famiglia, avendo sempre riguardo all’interesse del minore.

    Proprio per garantire e rispettare tale interesse, può acquisire informazioni utili, avvalendosi dell’aiuto di un esperto, per individuare la soluzione più idonea.

    Un consulente tecnico incaricato di compiere un’indagine sulle capacità genitoriali e sui rapporti dei genitori con il figlio, è di grande aiuto per prendere la decisione finale.

    Una consulenza simile, senza però una valenza legale, bensì personale, la potete trovare fra i nostri servizi.

    Tale consulenza pedagogica può essere molto utile per i genitori: per sostenerli ed accompagnarli nel difficile percorso della separazione o per risolvere problematiche e conflittualità, litigi ed incomprensioni.

    Il tutto sempre nell’esclusivo interesse dei figli, per limitare il più possibile l’impatto negativo della separazione e mantenere comunque un equilibrio familiare sereno e positivo.

    Bibliografia

    Moro C. A, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

  • L’ascolto del minore nelle procedure che lo riguardano: aspetti

    l'ascolto del minore

    Negli articoli precedenti abbiamo analizzato le capacità emotive ed affettive del bambino, durante il percorso di crescita, e lo sviluppo delle abilità cognitive.

    Oggi parliamo di “ascolto”, quale importante diritto del minore, nelle questioni che lo riguardano personalmente.

    Vediamo cosa ci indicano la normativa internazionale e quella italiana a riguardo, spiegando poi quali accortezze è bene applicare durante tale delicata prassi.

    La normativa sull’ascolto

    Le norme sull’ascolto del minore nelle procedure che lo riguardano comprendono diversi aspetti: dalle adozioni al divorzio, a cominciare dalle normative internazionali.

    Nello specifico, la Convenzione sui diritti del fanciullo, conosciuta quale Convenzione di New York, all’articolo 12, spiega che il bambino ha il diritto di esprimere la propria opinione, durante le procedure di affidamento ed adozione.

    Anche la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, o Convenzione di Strasburgo, all’articolo 6, dice che il bambino, che abbia compiuto i 12 anni, ha sempre diritto di essere ascoltato.

    Allo stesso modo, la normativa italiana si impegna a chiarire l’importanza ed il diritto del minore ad essere sentito nelle questioni di proprio interesse.

    È con la Legge n. 149 del 2001, che disciplina le linee guida sull’adozione nazionale, che si sancisce l’importanza dell’ascolto del minore nelle procedure di affidamento ed adozione.

    Per procedere, il minore deve avere compiuto i 12 anni o, in seguito al compimento del quattordicesimo anno di età, il bambino deve prestare il proprio consenso all’adozione.

    In tutti i casi in cui si ha a che fare con un minore degli anni 12, tale norma impone al Giudice di sentire il bambino, valutando, anche con l’aiuto di un esperto, la sua maturità e capacità di pensiero.

    Nel 2012, con la Legge n. 219, si elimina ogni differenza tra figli naturali e figli legittimi, allargando gli stessi diritti anche ai figli nati fuori dal matrimonio.

    Il diritto all’ascolto si estende a tutti i minori che fanno parte di una famiglia, grazie all’introduzione, nel codice civile, dell’articolo 315 bis, che riguarda i diritti e doveri dei figli.

    L’ascolto del minore nelle procedure che lo riguardano è un diritto garantito dall’articolo 336 c.c.; che spiega le modalità attraverso cui il Giudice o il PM lo effettuano ed i casi in cui non è, invece, possibile.

    Infatti, il disposto dell’articolo 336 bis dice che, qualora l’ascolto del bambino sia inutile, superfluo o addirittura contro il suo interesse, non deve essere ordinato.

    La capacità di discernimento

    Molte normative fanno riferimento all’età del bambino per disporne l’ascolto ed alla sua “capacità di discernimento”, la quale viene stabilita verso l’età dei 12 anni.

    Ma cosa significa capacità di discernimento?

    Per procedere all’ascolto del minore nelle procedure che lo riguardano è importante che il bambino abbia sviluppato le capacità cognitive, di memoria, di ragionamento autonomo, sufficienti per riuscire ad esprimersi in modo sensato e coerente.

    Nonostante si possano individuare alcuni periodi in cui determinate facoltà e capacità sono più sviluppate, ogni minore presenta un proprio percorso e ha i propri tempi di sviluppo.

    Come già trattato nell’articolo sullo sviluppo cognitivo del minore, è bene sapere che un bambino affronta diverse fasi evolutive, in cui rafforza il senso di realtà e la capacità di prendere decisioni.

    È circa verso gli 11-12 anni che il bambino raggiunge un livello di ragionamento autonomo, riconoscendo e ricordando le diverse situazioni con maggiore lucidità, capace dunque di riconoscere la realtà.

    Al di sotto di tale soglia di età, dice la norma, è possibile ascoltare il minore, ma ciò viene valutato caso per caso da un esperto in materia, o direttamente dal Giudice, qualora lo ritenga necessario.

    Quali sono “le questioni che lo riguardano”

    Il minore deve essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Ad esempio:

    • Affidamento nazionale e internazionale
    • Adozione nazionale e internazionale
    • Separazione dei genitori
    • Divorzio dei genitori
    • Episodi vissuti come maltrattamenti o violenza assistita

    La giurisprudenza italiana ci ricorda che l’ascolto del minore è obbligatorio per le sole questioni di vita del minore (dove e con chi vivere, scelta delle frequentazioni, della scuola, dello sport), non deve essere disposto, invece, per le questioni economiche (assegni famigliari, mantenimento).

    Nello specifico, in merito alla separazione e al divorzio possono esserci due possibilità:

    1. Se tali procedimenti sono di tipo consensuale:

    I coniugi, insieme agli avvocati, lavorano per produrre una convenzione di separazione, da trasmettere al PM, il quale può decidere di ascoltare l’opinione dei figli. In questi casi, sentire il minore non è obbligatorio, ma viene valutato nei singoli casi.

    1. Se è un caso di separazione conflittuale:

    In caso di crisi genitoriale, il Giudice è chiamato a valutare l’importanza di coinvolgere i figli nella scelta di affidamento. In questi casi, il minore, compiuti i 12 anni di età, può esprimere la propria opinione in merito.

    Il caso della separazione e del divorzio

    In una separazione, i figli hanno il diritto di mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori, di riceverne le cure, istruzione, una educazione ed il sostegno di cui hanno bisogno durante la crescita.

    L’articolo 337 ter c.c. sancisce che il Giudice, in questi casi, prenda le decisioni che riguardano i figli valutando esclusivamente il loro interesse. La priorità è che restino affidati ad entrambi i genitori ma, in caso contrario, egli chiarisce le modalità per frequentare l’altro genitore, quale diritto del minore.

    Gli accordi consensuali tra i genitori vengono accolti, qualora non creino difficoltà ai bambini.

    Le decisioni più importanti che interessano i figli devono essere prese da entrambi i genitori, considerando le capacità, le aspirazioni e i desideri dei bambini.

    Per questo fine il giudice dà la possibilità ai genitori di raggiungere un accordo, anche mediando con l’aiuto di un esperto, per l’interesse e tutela dei minori.

    In casi di accordi consensuali, laddove l’ascolto del minore possa risultare superfluo, invasivo o contro il proprio interesse, esso non viene disposto.

    Al contrario, soprattutto nelle procedure in cui i genitori non raggiungono un accordo, il giudice dispone l’ascolto del minore che abbia compiuto i 12 anni di età o, se più piccolo, chiedendo l’aiuto di un esperto.

    Le modalità dell’ascolto

    È bene ricordare che l’ascolto del minore non è una testimonianza, infatti, è sempre bene porsi con le dovute cautele, lasciando il minore libero di esprimere le proprie narrazioni.

    • Spiegare al bambino i motivi per cui vi è la necessità di ascoltare la sua opinione
    • Esprimersi con un linguaggio chiaro e semplice in base all’età del minore
    • Non mettere pressioni sul bambino affinché risponda in fretta. Ha bisogno del proprio tempo per riflettere
    • In caso di dubbio sulla veridicità o menzogna è necessario porre domande ma non screditare
    • È bene fare domande aperte o farsi raccontare cose senza imboccare le risposte o suggerirle
    • Farlo sentire a proprio agio, in un luogo sicuro protetto e accogliente

    Per quanto riguarda le linee guida durante processi penali, è necessario accogliere il bambino in aule protette con sistemi di audio e video ripresa e specchio unidirezionale, eventualmente dando la possibilità a genitori e difensori di assistere.

  • Ci stiamo separando: come dire ai figli della separazione?

    dire ai figli della separazione

    Che impatto ha la separazione sui figli? Come dire ai figli della separazione? Domande come queste preoccupano tutti i genitori che stanno decidendo, o hanno già deciso, di intraprendere il cammino della separazione.

    Questo articolo non vuole offrire una “ricetta” applicabile in tutte le situazioni, questo perché non esiste un modo giusto per dire ai figli della separazione, non esiste un modo valido per tutte le situazioni.

    La mia intenzione è offrire spunti di riflessione, suggerimenti, “cosa fare” “cosa non fare”, nella speranza che possano aiutarvi ad assolvere questo difficile e delicato compito.

    Ricordando sempre che la cosa più importante è tutelare e salvaguardare i propri figli, proteggerli cioè dal “vortice” della separazione.

    Le cause che conducono alla separazione possono essere differenti, così come differente può essere l’impatto di esse sui figli.

    Citiamo qui alcune delle principali cause:

    • Il tradimento o insoddisfazione nella coppia;
    • Differenti modelli e punti di vista sull’educazione dei figli o su argomenti ritenuti fondamentali;
    • Cambiamenti nello stile di vita che possono essere l’inizio di una profonda crisi nella coppia;
    • Perdite di lavoro e malattie che possono portare a stress o rabbia;
    • Gioco d’azzardo, abuso di alcool e droga possono provocare una rottura nel legame coniugale.

    Gestire la fine del rapporto nel modo migliore è difficile e la maggior parte delle volte impossibile, a causa delle tante variabili contestuali ed emotive che possono presentarsi.

    Generalmente le situazioni famigliari che possono presentarsi sono due.

    Troviamo le coppie che monitorano la situazione per prevenire problemi futuri, che sanno scendere a compromessi, e sacrificano i propri bisogni per mantenere il legame, per non sciogliere la famiglia.

    Vi sono invece le coppie che, dopo aver passato situazioni difficili, ritengono di non riuscire più ad andare avanti e richiedono il divorzio per salvaguardare la famiglia, e soprattutto i figli.

    Quest’ultime sono le più numerose.

    Tuttavia, la fine dell’unione familiare porta inevitabilmente con sé conseguenze che influenzano in modo diretto i figli ed il loro sviluppo.

    Raramente si parla di un divorzio concluso in modo tranquillo e senza rancori, anche se è la speranza di molti.

    La separazione rappresenta un evento traumatico nella vita di un figlio, al punto che può modificare le rappresentazioni di attaccamento dall’infanzia fino all’adolescenza.

    E’ quindi opportuno prestare molta attenzione nel momento in cui si vuole dire ai figli della separazione: fondamentale rimane sempre la salvaguardia dei figli, che deve rappresentare la priorità per tutti i genitori.

    Il conflitto famigliare è spesso accompagnato dallo sviluppo di un attaccamento insicuro nei figli, con meno sicurezza nei rapporti e nella disponibilità dei genitori verso di loro.

    Le manifestazioni cliniche nei bambini dipendono tuttavia da molte variabili, quali:

    • L’età del bambino;
    • Il livello di funzionamento psicosociale della famiglia prima della separazione;
    • L’abilità dei genitori ad avere attenzione e gestire i comportamenti del bambino.

    Nel dire ai figli della separazione occorre tenere conto dell’età dei figli e dei vissuti del nucleo famigliare fino a quel momento.

    La separazione può derivare da un lungo periodo di conflitto famigliare in cui la coppia non vive più in serenità e ha rotto da tempo il vincolo d’amore e di legame che dovrebbe essere invece presente.

    In questi casi la separazione può essere addirittura benefica per il bambino, il quale è stato per molto tempo costretto ad assistere alle liti genitoriali piuttosto che a lunghi periodi di conflitto, trovandosi tra incudine e martello.

    L’evento della separazione viene vissuto dal bambino in modo più sereno perché può capire meglio da quali dinamiche deriva tale decisione ed egli stesso potrà beneficiarne.

    A differenza del caso precedente, un bambino che ha vissuto periodi felici in una famiglia non in conflitto ma che si ritrova in questa situazione come un fulmine a ciel sereno potrà vivere questa decisione in modo maggiormente negativo.

    Durante lo sviluppo del bambino, la variabile più pericolosa è assistere al conflitto genitoriale.

    Bisogna cercare di litigare a distanza dai figli comunicandogli eventuali scelte solo dopo averle prese.

    Fondamentale è spiegare bene cosa sta succedendo, anche con i bambini più piccoli: dire sempre la verità con i propri figli, senza raccontare inutili bugie.

    I bambini osservano molto e si rendono conto di tutto, sono assolutamente in grado di comprendere ed è importante non farli sentire esclusi.

    Spiegare equivale a fare comprendere. Un messaggio può essere compreso se spiegato, anche se la sua accettazione può risultare difficile: i bambini potranno non accettare mai questa decisione.

    Se il bambino è abbastanza maturo si può tentare di coinvolgerlo nella decisione per farlo sentire importante e rispettato.

    Non è possibile dire ai figli della separazione senza calcolarne il responso emotivo.

    Una separazione è come un lutto, deve perciò essere “digerita” con il tempo, è necessario dare al bambino il tempo di cui ha bisogno per concepire che cosa è successo.

    In queste situazioni il bambino non deve mai sentirsi solo: le figure genitoriali devono accompagnarlo nel percorso di crescita e continuare a farlo anche in seguito alla separazione.

    È molto probabile che successivamente si verifichino vari comportamenti a rischio, quali:

    • Disturbi a carico dell’attenzione;
    • Iperattività;
    • Deficit dell’attenzione;
    • Disturbi  del comportamento con il gruppo di pari o a scuola;
    • Impulsività.

    È necessario mettere i bisogni del figlio al primo posto, non ci si deve dimenticare dei suoi eventi, né di fare un complimento per un bel voto a scuola e dare molta importanza alla comunicazione.

    La casa famigliare è un nido ed un porto sicuro per il bambino: con la separazione avrà due case di riferimento.

    È molto importante spiegare che anche se le abitudini cambieranno, il bene dei genitori resterà lo stesso così come il tempo ed il posto per lui.

    Non ci si dovrà sorprendere della reazione del piccolo, che sarà spesso violenta, in cui il bambino cercherà di cambiare le cose.

    Prevenire tale reazione è difficile ma una volta presentatasi è importante saperla gestire.

    Il rischio può essere che uno dei due genitori usi e strumentalizzi il figlio nel rapporto con l’ex partner, o che ci si confidi, soprattutto in caso di adolescenti, distorcendo la realtà o la percezione che il figlio può avere dell’altro genitore.

    È bene invece incoraggiare il piccolo a contattare l’altro genitore, a passare del tempo con lui, a fare le solite cose senza dover rompere le abitudini per forza.

    Per aiutare il proprio figlio, l’atteggiamento migliore è di certo quello di collaborare e restare genitori: restare cioè una coppia genitoriale, nonostante la rottura del legame coniugale.

    Continuare a fornire al bambino, allo stesso modo, cure, affetto, attenzioni, nonostante la rottura del legame coniugale.

    Si può smettere di essere una coppia di innamorati ma non si smetterà mai di essere una coppia di genitori, sempre disponibili e impegnati a crescere il proprio figlio.

    Bibliografia 

    Moro A. C, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

    Ferraris O. A, (2005), Dai figli non si divorzia. Separarsi e rimanere buoni genitori, Biblioteca Universale Rizzoli

  • L’affidamento condiviso ed esclusivo: un approfondimento

    In questo contributo si approfondisce l’affidamento condiviso e quello esclusivo, mostrando quale sia la scelta preferenziale, quella più adottata ad oggi, e quale sia invece l’eccezione.

    Nella disciplina dell’affidamento dei figli in caso di rottura dell’unità familiare sono intervenute profonde trasformazioni, arrivando a preferire, in sede di giudizio, l’affidamento condiviso a quello esclusivo.

    L’affidamento condiviso (o congiunto) comporta la partecipazione, in comune accordo, di entrambi i genitori al mantenimento, all’educazione e all’istruzione dei figli.

    I figli sono così affidati ad entrambi i genitori, e non esclusivamente ad uno di essi.

    Certamente, in presenza di una separazione, l’esercizio di tali responsabilità richiede la realizzazione di un progetto educativo comune, rendendo altrimenti necessario l’intervento del giudice.

    La legge n. 54/2006 ha capovolto il sistema e le prassi previgenti, introducendo un nuovo principio: il diritto alla bigenitorialità.

    Con il termine bigenitorialità si intende la partecipazione attiva, di entrambi i genitori, nel progetto educativo di crescita e assistenza dei figli, in modo da creare un rapporto equilibrato che in nessun modo risenta dell’evento della separazione.

    In passato, di norma il giudice affidava il figlio in via esclusiva a quello dei genitori (solitamente la madre) che meglio pareva essere in grado di seguirne il processo di sviluppo tenendolo presso di sé.

    Con questa nuova legge il figlio non è più oggetto di spartizione, ma è soggetto del diritto di continuare a ricevere da entrambi i genitori affetto, cura, mantenimento, educazione ed istruzione, a prescindere dalla rottura dell’unità familiare.

    Cambia così del tutto l’ottica dell’affidamento: l’affidamento condiviso deve essere preferito a quello esclusivo, salvo casi particolari lasciati alla discrezione del giudice.

    Si cerca infatti di privilegiare quello condiviso in quanto permette al minore di mantenere un rapporto equilibrato e sereno con entrambi i genitori.

    Inoltre si cerca di responsabilizzare al massimo entrambi i genitori, sugli aspetti relazionali ed economici, nell’esclusivo interesse del figlio.

    Se vi sono ragioni gravi per le quali non è possibile adottare l’affidamento congiunto, si deve optare sull’affidamento esclusivo ad un solo genitore o addirittura l’affidamento ad una terza persona.

    La decadenza della responsabilità genitoriale di un genitore può fare venir meno la bigenitorialità.

    Il giudice deve adottare l’affidamento congiunto solo se valuta che è la scelta migliore nell’interesse morale e materiale dei figli.

    Il nuovo testo dell’art. 337 ter cod. civ. stabilisce che il giudice, per realizzare il principio di bigenitorialità, deve adottare i provvedimenti con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei figli.

    In particolare il giudice deve validare i seguenti provvedimenti:

    • Valuta prioritariamente la possibilità di affidare i figli minori ad entrambi i genitori, oppure stabilisce a quale di essi affidarli;
    • Determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore;
    • Fissa la misura ed il modo con cui ciascun genitore deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli;
    • Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.

    La formulazione della norma non definisce il termine affidamento, e tanto meno menziona quello condiviso, risultando ambigua e di difficile comprensione.

    Infatti, con l’avverbio “oppure”, essa parrebbe mettere sullo stesso piano l’affidamento ad entrambi i genitori e quello a uno di essi.

    Ma l’obbligo di “valutare prioritariamente” la possibilità di affidamento ad entrambi stabilisce una gerarchia fra le due opzioni, adottando l’affidamento condiviso come scelta preferenziale. 

    L’affidamento congiunto ed il principio della bigenitorialità sono applicati anche per i figli nati fuori dal matrimonio.

    Occorre poi decidere in merito al collocamento del minore, ovvero la sua presenza presso ciascun genitore.

    Comunque, la decisione relativa al luogo dove il minore deve vivere (o prevalentemente vivere) è inevitabile.

    Il minore deve frequentare con regolarità la scuola, avere un ambiente di vita abituale, una cerchia di amici, una sua casa, una sua stanza.

    Una grande novità è il diritto del minore di essere ascoltato nei processi che lo riguardano, soprattutto in merito al suo affidamento.

    Il giudice dispone l’audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni di età e anche di età inferiore ove capace di discernimento.

    Ascoltare il figlio coinvolto nel procedimento è un vero e proprio obbligo per il giudice, prima di emanare, anche solo in via provvisoria, dei provvedimenti.

    Il giudice non decide solo sulle carte, senza conoscere concretamente la situazione, ma deve conoscere il figlio, entrare in comunicazione con lui, cercando di comprendere le esigenze più profonde, e solo dopo decidere.

    L’ascolto del minore permette al giudice di agire in riferimento al suo esclusivo interesse materiale e morale, all’interesse di quel dato minore, non con riferimento ad un minore inesistente.

    L’affidamento condiviso rappresenta dunque la regola e quello esclusivo l’eccezione: spetta al giudice valutare tutti gli aspetti per prendere la decisione più idonea nell’esclusivo interesse del figlio.

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    Bibliografia 

    Moro A. C, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

  • L’obbligo di mantenimento dei figli: un diritto-dovere

    Figli, mantenimento, soldi

    L’obbligo di mantenimento dei figli è una tematica che accomuna tutti i genitori, ma che al tempo stesso può generare dubbi e confusioni.

    Questo contributo nasce proprio con l’intento di rispondere ai dubbi e alle domande dei genitori, cercando di illustrare l’obbligo di mantenimento dei figli, minorenni e maggiorenni.

    Come appare nel fondamentale articolo 315 bis del codice civile, il figlio ha diritto ad essere mantenuto: è un vero e proprio diritto del figlio e un dovere/obbligo del genitore.

    L’obbligo di mantenimento dei figli compete ai genitori di figli:

    • Minorenni;
    • Maggiorenni, non economicamente autosufficienti;
    • Naturali, nati cioè fuori dal matrimonio;
    • Maggiorenni, affetti da handicap grave.

    Ma, in cosa consiste il mantenimento?

    L’obbligo di mantenimento dei figli comporta a ciascun genitore l’obbligo di soddisfare tutti i bisogni morali e materiali dei figli, provvedendo a tutti i loro bisogni e alla predisposizione di un ambiente familiare adeguato.

    Con il termine “bisogni” si intendono sia i bisogni primari, ovvero le esigenze di vita, sia i bisogni secondari ma necessari ad un adeguato sviluppo della persona.

    Per dare un’idea, rientrano tra questi bisogni le seguenti spese:

    • Vitto, alloggio, medicine, vestiario (spese primarie);
    • Istruzione;
    • Materiale didattico, libri;
    • Giochi, sport, tempo libero;
    • Computer, cellulare, trasporto;
    • Gite, viaggi, corsi, vacanze studio, e ogni altra attività ricreative;
    • Cure mediche, ordinarie e specialistiche.

    L’obbligo di mantenimento nei confronti del figlio è lo stesso per i figli concepiti da genitori uniti in matrimonio o concepiti al di fuori del matrimonio.

    Un figlio, legittimo, naturale, riconosciuto o non riconosciuto, può pretendere l’adempimento del fondamentale dovere al mantenimento.

    Affrontiamo ora l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni.

    Innanzitutto, non esiste, per legge, un limite di età prestabilito oltre il quale i genitori non sono più tenuti a provvedere al mantenimento dei figli.

    I genitori sono tenuti a mantenere i figli, anche maggiorenni, fino a quando iniziano a svolgere un’attività lavorativa che permetta loro di essere economicamente indipendenti.

    Il figlio maggiorenne diventa economicamente autosufficiente quando comincia a percepire un reddito corrispondente alla professionalità acquisita, con un rapporto di lavoro continuativo e stabile.

    L’obbligo dunque non cessa quando i figli iniziano una attività lavorativa ma solo quando l’attività lavorativa permette loro di raggiungere l’autosufficienza economica.

    Il mantenimento non spetta, invece, quando il genitore riesce a provare che il mancato svolgimento di un’attività lavorativa dipende dalla colpa o dalla negligenza del figlio.

    Ai genitori compete il mantenimento dei figli maggiorenni quando il figlio:

    • Sta completando la formazione;
    • Svolge un lavoro limitato nel tempo e precario;
    • Lavora come apprendista, in quanto è un rapporto di lavoro diverso da quello ordinario;
    • Svolge un lavoro non qualificato rispetto al titolo di studio conseguito;
    • Consegue una borsa di studio correlata ad un dottorato di ricerca.

    Da notare è il fatto che una volta che il figlio maggiorenne raggiunge l’indipendenza economica, a seguito dell’inizio di un lavoro stabile, perde il diritto al mantenimento.

    Pertanto, nell’ipotesi di un successivo licenziamento, una volta raggiunta l’autosufficienza economica, il figlio non può più pretendere l’assegno di mantenimento.

    La violazione dell’obbligo di mantenimento può determinare la pronuncia di decadenza dalla potestà genitoriale.

    L’obbligo di mantenimento dei figli spetta ai genitori, anche in caso di separazione, per figli minorenni ma anche per i maggiorenni che non hanno raggiunto l’indipendenza economica.

    L’assistenza materiale determinata dal matrimonio non si estingue con la separazione, ma si concretizza con la l’assegno  di mantenimento, solitamente periodico.

    Il mantenimento include le spese ordinarie e le spese straordinarie.

    Ciascun genitore è obbligato al mantenimento dei figli, in misura proporzionale al proprio reddito.

    In sede di separazione, il giudice dispone l’obbligo di mantenimento, tenendo in considerazione i seguenti presupposti:

    • attuali esigenze del figlio;
    • tenore di vita tenuto dal minore con entrambi i genitori;
    • permanenza presso ciascun genitore;
    • il reddito dei genitori;
    • valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti di ciascun genitore.

    Concludendo, è possibile affermare che l’obbligo di mantenimento dei figli è un vero e proprio diritto, garantito dal nostro ordinamento in modo analogo per i figli minorenni, legittimi e naturali, ma anche per i figli maggiorenni, in alcuni casi specifici.

    Bibliografia 

    Moro A. C, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

  • Il mantenimento dei figli minorenni e l’affidamento condiviso

    Famiglia, bigenitorialità

    Il mantenimento dei figli minorenni e il relativo affidamento in seguito alla rottura dell’unità familiare è un argomento di grande interesse e attualità.

    La legge 54/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e di affidamento condiviso dei figli” ha prodotto profondi cambiamenti nella disciplina dell’affidamento in caso di rottura dell’unità familiare.

    Si capovolge così il sistema precedente, dove di norma il giudice affidava il figlio in via esclusiva al genitore che meglio pareva essere in grado di occuparsene (solitamente la madre).

    Ciò porta all’introduzione di un principio nuovo, secondo il quale il figlio non è più oggetto di spartizione, ma è un soggetto di diritto: il diritto alla bigenitorialità.

    Si afferma così il diritto del figlio di continuare a ricevere da entrambi i genitori affetto, mantenimento, cura, educazione e istruzione, a prescindere dalla frattura dell’unità familiare e dal collocamento presso l’uno o l’altro genitore.

    L’affidamento, il mantenimento e l’esercizio della responsabilità diventano così comuni e condivisi fra i genitori, nonostante la separazione.

    Principio cardine della legge n. 54/2006 è quello di considerare in maniera unitaria le responsabilità educative e quelle patrimoniali, responsabilizzando ciascun genitore nel solo interesse del figlio.

    Per raggiungere questo scopo l’art. 155 cod. civ introduce il principio di mantenimento in forma diretta, secondo il quale  ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in maniera proporzionale al proprio reddito.

    La proporzionalità dei contributi è garantita dal potere del giudice di fissare, ove necessario, un assegno periodico sulla base delle attuali esigenze del figlio, tempi di permanenza presso ciascun genitore o risorse economiche di entrambi i genitori.

    Ciò è da ritenersi valido sia per i figli nati nel matrimonio sia per i figli nati fuori dal matrimonio.

    Bibliografia 

    Moro A. C, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

  • Articolo 315 bis cc: i diritti dei figli

    famiglia con bambini

     

    I diritti dei figli sono contenuti nel famoso articolo 315 bis ccIl figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacita’, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. 

    Il genitore ha il dovere di mantenere il figlio, appagando i suoi bisogni primari, e tutti gli altri bisogni necessari alle sue esigenze di vita.

    L’obbligo di mantenimento non termina con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae fino a quando il figlio non è in grado di provvedere, in modo adeguato, alle proprie esigenze.

    Il diritto del figlio al mantenimento cessa solo quando i genitori possono dimostrare che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che è stato da loro posto nelle condizioni di essere autosufficiente.

    Sul genitore grava poi l’obbligo di istruire il figlio, e cioè di fornire i mezzi per consentire il regolare svolgimento dell’attività di istruzione, sia scolastica che professionale.

    Deve anche controllare che il figlio adempia, quanto meno, alla suola dell’obbligo.

    Ai sensi dell’art. 315 bis c.c. i genitori non devono ostacolare ingiustamente le particolari inclinazioni del figlio, sempre nel rispetto della sua personalità.

    Incombe poi sul genitore il dovere di educare il figlio, ponendosi accanto a lui nel difficile itinerario di acquisizione di una compiuta identità e di costruzione di un’adeguata personalità sociale.

    L’ordinamento ha ritenuto opportuno non definire un modello educativo generale, a cui i genitori devono uniformarsi e la cui non attuazione comporti automaticamente il riconoscimento di un’insufficienza educativa.

    Non vengono definiti dei canoni educativi astratti che, se seguiti, rendono automaticamente “buona” l’educazione, criteri cioè validi per tutti.

    Vengono invece definiti canoni concreti, specifici, strettamente collegati alle esigenze di sviluppo di “quel” figlio.

    L’attenzione si sposta così sulla personalità del minore, affidando ai genitori funzioni educative ancora più impegnative e significative.

    Naturalmente l’azione dei genitori sarà diversa a seconda dell’età del minore e del suo progressivo maturarsi.

    Man mano che il figlio cresce il genitore deve sapersi ritrarre in modo che il ragazzo abbia la possibilità di sperimentare, pur nella sicurezza dell’affetto e della guida dei genitori, la propria autonomia.

    Al diritto di essere mantenuto, educato ed istruito si è aggiunto, con il nuovo art. 315 bis c.c., il diritto di essere assistito moralmente.

    Questa aggiunta pare coerente con il dovuto rispetto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni del figlio, parlando così di “rispetto” della sua personalità.

    Si afferma con forza che la funzione educativa non può essere di addestramento, o peggio di colonizzazione, ma deve consistere in un “porsi accanto”, per aiutare il ragazzo a sviluppare pienamente le proprie potenzialità.

    I diritti del figli non si esauriscono in obblighi pecuniari, bensì implicano un impegno continuo per realizzare un adeguato sviluppo del minore.

    Bibliografia 

    Moro A. C, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

  • I doveri verso i figli: la responsabilità genitoriale

    Capita spesso ai genitori di porsi domande rispetto al comportamento da tenere nei confronti dei propri figli, o meglio rispetti ai cosiddetti doveri genitoriali, ovvero i doveri verso i figli.

    “Sto facendo abbastanza?” oppure “dovrei fare di più?” o ancora “sto adempiendo ai miei doveri di genitore?” sono domande all’ordine del giorno, che portano i genitori a mettersi continuamente in discussione.

    Sorge spontanea una domanda: quali sono, secondo il nostro ordinamento, i doveri verso i figli?

    Il nostro codice, in seguito alla riforma attuata dalla l. 219/2012 e con il successivo Dlgs n. 154/2013, ha sostituito al termine potestà quello di responsabilità genitoriale, evidenziandone così il carattere funzionale rispetto ai diritti dei figli.

    Con l’introduzione di questo termine l’ordinamento ha voluto attribuire ai genitori una responsabilità di crescita del minore, riconoscendo ad essi una serie di poteri, personali e patrimoniali, da esercitare esclusivamente nell’interesse dei figli.

    I poteri attribuiti, infatti, non si riducono ad un potere sui figli, ma sono bensì un potere per i figli, un potere-dovere, che si riduce ad un adeguato svolgimento del processo educativo del figlio minore.

    Nell’esercizio della responsabilità genitoriale sono attribuiti poteri tanto in funzione degli interessi personali del figlio quanto in funzione degli interessi patrimoniali dello stesso.

    A tutela della personalità del minore il genitore ha, nei diretti confronti del figlio, un potere-dovere di cura della persona, di sostegno, di vigilanza. 

    Nello specifico i genitori devono:

    • Impartire al minore una sana educazione;
    • Svolgere una vigilanza adeguata all’età, al carattere e all’indole del figlio;
    • Rappresentare il minore, esercitando per suo conto i diritti e le azioni di cui esso è titolare.
    • Tutelare il figlio nei confronti di terzi o da turbative esterne;
    • Assistere il figlio nel caso di procedimento penale nei suoi confronti.

    Il genitore ha anche una responsabilità presunta per il danno cagionato a terzi dal figlio minore che abita con lui (art. 2048 cod. civ.)

    Per quanto riguarda invece la tutela patrimoniale del minore, vale a dire l’amministrazione suoi benie e la rappresentanza di questi per i diritti patrimoniali, si stabilisce che:

    • Gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti da ciascun genitore;
    • Gli atti di straordinaria amministrazione non possono essere compiuti.

    L’ordinamento prevede un controllo sulla rispondenza dell’esercizio della responsabilità genitoriale alle finalità per cui la responsabilità è stata attribuita.

    La legge riconosce innanzitutto la possibilità per il giudice di:

    • Dichiarare la decadenza della responsabilità genitoriale “quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio (art. 330 cod. civ.);
    • Limitare la responsabilità genitoriale quando la condotta del genitore è comunque pregiudizievole al figlio (art. 333 cod. civ.).

    L’ordinamento non indica una precisa tipologia di interventi che il giudice può assumere lasciando, alla sua discrezionalità ed alla peculiarità del caso sottoposto alla sua attenzione, il compito di delineare l’intervento più opportuno.

    Nello specifico, il giudice può:

    • Limitarsi a convocare le parti per consentire, attraverso una presa di coscienza del problema, cambiamenti nelle relazioni familiari per adempiere alle esigenze del minore;
    • Imporre, attraverso prescrizioni, comportamenti da tenere dai genitori nei confronti dei figli;
    • Prescrivere terapie psicologiche ai genitori o disporre l’affidamento del caso al servizio sociale per interventi di vigilanza e di sostegno pedagogico;
    • Disporre l’allontanamento del minore dai genitori, in casi gravi.

    La competenza ad emettere questi provvedimenti è del Tribunale per minorenni.

    Competente territorialmente è l’organo giudiziario del luogo in cui il minore dimora abitualmente.

    I provvedimenti sono adottati su ricorso del genitore, dei parenti o del pubblico ministero, ed è previsto espressamente l’ascolto del minore.

    Sulla base di quanto presentato finora, si può affermare che l’ordinamento riconosce ai genitori l’obbligo di esercitare la responsabilità genitoriale sui propri figli, attribuendo a ciascun genitore poteri-doveri di cura, sostegno, vigilanza, educazione, rappresentanza del minore ed amministrazione dei suoi beni.

    Bibliografia

    Moro A. C, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

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