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Giulia Piazza

  • Bullismo a scuola: per un piano di prevenzione e contrasto

    bullismo a scuola

    Nella nostra pratica quotidiana e lavorativa, ci troviamo sempre più di fronte a casi di bullismo a scuola.

    Sono sempre di più i genitori o gli insegnanti che ci contattano, chiedendoci di fare qualcosa, chiedendoci di agire in prevenzione.

    Ormai, i nostri lettori fedeli, sanno di cosa ci occupiamo, ma facciamo un po’ di chiarezza per chi ci legge per la prima volta 😉

    Noi siamo Non Solo Pedagogia, una società di consulenza, che lavora in prima linea nell’ambito del sostegno famigliare e della tutela minorile.

    Ma, entriamo più nel dettaglio.

    Una pedagogista e una criminologa

    Ebbene sì, noi siamo una Pedagogista e una Criminologa, due professionalità diverse ma che si completano alla perfezione per offrirvi una tutela e un sostegno a 360 gradi.

    La Criminologia studia i comportamenti a rischio, i reati, gli autori e le vittime dei reati, promuovendo interventi di prevenzione, di sensibilizzazione e di contrasto, soprattutto in riferimento ai minori.

    La Pedagogia studia, invece, l’educazione e i problemi relativi all’educazione, occupandosi di elaborare progetti e percorsi di rieducazione per risolvere un problema specifico, lavorando con il minore, i genitori o l’intero nucleo famigliare

    Il Criminologo lavora sul prima, il Pedagogista lavora sul dopo: ecco perché ci integriamo alla perfezione!

    Cosa possiamo fare per il bullismo a scuola

    Unendo le nostre professionalità siamo in grado di agire per prevenire e contrastare i comportamenti a rischio e le condotte devianti a scuola.

    Come?

    Con progetti ed interventi specifici di prevenzione, contrasto e sensibilizzazione.

    Interventi e percorsi che progettiamo ad hoc e realizziamo nelle scuole, di vario grado di istruzione, rivolti agli studenti, agli insegnanti e ai genitori.

    Ogni percorso progettuale è diverso, viene costruito ad hoc sulla realtà della scuola, le esigenze e i problemi riscontrati.

    Solo così, infatti, l’intervento riesce ad essere efficace.

    Ora vi presento il nostro Progetto “Noi Siamo Insieme”, volto proprio a contrastare e prevenire ogni forma di devianza e di bullismo a scuola.

    Il Progetto “Noi Siamo Insieme”

    Questo progetto nasce dall’esigenza di fare qualcosa per contrastare una serie di atti vandalici e condotte devianti avvenuti nella Provincia di Ferrara.

    Siamo state chiamate, in qualità di esperte in progettazione, a trovare una soluzione, a pensare e fare qualcosa, per rispondere a questa particolare situazione.

    Ci siamo trovate e confrontate a lungo per ideare una proposta progettuale in grado di rappresentare una reale soluzione, con i giusti tempi e le giuste modalità di attuazione.

    E così, in una giornata senza soste e senza pausa, è nato il Progetto “Noi Siamo Insieme”.

    Un Progetto articolato, innovativo, che vede scendere in campo diversi soggetti e diverse realtà, con competenze e professionalità specifiche, che però lavorano insieme.

    “Noi Siamo Insieme” significa, infatti, Unione, Compattezza, mettere assieme i propri pezzi, in un puzzle, in un meccanismo.

    Significa Appartenere, Condividere le proprie conoscenze e le forze verso un unico obiettivo, guardando nella stessa direzione.

    Insieme siamo più forti.

    Obiettivi e caratteristiche innovative

    “Noi Siamo Insieme” nasce da un’idea comune: difendere, proteggere e sostenere la realtà territoriale e le famiglie che vi appartengono, da tutte le fragilità educative che possono essere presenti.

    Sostenere le famiglie, i genitori, i figli, con momenti formativi ed informativi che stimolano la partecipazione e l’interazione.

    Per i ragazzi, laboratori all’interno delle classi, con lo scopo di incrementare in loro la conoscenza dei comportamenti a rischio con attività partecipative e progettate ad hoc.

    Al di fuori della scuola, invece, sono previsti laboratori extrascolastici che si svolgono nel pomeriggio, su tematiche educative e modalità innovative.

    In questo modo offriamo ai ragazzi la possibilità di trascorrere il pomeriggio facendo qualcosa di divertente e di educativo insieme ai loro coetanei 😉

    E’ previsto, infine, un grande coinvolgimento degli adulti: genitori e adulti di riferimento, che hanno un ruolo fondamentale nell’educazione dei ragazzi.

    Incontri formativi rivolti proprio ai genitori, su vari argomenti di attualità, in chiave completamente pratica.

    Modalità necessaria per fornire ai genitori conoscenze, competenze e strumenti che possono usare nella loro pratica educativa.

    Questo è uno dei tanti nostri progetti.

    Seguiteci per approfondimenti e aggiornamenti e contattateci per pensare insieme percorsi progettuali!

  • Mio figlio è la vittima del bullismo: cosa fare e come comportarsi

    vittima del bullismo

    Molti genitori, nei nostri incontri formativi, ci domandano come possono accorgersi che loro figlio è la vittima del bullismo a scuola.

    E, una volta compreso, come devono comportarsi, cosa devono fare per aiutarlo e sostenerlo.

    Ormai, quasi ogni giorno la cronaca affronta il delicato tema del bullismo, nelle sue molteplici manifestazioni.

    L’importanza della prevenzione

    Nel caso del bullismo agire in prevenzione è fondamentale, arrivare prima e non dopo assume un’importanza fondamentale.

    Noi lavoriamo molto, con progetti e interventi formativi, per sensibilizzare, prevenire e contrastare i comportamenti a rischio e le dinamiche di devianza minorile.

    Cerchiamo di fornire a genitori e insegnanti gli strumenti per riconoscere tali dinamiche e riconoscere quelli che possono essere i cosiddetti “campanelli d’allarme” da conoscere e osservare nei comportamenti dei ragazzi.

    Vediamo insieme quali sono questi campanelli d’allarme, queste modalità di comportamenti che dovete osservare, per chiedere il sostegno di un professionista esperto.

    Le caratteristiche della vittima

    La prima cosa che dovete sempre osservare sono i cambiamenti nel comportamento.

    Improvvisamente, appare insicuro, più ansioso, chiuso in se stesso, tende ad isolarsi, a non parlare più con voi, a chiudersi in camera.

    A scuola spesso è solo o viene escluso dal gruppo dei coetanei, durante la ricreazione, in classe e in giardino.

    Alla domanda “c’è qualcosa che non va scuola?” risponderà sempre con “niente”.

    Tenderà, infatti, a negare l’esistenza del problema e la propria sofferenza, senza vedere una reale soluzione.

    Comportamenti tipici della vittima

    Il primo passo che puoi fare, per capire se tuoi figlio può essere vittima del bullismo, è osservare e prestare attenzione ad alcuni “campanelli d’allarme”.

    Se ritrovi alcuni di questi segnali in tuo figlio, potrebbe essere esposto a bullismo.

    • E’ spesso triste o scontento quando torna a casa;
    • Manifesta disagi ricorrenti prima di andare a scuola;
    • Si ammala con facilità e ha scarso appetito;
    • Presenta disturbi e dolori che non ha mai avuto prima;
    • Dimentica o perde spesso il materiale scolastico, ha il diario o i libri rovinati;
    • Può avere lividi, ferite, vestiti strappati;
    • Ha un sonno agitato con incubi ricorrenti;
    • Fatica a comunicare in casa;
    • Potrebbe avere un legame protettivo molto forte con un genitore;
    • Perde interesse nelle attività scolastiche e il suo rendimento cala;
    • Ha frequenti sbalzi d’umore;
    • Perdita di interesse verso le passioni e gli hobby e ritiro sociale.

    Cosa fare e come comportarsi

    Se avete scoperto che vostro figlio è vittima di bullismo, ecco alcuni consigli e strategie utili che potete utilizzare da subito: provare per credere 😉

    Date loro ascolto e vicinanza

    Ascolto e vicinanza, dialogo e comprensione, empatia. 

    Vostro figlio deve capire che siete sempre presenti per lui, in ogni situazione, anche se difficile.

    Rispettate i loro spazi e i loro momenti.

    Con il tempo, questa fase può essere superata e arriverà a confidarsi.

    Comprendete i vostri figli e adattate le vostre aspettative alle loro capacità.

    Per esempio, provate a fare una lista di ciò che è importante per loro: la musica, lo sport, gli interessi, le passioni, e partite da lì, incoraggiateli in queste attività.

    Potenziate la loro autostima

    Insegnate loro ad essere resilienti.

    Ad essere forti, ad affrontare le difficoltà con proprie risorse e proprie strategie.

    Affiancateli, ma lasciategli sperimentare in modo autonomo.

    Insegnate loro a scegliere per sé stessi e prendersi le proprie responsabilità.

    Se vostro figlio non ottiene il risultato desiderato, rispondi con un feedback costruttivo e aiutalo chiedendogli “Come puoi migliorare? Come potresti farlo in modo diverso?”.

    Ha bisogno di cadere, per imparare e, soprattutto, di trovare le proprie soluzioni.

    Favorite momenti di socializzazione positiva

    Invitate gli amici di tuo figlio a giocare a casa.

    Parlate con gli altri genitori, proponendo che trascorrano insieme una giornata.

    Conoscete gli amici dei vostri figli.

    Ricordate sempre che:

    Agire prima è di vitale importanza per prevenire le situazioni di bullismo.

    Per qualsiasi approfondimento, dubbio, consiglio, non esitate a chiedere un nostro parere.

  • Chi sono i bulli di scuola? Caratteristiche e comportamenti

    bulli di scuola

    Ogni giorno la cronaca affronta il delicato tema del bullismo, nelle sue molteplici manifestazioni.

    Noi ne abbiamo parlato a lungo, in vari articoli e approfondimenti, ma non è mai abbastanza.

    Con il termine bullismo intendiamo l’insieme di abusi e condotte oppressive, perpetrate in modo fisico o psicologico, ripetute per settimane, mesi o perfino anni.

    Il principale luogo in cui esso si manifesta è la scuola.

    Vediamo ora le caratteristiche e i comportamenti dei bulli e delle vittime.

    Chi sono i bulli di scuola

    Con il termine bullo ci si riferisce a un ragazzo o un bambino che prende di mira un coetaneo e ogni giorno, per lungo tempo lo “bullizza”.

    In altre parole, il bullo è colui che, attraverso la propria forza o la propria posizione di superiorità, colpisce la vittima con violenze di tipo fisico, verbale o psicologico.

    Caratteristiche del bullo: cosa osservare

    Come sapere se vostro figlio è un bullo?

    Quali comportamenti dovete osservare?

    Prestate attenzione a questi “campanelli d’allarme”:

    • Il bambino mostra sottomissione con uno dei genitori o può vivere una situazione di trascuratezza ed eccessiva libertà;
    • Parla poco in casa di sé, delle proprie giornate, dei propri stati emotivi;
    • Mancanza di senso di colpa, autocritica e responsabilità, non sa chiedere scusa;
    • Ha difficoltà ad affrontare gli insuccessi;
    • Ha rendimento scolastico basso;
    • Mostra violenza e aggressività per stare al centro dell’attenzione e può avere un rapporto negativo con le figure autoritarie;
    • Mostra scarsa tolleranza alla frustrazione.

    Ciò che possiamo consigliare qualora vostro figlio mostri comportamenti prevaricatori è affidarsi ad un esperto pedagogista che possa intervenire con un percorso di rieducazione mirato e specifico.

    Non bisogna colpevolizzare un bullo, bensì lavorare insieme a lui sui concetti di responsabilità, consapevolezza ed empatia, in un percorso mirato ed affiancato dai genitori.

  • Bullismo in classe: proposte di intervento pedagogico

    bullismo in classe

    In questo articolo, parliamo di bullismo in classe, proponendo alcune strategie e proposte di intervento pedagogico che potete svolgere.

    In articoli precedenti abbiamo ampiamente trattato il fenomeno del bullismo, ponendo l’attenzione sulle caratteristiche e sui ruoli di vittima e bullo, come riconoscere il fenomeno.

    Il nostro intento è sempre quello di fornire strumenti  buone pratiche a genitori e  insegnanti, per riconoscere, contrastare e prevenire atti di bullismo.

    Cosa può fare la scuola

    Ciò che la scuola può fare è fornire una formazione specifica al proprio personale: agli insegnanti, educatori e chiunque lavori all’interno della scuola.

    I corsi di sensibilizzazione sulle tematiche del bullismo si rivelano molto importanti per sapere riconoscere il fenomeno e prevenirlo.

    È necessario attuare un piano anti-bullismo ben definito e strutturato, con regole chiare da rispettare, da fornire a tutte le classi.

    E, ancora:

    • È bene non tollerare né sottovalutare episodi di bullismo ma intervenire sempre
    • Favorire momenti di riflessione in gruppo e attività pro-sociali
    • Essere aperti al dialogo, individuare soggetti a rischio
    • Preparare questionari anonimi nelle classi
    • Organizzare laboratori che valorizzino le differenze individuali, la conoscenza reciproca

    In questo senso, progettiamo percorsi di formazione, proprio su queste tematiche, rivolti alle scuole di grado con lo scopo di informare gli studenti, sensibilizzarli, prevenire e contrastare fenomeni devianti.

    Progettiamo anche percorsi di formazione rivolti agli insegnanti, per fornire gli strumenti necessari per riconoscere e contrastare i fenomeni di bullismo.

    Se interessati ad approfondire, non esitate a contattarci 😉

  • Educare alle regole e al compromesso: istruzioni per l’uso

    educare alle regole

    Educare alle regole un bambino è di fondamentale importanza per la sua crescita equilibrata e serena.

    L’educazione alle regole è uno dei temi maggiormente dibattuti nel mondo dell’educazione.

    Infatti, una domanda molto comune che i genitori mi pongono durante i corsi o le consulenze è: “dovrebbe prevalere un atteggiamento autoritario e punitivo oppure un approccio più permissivo?”.

    E ancora “a quale età è opportuno introdurre un sistema di regole?” oppure “in che modo è possibile impostare un sistema di regole efficace?”.

    Per approfondire gli stili educativi genitoriali vi rimando a questo nostro articolo che mette in luce lo stile educativo più funzionale e positivo, ovvero quello autorevole.

    Regole: significato e funzioni

    Quando pensate alla parola regola cosa vi viene in mente?

    Le regole non sono dei divieti, delle imposizioni, degli ordini prescrittivi e coercitivi.

    Sono bensì delle norme di comportamento che guidano il bambino nella sua crescita equilibrata.

    La parola regola deriva infatti da règere, ossia guidare.

    In questo senso, la sua prima funziona è quella di fornire una guida al comportamento del bambino.

    Come potete intuire l’assenza di regole significa lasciare il bambino privo di una guida, il che aumenta il rischio di comportamenti problematici, disorientamento e ansia.

    Una seconda fondamentale funzione delle regole è quella di rendere l’ambiente prevedibile, fornendo ai bambini un ordine e una prevedibilità nel contesto di vita.

    La presenza di regole è poi il prerequisito essenziale per fondare l’appartenenza ad un gruppo, ad esempio al gruppo famiglia.

    Infine, la presenza di regole è fondamentale per garantire al bambino il diritto alla disubbidienza.

    Sembra paradossale lo so ma è così, il soggetto in età evolutiva deve talvolta trasgredire, al fine di riconoscere l’esistenza di un limite che è opportuno non oltrepassare in futuro.

    Come educare alle regole in modo positivo

    L’obiettivo del genitore non deve essere quello di stilare un elenco più o meno esaustivo di regole, bensì quello di far compiere al bambino il percorso della conoscenza delle regole alla loro applicazione.

    Molto importante, inoltre, è la coerenza con la quale vengono proposte e fatte rispettare le regole.

    Coerenza educativa da parte di entrambi i genitori, anche e soprattutto in caso di affidamento condiviso dei figli.

    I genitori, infatti, devono concordare la modalità educativa che ritengono più utile e funzionale, anche con il sostegno di un pedagogista esperto.

    L’incoerenza educativa genera nel bambino disorientamento e difficoltà nel comprendere e mettere in atto le diverse regole proposte.

    Ad esempio, viene ripreso dalla mamma per un comportamento mentre dal papà non viene ripreso; ciò genera inevitabilmente disorientamento e il bambino non saprà cosa attendersi in futuro.

    Questo tipo di incertezza lo espone a stati di ansia crescenti, il che ovviamente finirà solamente per incrementare i comportamenti di disubbidienza e disaccordo.

    Come è possibile implementare un sistema di regole funzionale e positivo?

    Richiedi una consulenza, possiamo aiutarvi 😉

  • Il mondo delle dipendenze: cosa osservare e come intervenire

    dipendenze

    Durante i nostri seminari e incontri con genitori e figure di riferimento, quando parliamo di dipendenze giovanili, queste sono le domande che ci pongono maggiormente.

    “Come posso fare per accorgermene? Cosa devo osservare?”

    “Come posso intervenire?”

    “A chi devo rivolgermi?

    Vediamo insieme cosa è possibile osservare e come è possibile intervenire.

    Dipendenze: cosa osservare

    Le dipendenze sono molte, possiamo parlare di dipendenze da fumo di sigaretta, alcol e droghe, ma anche da gioco offline o online, da uso di mezzi elettronici, dai videogiochi… e altri.

    Le diverse forme di dipendenza possono variare secondo l’età e le abitudini del bambino; troviamo dipendenze da gioco, televisione e da Internet nei più piccini, da materiale pornografico, alcol e fumo, man mano che i ragazzi sono più grandi.

    Fare un discorso generale sui “sintomi” da individuare non è mai corretto, ma di certo è possibile individuare alcuni comportamenti che accomunano le dipendenze nei ragazzi, come:

    • Difficoltà di concentrazione;
    • Mancanza di interessi variegati o perdita di interesse per particolari hobby;
    • Tratti di aggressività nel comportamento;
    • Disturbi di alimentazione e del sonno;
    • Calo del rendimento scolastico;
    • Isolamento sociale.

    I bambini e i ragazzi che “dipendono” vivono in un mondo proprio che impedisce loro di riconoscere le proprie responsabilità e le conseguenze dei loro comportamenti!

    Ancora, faticano a progettare qualcosa per il loro futuro, a fare scelte; la dipendenza rappresenta infatti l’unica cosa di cui hanno bisogno, l’unico desiderio del qui ed ora, in un vortice di perdita di controllo.

    Come prevenire le dipendenze

    Ci accorgiamo che i genitori vogliono affrontare le dipendenze con i loro figli, ma spesso non sanno quando o come affrontare l’argomento.

    Ecco alcune cose che dovete sapere per parlare ai vostri figli di dipendenze.

    Iniziate presto

    Parlatene con i vostri figli, agendo sempre in prevenzione; parlate con loro, per esempio, prima che inizi ad uscire da solo con il gruppo di amici, o primi che inizi la scuola media.

    Naturalmente, la conversazione con loro deve sempre essere rapportata all’età.

    Siate onesti e rispondete alle loro domande

    Come sempre, sincerità e onestà sono al centro di ogni conversazione educativa.

    Non mentite o sminuite sui rischi che le dipendenze possono comportare.

    Seguite le domande dei vostri figli e cercate di riportargli esempi concreti, in modo che possa comprendere realmente la problematica.

    Non insistete, se hanno domande vi chiederanno loro.

    L’importante è fare capire ai vostri figli che voi ci siete, che siete presenti, e che possono sempre confidarsi e parlare con voi.

    In questo, fondamentale sempre l’ascolto empatico e la vicinanza emotiva.

    Per approfondire il tema delle dipendenze giovanili o richiedere una consulenza specifica, non esitate a scriverci!

  • Sostenere la genitorialità: il ruolo e le competenze del pedagogista

    sostenere la genitorialità

    Sostenere e aiutare i genitori nel loro ruolo educativo è una delle grandi sfide dei professionisti che si occupano di educazione.

    Il pedagogista, infatti, nel proprio lavoro si occupa di:

    • Sostenere e aiutare i genitori nell’educazione dei propri figli;
    • Incrementare e rafforzare le competenze educative e genitoriali;
    • Potenziare le situazioni che presentano carenze e difficoltà educative.

    Andiamo con ordine e vediamo, dunque, insieme come il pedagogista, con il proprio intervento, può aiutare i genitori nell’educazione dei figli.

    Sostenere la genitorialità

    Innanzitutto, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sul ruolo del pedagogista.

    Chi è il pedagogista?

    Il pedagogista è lo specialista dei processi educativi e della formazione.

    Si occupa di tutti i processi educativi, dello sviluppo e della formazione lungo tutto l’arco della vita delle persone.

    Di tutti, cioè, quelli che sono i problemi o difficoltà pedagogiche ed educative.

    Il pedagogista si pone l’obiettivo di sostenere i genitori, o il singolo genitore, in relazione al ruolo e alla modalità educativa, relazionale e comunicativa utilizzata con i propri figli.

    Spesso, infatti, i genitori possono sentire qualche difficoltà in merito al loro ruolo educativo e alle modalità educative da mettere in atto.

    Il Pedagogista può aiutare i genitori proprio a:

    • Leggere e a capire la situazione;
    • Individuare le soluzioni e le strade percorribili, tenendo conto della fascia di età del bambino;
    • Rafforzare il ruolo educativo di ciascuno dei genitori.
    • Attivare le risorse personali per fronteggiare e risolvere le difficoltà.

    Nello specifico può aiutarli a leggere la situazione da un altro punto di vista, fornendo loro informazioni utili sulle fasi di sviluppo e sulle dinamiche educative in gioco, in modo che possano trovare un modo operativo e personale per svolgere il proprio ruolo.

    Nell’incontro con i genitori si parte sempre dall’ascolto dell’esperienza di ciascuno di loro, per valorizzare ciò che talvolta si tende a tralasciare o a giudicare negativamente: gli errori, gli imprevisti, i conflitti.

    Questi possono diventare importanti alleati per rompere apparenti equilibri per trovare e definire nuove modalità e approcci più funzionali 🙂

    Educare è un atto creativo che prevede la ricerca attiva e la valorizzazione delle capacità e risorse interiori già presenti.

    La consulenza pedagogica di sostegno alla genitorialità

    La consulenza pedagogica è un intervento di grande efficacia e aiuto nella risoluzione di situazioni famigliari problematiche.

    Il principio che muove il pedagogista è che in una famiglia è sempre possibile ottenere risultati evolutivi attraverso un migliore adattamento delle strategie e modalità educative genitoriali.

    Contattaci per richiedere una prima consulenza al nostro Sportello pedagogico di sostegno alla genitorialità.

  • Disabilità e famiglia: il racconto di una mamma

    disabilità e famiglia

    Abbiamo parlato a lungo di disabilità, dei concetti di integrazione e autonomia: oggi parliamo, invece, di disabilità e famiglia.

    La disabilità all’interno di una famiglia è una presenza che va a toccarne tutti i componenti, tutte le dinamiche e il loro funzionamento.

    E’ un evento che irrompe violentemente nella vita di una  famiglia, modificandone, dunque, gli assetti mentali, emotivi e relazionali.

    Disabilità e famiglia

    La disabilità è un terremoto emotivo che cambia per sempre la vita dei genitori.

    Dall’iniziale negazione della realtà, all’accettazione della disabilità, la strada è lunga e faticosa e non sempre si giunge alla reale accettazione.

    Molti genitori, infatti, rimangono nella rassegnazione del“dobbiamo conviverci”.

    Inevitabilmente, la nascita di un figlio disabile pone la famiglia di fronte alla necessità di riorganizzarsi e di modificare i propri equilibri.

    La famiglia è un sistema in evoluzione: affronta perciò compiti evolutivi che richiedono un più o meno vasto processo di riorganizzazione.

    Le famiglie differiscono fra loro per le modalità con cui affrontano tali compiti evolutivi.

    Il modo in cui una famiglia reagisce a circostanze difficili risulta dall’interazione tra diversi fattori:

    • Le dinamiche familiari;
    • La capacità di effettuare una valutazione corretta del problema;
    • Le strategie disponibili per affrontarlo, le risorse materiali e i supporti sociali forniti dall’esterno.

    Il momento della comunicazione della diagnosi

    Un punto cardinale riguarda le modalità con cui la diagnosi viene comunicata.

    La chiarezza e la gradualità delle informazioni, sia nel contenuto che nella modalità di presentazione.

    Essi sembrano essere elementi importanti che non possono naturalmente impedire la sofferenza, ma possono accompagnare la famiglia verso un cammino fatto di speranza e un naturale processo di adattamento, stimolando reazioni di tipo costruttivo, attivo, anziché di rassegnazione.

    La diagnosi può provocare nei genitori un forte trauma, legato alla discrepanza tra il bambino “ideale” che hanno costruito come oggetto d’amore durante l’attesa e il bambino “imperfetto” che la realtà presenta loro.

    Il momento in cui viene data la diagnosi ed il successivo periodo di adattamento della famiglia restano determinanti per avviare una relazione tra il bambino, la famiglia e gli operatori che forniranno un sostegno terapeutico.

    La testimonianza di una mamma

    Oggi vi proponiamo la sincera testimonianza di Alba, mamma di Noemi, una bambina affetta da Autismo che frequenta la seconda elementare.

    Come tutto ebbe inizio

    Tutto è iniziato con un abbraccio, di una neuropsichiatra che stimo tantissimo, e con la frase “la piccola e’nello spettro dell autismo”. Uscendo dalla stanza ho pianto, di quei pianti che partono dalla pancia attraversano il cuore e fermano il battito, ma che alla fine ti danno un senso di liberazione. In quel momento non sapevo nulla della parola Autismo: non ne conoscevo il significato e cosa avrebbe comportato. Poi mi sono detta che l’autismo era solo una parte della mia bambina e che mi sarei concentrata su ciò che c’era e non su ciò che non c’era e che da lì sarei partita. Mi resi conto che dovevo affidarmi, e fidarmi, a persone specializzate che mi avrebbero insegnato a vedere. E così feci: io volevo fare la mamma, e non la terapista di mia figlia.

    L’inizio del percorso

    Cosi è iniziato il percorso. Non dico che è stato semplice, anzi, è stato tortuoso e doloroso ma sostenuta e indirizzata da professionisti siamo riusciti a far partire tutto. Ogni giorno bisogna fare un bilancio: le cose per cui vale la pena investire tempo e fatica e quelle, invece, per le quali è inutile lottare. Noemi mi ha insegnato a pensare prima di agire, c’è sempre bisogno di un pensiero, per proteggersi e per investire il tempo nel modo giusto. Ho, quindi, deciso di condividere la mia esperienza con le persone che frequentavo, e all’asilo ho trovato tante braccia aperte.

    L’importanza della condivisione

    Ho scelto di parlare, di condividere, sono stata ascoltata e,a mia volta, ho ascoltato. Tutti noi abbiamo delle difficoltà, e per ciascuno di noi sembrano enormi e insormontabili. Con questi confronti ho potuto ridimensionare il mio dolore: un dolore condiviso è un dolore dimezzato e questo vale anche per la gioia, una gioia condivisa è una gioia moltiplicata. In fondo da soli non si può fare niente. Come si dice, per educare un bambino ci vuole un intero villaggio ed proprio così: amici, amiche, educatrici, insegnanti, familiari, vicini di casa.

    Un progetto per la socializzazione

    In quel periodo abbiamo pensato ad un progetto, io e una delle educatrice di Noemi, per favorire l’integrazione e la socializzazione. Noi possiamo parlare, spiegare, confrontarci, ma solo vivendoci tutti i giorni possiamo sconfiggere le barriere che ci separano: solo ciò che non si vive e non si conosce ci fa paura. Così abbiamo pensato di creare dei momenti di gioco a casa con i compagni della classe, strutturati con l’aiuto e il sostegno dell’educatrice. Il tutti per dare la possibilità ai bimbi che vengono a casa di giocare con Noemi con fluidità e naturalezza, mentre per lei capire come fare per giocare ed interagire al meglio. Ognuno rispetta i tempi dell altro. Questo progetto è un vero successo, i bimbi fanno a gara per venire e Noemi è felicissima di condividere dei momenti unici con i suoi amici.

    Per una vita possibile

    Ad oggi posso dire che una vita è possibile, anzi ci vuole 😉 La fatica è grande, ma le soddisfazioni sono tantissime. Alla diagnosi ci dissero che Noemi probabilmente non avrebbe parlato; oggi, invece, in seconda elementare inizia a scrivere e leggere. Siamo una famiglia come tante altre, con alti e bassi, e con le nostre difficoltà, ma siamo uniti. E grazie anche a  mio marito che, nonostante per una coppia reagire a tutto questo  è difficilissimo e i tempi di risposta al dolore sono diversissimi, siamo riusciti insieme a cambiare sguardi e direzioni.

    Io sono convinta che l’amore abbatte tutti i muri e tanto amore concentrato è un esplosione miracolosa!

    Un Grazie sincero ad Alba per aver condiviso con noi la sua esperienza e le sue parole 😉

    Quando si parla di disabilità e famiglia, unione e amore sono le parole chiave.

  • Autonomia e disabilità: le parole di una Educatrice di Sostegno

    autonomia e disabilità

    Quando parliamo di autonomia e disabilità ci stiamo riferendo a due concetti che un educatore di sostegno deve conoscere a fondo e padroneggiare.

    Infatti, nel lavoro educativo con la disabilità bisogna sempre tenere presente il concetto di autonomia e quello di inclusione.

    Oggi  parliamo dell’importanza dell’acquisizione dell’autonomia da parte di un bambino con disabilità.

    Il tutto con la testimonianza diretta di una Educatrice di Sostegno, Noemi Ferranti, che lavora da alcuni anni a stretto contatto con la disabilità.

    La sua esperienza come Educatrice di Sostegno

    L’esperienza di lavoro nelle scuole come educatore di sostegno mi ha dato la possibilità di confrontarmi con situazioni diverse e particolari. Ogni bambino con cui ci ritroviamo a lavorare ha la propria storia, il proprio vissuto e una patologia con cui confrontarsi, di fronte alla quale coloro che si trovano nella mia posizione devono riuscire ad improntare un percorso di crescita.

    Percorso non solo prettamente didattico e scolastico, ma anche per quanto riguarda il livello dell’autonomia personale.

    Durante questi 2 anni di lavoro ho avuto la possibilità di confrontarmi con il Disturbo dello Spettro Autistico. Un disturbo dello sviluppo che comporta un deficit più o meno grave nell’area della comunicazione e interazione sociale, nella creazione di legami e nell’area degli interessi e delle attività”.

    Il lavoro educativo

    Nella mia situazione specifica mi sono trovata a lavorare con una bambina della scuola primaria che, due anni fa, mi colpì fin da subito per la sua particolarità.

    Nonostante la sua certificazione denotasse un livello grave del disturbo, la bambina presentava buoni aspetti, seppur comunque limitati, di comunicazione e interazione con gli adulti di riferimento e alcuni pari in particolare, oltre ad uno sviluppo alto dell’ autonomia personale e fisica.

    Il tutto è stato possibile grazie ad un grande lavoro da parte dei terapeuti, degli educatori e della famiglia, che tuttora proseguono questo percorso educativo.

    Il lavoro integrato tra professionisti con diverse competenze è, infatti, fondamentale per elaborare un intervento globale verso l’autonomia e l’inclusione.

    Il lavoro quotidiano

    Fin dai primi anni, dopo il riscontro della patologia, l’obiettivo è stato quello di rendere la bambina capace di muoversi attivamente negli ambienti di casa.

    Per questo motivo, ci ha spiegato l’Educatrice, sono state applicate metodologie per consentire alla bambina di poter apprendere le funzioni degli oggetti e dei luoghi, la routine quotidiana, le azioni da compiere in base alla situazione in cui si trovava.

    Ad esempio, l’utilizzo di disegni raffiguranti “storie sociali” come la routine delle azioni da svolgere in bagno, lavarsi i denti, lavarsi le mani, usare il wc e delle azioni a tavola ovvero apparecchiare, usare la forchetta, il bicchiere e il tovagliolo.

    Queste hanno consentito alla bambina di potersi gestire autonomamente in molte cose, senza il bisogno perenne dell’adulto, acquisendo mano a mano maggior autonomia; anche la camera da letto è stata adattata tramite l’utilizzo di immagini per classificare i giochi in modo che lei riuscisse, senza bisogno di aiuto, a cercare un gioco da lei desiderato in base alla classificazione dentro i cassettoni.

    Il lavoro a scuola

    Nell’ambito scolastico si è lavorato sull’autonomia nelle azioni che si ripetono ogni giorno, ad esempio:

    svuotare lo zaino, preparare il banco per le attività con il materiale necessario, preparare la merenda e durante le ore di lezione.

    Si è cercato al meglio, ci ha riferito l’Educatrice, di far comprendere alla bambina il fatto di dover rimanere seduta al proprio banco e alzarsi solo in determinati momenti o per richiesta dell’insegnante, tutto tramite comunicazione visiva (disegno o immagini), seguita dal verbale.

    Il “visivo” è stata la rampa di lancio per agganciare la comunicazione con la bambina, essendo essa capace di poter trasmettere un messaggio anche in situazioni frustranti, in cui l’ascolto del verbale si annulla.

    La riflessione

    Come conferma l’Educatrice, i miglioramenti raggiunti dalla bambina denotano l’importanza di non porsi un muro di fronte a ciò che appare impossibile da compiere.

    Ciò soprattutto se si pensa che oggi la bambina è arrivata a parlare, leggere e scrivere, quando al momento della diagnosi sembrava non esserci speranza su quegli aspetti.

    E’, quindi, fondamentale ricercare il fondo del problema, che sia esso la comunicazione o la difficoltà del compito, e cercare di risolverlo utilizzando gli strumenti di cui si dispone.

    Spesso la praticità, il gioco e l’immagine visiva sono fonti di apertura verso concetti nuovi e apprendimenti che diventano col tempo naturali e autonomi.

    L’occhio dell’educatore diventa quindi lo strumento per ricercare la strategia giusta in un determinato momento, che sia esso positivo o negativo. Trovarsi di fronte a casi del genere, in cui il lavoro è supportato da un team disponibile a indirizzare verso determinati percorsi educativi, aiuta a sviluppare strategie alternative per consentire al bambino di viversi l’esperienza scolastica al meglio e all’educatore di poter raggiungere determinati obiettivi di lavoro.

    L’impegno e la determinazione degli Educatori di Sostegno sono fondamentali per raggiungere risultati e cambiamenti.

    Ringraziamo Noemi per aver condiviso la sua esperienza con noi 😉

  • Per un sostegno pedagogico: il nonno ha l’alzheimer

    sostegno pedagogico

    Questo articolo ha l’intento di fornire consigli e buone pratiche per un sostegno pedagogico a tutti coloro che hanno un familiare affetto da Alzheimer: un nonno, una nonna, un padre, una madre.

    La sempre maggiore incidenza di questa malattia può considerarsi la risultante del progressivo invecchiamento demografico che contraddistingue l’Italia e, più in generale, tutti i paesi a sviluppo avanzato.

    Siccome la malattia colpisce le persone anziane, sono tanti i bambini che hanno un nonno o una nonna che ne soffrono.

    Non nascondete la malattia ai vostri figli

    Come in tutte le cose, è sempre consigliabile dire la verità ai bambini: capiscono e si accorgono di tutto e hanno il diritto di sapere cosa sta succedendo.

    Inventarsi qualcosa di non vero, nella maggior parte dei casi, andrà soltanto a complicare la situazione.

    I bambini capiscono quando stiamo mentendo, se ne accorgono, e non raccontargli la verità creerà in loro confusione e disorientamento.

    In questo modo il bambino andrà ad amplificare il problema, senza capire realmente la situazione.

    La reazione dei bambini, naturalmente, dipende soprattutto dalla loro età.

    I bambini molto piccoli faranno più fatica a capire e a comprendere la situazione.

    E’ importante spiegare loro la situazione con parole semplici, chiare, e un tono di voce calmo e tranquillo, senza preoccuparlo.

    Come dovete comportarvi da genitori

    Come anticipato, dovete spiegare con parole semplici che il nonno è affetto da una malattia che colpisce la memoria, e che è per questo motivo che spesso si dimentica le cose, sicuramente il bambino lo avrà già notato 😉

    Attraverso questa vostra sincerità, il bambino comincerà a capire e a darsi finalmente una spiegazione per i diversi comportamenti del nonno o della nonna rispetto al passato.

    Per un sostegno pedagogico alla famiglia

    La malattia di Alzheimer coinvolge, al tempo stesso, il malato ma anche, e soprattutto, la sua famiglia.

    Non è una situazione semplice, alla quale prepararsi è quasi impossibile, il cambiamento nella famiglia sarà molto grande e potrà avere molte ripercussioni sui rapporti personali.

    Molto utile innanzi tutto potrebbe essere documentarsi ed informarsi rispetto alla malattia. 

    Sono molti i centri che si occupano di tali dinamiche e che possono offrire un sostegno anche alla famiglia che si prende cura del malato di Alzheimer.

    Centri che svolgono interventi educativi per accompagnare la famiglia nell’accettazione e nell’elaborazione di tale situazione per imparare a conoscere e a gestire la malattia.

    In questo, di grande aiuto potrebbe essere il sostegno pedagogico, con la modalità della consulenza pedagogica, per gestire questa delicatissima situazione.

  • Disabilità e scuola: l’esperienza di un educatore di sostegno

    disabilità e scuola

    Disabilità e scuola sono due parole delle quali oggi sentiamo parlare molto.

    Tutti noi, infatti, abbiamo sentito parlare della figura dell’educatore di sostegno e della sua importanza nell’inclusione di bambini con disabilità.

    Tuttavia, non tutti conoscono il significato delle sigle Pdf, Profilo Dinamico Funzionale, o Pei, il cosiddetto Piano Educativo Individualizzato.

    Vediamo insieme il loro significato e l’iter da seguire per l’inserimento a scuola di vostro figlio.

    Disabilità e scuola: l’iter da seguire

    Intanto, precisiamo che il diritto all’istruzione e all’educazione delle persone con disabilità, sancito dalla Costituzione, è regolato dalla legge Quadro dell’Handicap: la legge 104 del 1992.

    Il testo garantisce l’inserimento dei bambini disabili da 0 a 3 anni nell’asilo nido e il diritto all’istruzione per tutto il percorso scolastico e universitario.

    L’integrazione scolastica, infatti, ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona disabile, per quanto riguarda l’apprendimento, la comunicazione, le relazioni e la socializzazione.

    Prima di procedere con l’iscrizione a scuola, i genitori del bambino disabile devono recarsi presso la propria Asl di appartenenza e richiedere due documenti:

    • L’attestazione di “alunno in situazione di handicap”, redatta da uno specialista;
    • La diagnosi funzionale, ovvero il documento che contiene una diagnosi clinico-medica e una valutazione psicologica e sociale per individuare le potenzialità del soggetto.

    Alla diagnosi funzionale fa seguito, nei primi mesi del nuovo ciclo di studi, un profilo dinamico-funzionale (Pdf) che indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive dell’alunno.

    Il profilo, dunque, pone in rilievo:

    • Le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di disabilità e le possibilità di recupero;
    • Le capacità possedute che devono essere sostenute e sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona disabile.

    Sulla base di ciò si procede alla stesura del Piano Educativo Individualizzato (Pei), redatto congiuntamente dagli operatori sanitari, dal personale insegnante curricolare e di sostegno della scuola.

    Il ruolo dell’educatore di sostegno

    Quando si parla di disabilità e scuola, il ruolo dell’educatore di sostegno è molto importante.

    L’educatore lavora per recuperare e reinserire socialmente persone in difficoltà e in situazioni di disagio, che vivono per questo ai margini della società.

    L’obiettivo finale, dunque, è il recupero delle potenzialità dell’allievo e il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia, collaborando con la famiglia e il contesto sociale.

    Le funzioni dell’educatore sono:

    • Collaborazione alla stesura e aggiornamento del Piano Educativo Individualizzato e partecipazione a tutti i momenti di lavoro di équipe della scuola;
    • Programmazione, realizzazione e verifica di interventi quanto più integrati con quelli educativi e didattici dei docenti;
    • Supporto dell’alunno nelle sue difficoltà e promozione della sua autonomia, proponendo strategie per perseguire le finalità formative e di sviluppo complessivo della persona;
    • Spinta verso la socializzazione con gli altri alunni, mettendo in atto la cultura dell’inclusione;
    • Collaborazione con le famiglie e promozione di relazioni efficaci con esse.

    Un ruolo quindi coordinato, di completamento rispetto a quello di docenti e di altri operatori scolastici, che richiede competenze specifiche e titoli adeguati.

    Disabilità e scuola: l’esperienza di un educatore di sostegno

    Oggi vogliamo proporvi il racconto di un’esperienza diretta, per farvi capire realmente l’importante ruolo dell’educatore di sostegno quando parliamo di disabilità e scuola,

    Milena Gollini, Educatrice di Sostegno a Cento (Fe), ci spiega il suo lavoro educativo con un bambino di nome Mattia che ha accompagnato e sostenuto nel suo percorso di crescita.

    Mattia è un ragazzo affetto da autismo e da un grave ritardo mentale.
    Il suo ingresso alla scuola primaria non è stato facile: la sua condizione non gli permetteva di avere un’autonomia sociale e personale consona all’ambiente scolastico che frequentava.
    Le insegnanti, che tendono ad avere un approccio prettamente didattico anche nei confronti della disabilità, richiedevano la sua presenza in classe.
    Il bisogno principale di Mattia, però, era quello di trovare un ambiente sereno e sicuro, che gli permettesse di affrontare la giornata nella piena tranquillità.
    Diversamente avrebbe potuto irrompere in comportamenti-problema di difficile gestione.
    Ciò gli avrebbe permesso anche di acquisire un’autonomia, rapportata alle sue possibilità, sufficientemente accettabile dal contesto che si trovava a frequentare ogni giorno.
    La famiglia, inizialmente, non ha facilitato questo compito.
    A causa della non accettazione della condizione del proprio figlio, dell’approccio assistenziale che continuavano ad avere  e dello scarso interesse nell’impegnarsi a creare in lui determinate capacità.
    Mattia veniva imboccato, utilizzava il pannolino e veniva vestito e spogliato, non esprimeva bisogni o preferenze, non accettava nessun tipo di negazione o di richiesta da parte dell’adulto.
    Il suo tempo lo passava guardando esclusivamente cartoni animati (sempre gli stessi) e ascoltando musica, senza accettare che venisse interrotta.
    I coetanei per lui erano oggetti da guardare dall’angolo più lontano del giardino, gli adulti erano nemici da affrontare con la forza.

    Le basi per il cambiamento

    L’unica cosa da fare era osservarlo attentamente in ogni istante della sua quotidianità scolastica, leggere la sua comunicazione non verbale e non conscia, per poter cogliere messaggi non espliciti, ma rilevanti.
    In questo senso, ho esercitato quotidianamente un ruolo di mediazione.
    Mediazione tra il suo fastidio per il rumore in classe e le richieste della scuola, tra le risorse a mia disposizione e i suoi bisogni, tra la sua scarsa collaborazione e gli obiettivi che mi ero imposta.
    Ho dovuto trovare strategie sempre nuove per permettergli di crescere nella sua diversità, stimolandolo e attivandolo costantemente, nonostante le sue capacità e i suoi tempi di attenzione.
    Ho cercato di creare un ambiente accogliente e sicuro, di entrare nel suo mondo senza pretendere che lui entrasse nel nostro, nelle regole imposte dalla società e nelle necessità dettate dalla scuola.

    Gli obiettivi raggiunti

    In 8 anni, tanta testardaggine e una pazienza infinita, sono riuscita ad abbattere i muri familiari, entrare in contatto con la mamma e ottenere una collaborazione efficace e una totale fiducia.
    Mattia ha imparato gradualmente a mangiare da solo.
    Inizialmente non riusciva nemmeno a trovare la sua bocca o tenere in mano la forchetta, ora non versa nemmeno una goccia di brodo dal cucchiaio.
    Mattia ora va autonomamente in bagno ed esegue tutti i procedimenti da solo, compresa l’igiene di mani e viso.
    Ha imparato ad accettare la presenza di coetanei o adulti, prima all’interno dei suoi spazi e a piccole dosi, e ora corre con loro in giardino e li prende per mano di sua iniziativa.
    Inoltre, ti abbraccia se ha paura, o si porta le mani alle orecchie se qualcosa lo infastidisce, senza creare più panico.
    Non si butta a terra, non sbatte le mani forte sulle gambe, non ti graffia il collo e non ti strappa i capelli.
    Mattia ama ancora la musica, ma se la spegni sa che arriverà una richiesta da parte tua e si alza, pronto ad esaudirla.

    Ecco, questo per farvi capire l’importante ruolo che esercita l’educatore di sostegno sulla crescita e lo sviluppo di un bambino con disabilità.

    Grazie, Milena per aver condiviso con noi la tua esperienza 😉

    E grazie a tutti gli Educatori di Sostegno che ricoprono questo ruolo di grande responsabilità.

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