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Giulia Piazza

  • La diversità spiegata ai bambini: alcuni spunti e consigli

    la diversità spiegata ai bambini

    Nei precedenti articoli abbiamo parlato della diversità e dell’importanza di educare i bambini a scuola, e a casa, al rispetto delle differenze.

    Abbiamo visto l’importanza di spiegare ai bambini la diversità, in modo semplice e sincero.

    Non siamo tutti uguali: ognuno di noi ha le proprie caratteristiche che lo rendono unico.

    E per fortuna che non siamo tutti uguali 😉

    Le diversità ci sono, esistono, ognuno di noi ha il proprio specifico modo di vivere e stare “nel” mondo e “con” il mondo. “. Questo specifico modo che rende ciascuno di noi unico e irripetibile!

    Viviamo in un mondo pieno di diversità: insegniamo ai bambini a rispettarle e a condividerle.

    La diversità spiegata ai bambini

    I bambini notano le differenze. 

    I bambini sono attenti osservatori e percepiscono odori diversi, colori diversi, forme diverse.

    A differenza di noi adulti, però, i bambini, notano le diversità ma non giudicano.

    Fanno domande, certamente, ma perché sono curiosi, e vogliono sapere: perché io sono bianco e lui è marrone? Perché io cammino e lui usa la carrozzina? Perché a casa mia non vive un papà e a casa sua sì?

    Come parlare di diversità

    Teniamo sempre presente che dalle differenze possono nascere nuove opportunità di crescita e di sviluppo.

    E’ importante, per questo, parlare delle diversità, non nasconderle o accettarle incondizionatamente.

    Se i bambini vi pongono domande del tipo “perché lui è diverso da me?” rispondetegli sinceramente, con onestà e tranquillità, in modo semplice e rispettoso.

    Rispondete loro dicendo che tutti noi siamo unici: abbiamo tutti un diverso aspetto, dei gusti diversi, dei diversi modi di fare, dei diversi interessi.

    Trovare due persone uguali uguali è davvero impossibile!

    Vedrete, la comprensione dei bambini vi stupirà 😉

    Fingere che le diversità non esistono è controproducente per la crescita dei bambini.

    Diverso come uguale

    In questo libro “Diverso come uguale” di Luana Vergari e Massimo Semerano, troviamo una interessante storia sulla diversità che possiamo raccontare o leggere con i bambini.

    Aiutarsi con i libri o le narrazioni è sempre utile quando si vuole iniziare una conversazione su una tematica.

    Leone ha 6 anni, fa la prima elementare, gli piacciono le barzellette e guarda il mondo con occhi curiosi.

    Ovunque trova bambini con cui fare amicizia: bambini che gli somigliano moltissimo, ma che sono anche un po’ diversi da lui.

    In questo libro, la diversità diventa un dettaglio, una peculiarità di ognuno dei personaggi di questo libro. Una peculiarità come le altre.

    E’ proprio così che va affrontato con i bambini il tema della diversità.

    Bibliografia 

    Reggio P., Santerini M, (a cura di), (2013), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci Editore

    Giusti M, (2004), Pedagogia interculturale, Editori Laterza

    Cambi F, (2012), Incontro e dialogo, Prospettive della pedagogia interculturale, Carocci Faber

  • Per una educazione democratica: la pedagogia di Dewey

    educazione democratica

    Quando si parla di educazione democratica non si può non parlare di John Dewey, filosofo e pedagogista americano che ha profondamente influenza il sistema educativo.

    Rileggere Dewey ci permette di avere una visione completa dell’educazione democratica.

    L’educazione è un processo che accompagna le persone ad emergere come soggetti liberi.

    In questo senso, tutti i sistemi educativi dovrebbero adempiere a questo obiettivo.

    In una società democratica, l’educazione è sostanzialmente educazione alla democrazia: essa forma cittadini capaci di comprendere attivamente il mondo, di definire insieme il bene comune e lavorare a una maggiore solidarietà tra gli uomini e tra i popoli.

    Costruire la democrazia attraverso la formazione di cittadini attivi capaci di pensiero e comprensione della realtà e dunque attenti al cambiamento-miglioramento progresso della società.

    Qui l’educazione è una responsabilità comune e condivisa da tutti nei confronti del futuro, ciascuno deve dare il proprio contributo.

    Come afferma Dewey, l‘educazione alla cittadinanza attiva, infatti, deve essere intrinseca in ogni progetto pedagogico.

    Di conseguenza l’educazione condiziona l’avvenire della democrazia e l’esistenza del mondo.

    L’educazione come processo di vita

    Una prima formulazione delle idee pedagogiche di Dewey, legata alla sperimentazione della Scuola-Laboratorio di Chicago, è nello scritto Il mio credo pedagogico del 1897.

    L’educazione, secondo Dewey, ha due aspetti fondamentali: uno sociologico e uno psicologico.

    Da una parte essa conduce l’individuo a far parte della società, dall’altra si occupa del pieno sviluppo delle sue facoltà e possibilità.

    L’unico modo efficace per preparare il fanciullo alla vita futura è quello di sviluppare tutte le sue capacità, in modo che sappia da solo adattarsi ai cambiamenti.

    Qui emerge chiaramente l’idea dell’educazione come “processo di vita e di preparazione alla vita futura”.

    La scuola tradizionale dell’epoca però trasferiva soltanto una serie di nozioni che non avevano alcun contatto con la vita concreta e inerente al futuro degli allievi.

    Ma, avverte Dewey, se non c’è un contatto con la vita reale non c’è vera educazione.

    Il che significa che la scuola deve avere a che fare con la vita reale dell’allievo, con il suo ambiente e con le sue esperienze.

    Una scuola così intesa è una comunità vitale, nella quale i bambini imparano a lavorare insieme agli altri.

    L’educazione democratica

    In Democrazia e educazione Dewey riprende ed approfondisce il tema della scuola come luogo in cui l’ambiente sociale viene semplificato ed adattato alle esigenze dei soggetti in formazione.

    La scuola deve occuparsi della crescita e dello sviluppo degli allievi.

    Secondo Dewey, una scuola può dirsi democratica soltanto se educa al pensiero, vale a dire ad un atteggiamento critico e riflessivo. 

    Di fondamentale importanza qui il concetto di esperienza.

    Fare un’esperienza vuol dire agire, fare, tentare qualcosa, conoscere le conseguenze delle proprie azioni, negative o positive.

    Non è dunque una semplice conoscenza teorica di un oggetto, ma consiste in una relazione con l’oggetto che coinvolge la persona sia mentalmente che fisicamente. 

    Nella scuola questi due aspetti, attivo e passivo, fisico e mentale dell’esperienza, sono spesso separati.

    Dewey enfatizza proprio questa autenticità dell’esperienza: perché vi sia esperienza autentica, e quindi pensiero, occorre invece che si presenti una situazione problematica, incerta, in fase di sviluppo

    Se si vuole sviluppare il pensiero negli studenti, bisogna partire dalla presentazione di situazioni problematiche, reali e concrete, e vissute come tali dallo studente.

    Solo così può generarsi conoscenza.

    Dewey è stato davvero rivoluzionario e le sue teorizzazioni possono essere considerate attuali per l’educazione dei ragazzi.

    Bibliografia

    Democrazia e educazione, Dewey J, a cura di Spadafora G, Classici dell’educazione, 2018

    Le pedagogie del Novecento, Cambi F, Edizioni Laterza,

  • Lo spazio dell’incontro e la diversità come risorsa e occasione di crescita

     

    La diversità, per essere pensata come risorsa e come occasione di crescita, presuppone l’introduzione e la comprensione del concetto di intercultura. 

    Tale termine fa riferimento al modello di convivenza e conoscenza delle società attuali tipicamente multiculturali.

    Un modello, cioè, che vede il medesimo spazio abitato da etnie, religioni e culture differenti, con identità proprie, che collaborano e convivono.

    In questo senso, il traguardo non è la semplice accoglienza, bensì la creazione di una cultura condivisa che nasce dal confronto reciproco, dal dialogo e dall’incontro.

    Stereotipi e pregiudizi

    Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza in quanto, spesso, questi due termini vengono fraintesi.

    Lo stereotipo è un modello fisso di conoscenza e di rappresentazione della realtà.

    Infatti, l’uomo ha una tendenza a classificare, a dare un orientamento, a volere controllare l’ambiente circostante e a volere mantenere quest’ordine il più costante e protetto possibile.

    Una concezione orientata in questo senso è proprio all’origine del concetto di stereotipo, concetto che ci aiuta a semplificare le differenze che incontriamo, per renderle più accettabili e affinché non siano causa di paura o preoccupazione.

    Questa tendenza di “categorizzazione” viene estesa inevitabilmente anche ai popoli, ai gruppi umani e alle persone.

    Possiamo dire che:

    Lo stereotipo è l’anticamera del pregiudizio.

    Il pregiudizio, infatti, è una valutazione che precede l’esperienza, un giudizio formulato a priori, prima di disporre dei dati necessari per conoscere e comprendere la realtà.

    Questa caratteristica del pregiudizio fa sì che esso sia potenzialmente sbagliato, poiché l’informazione risulta insufficiente.

    Un concetto e un giudizio errato sono sempre possibili, ma essi si trasformano in pregiudizio quando rimangono irreversibili nonostante nuovi dati conoscitivi.

    Dunque, lo stereotipo è prevalentemente cognitivo, ovvero ci dice quale concezione le persone hanno di un determinato gruppo, mentre il pregiudizio è un vero e proprio atteggiamento.

    L’unico modo per andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi è quello di conoscere e incontrare l’altro: incontrarlo, ascoltarlo, capirlo e accettarlo.

    Contro i pregiudizi

    Ogni cultura è fatta di pregiudizi e agisce attraverso i pregiudizi.

    Essi possono essere molteplici, ma comunque capaci di vincolare il ragionamento e di orientare le scelte d’azione.

    I pregiudizi socio-culturali, connessi all’ideologia, sono custoditi dai gruppi e sono assunti inconsapevolmente dalle persone.

    Agiscono, quasi sempre in modo inconscio, nel linguaggio, nei comportamenti, nelle reazioni, fino alle credenze e ai principi.

    Il pregiudizio è mobile e sottile, si infiltra in ogni dove, ed è proprio lì che va trovato e smascherato.

    La diversità come risorsa

    Tra i tanti compiti educativi quello che forse risulta più difficile è insegnare ad accettare e rispettare l’altro indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dalle diversità sociali e culturali.

    Spesso la diversità è vista come un problema, un ostacolo, e non come risorsa per il confronto, lo scambio di idee e la crescita personale.

    Accettare la diversità non significa soltanto accettare chi è diverso da noi, ma anche di “vederlo” come un’opportunità di crescita e non come una minaccia.

    Vederlo come un portatore di idee, esperienze e valori che non conosciamo, che in realtà possano arricchirci e aiutarci a comprendere meglio il mondo che ci circonda.

    È proprio attraverso la diversità, infatti, che si arriva alla conoscenza.

    C’è una metafora che spiega tutto molto bene:

    “ciascuno di noi contribuisce con la sua tessera al grande mosaico del sapere umano”.

    Anche senza una sola tessera il mosaico sarebbe incompleto.

    Le tessere del mosaico possono avere varie forme, colori e dimensioni.

    Proprio per questo il mosaico alla fine è così bello 😉

    Il valore della diversità

    Il suo valore sta proprio nell’accettazione dell’altro, nell’amicizia autentica, nello scambio e nel rispetto reciproco, dove ognuno è portatore di conoscenze e comportamenti propri.

    Ognuno è portatore di un proprio bagaglio di risorse e conoscenze, ognuno è un talento, una capacità, un valore da rispettare, da scoprire proprio nell’incontro con le diversità.

    La scoperta del valore educativo della diversità sa attivare atteggiamenti di ascolto-conoscenza di sé e modulare relazioni positive con gli altri, nelle quali ci si confronta, ci si libera da ogni forma di pregiudizio, facendo vivere due dimensioni: il rispetto e la condivisione.

    Dunque, la diversità è ricchezza.

    Lo spazio dell’incontro

    L’intercultura ha il compito di sfidare i pregiudizi, i canoni cognitivi, e ci conduce oltre le identità, pur non negandole, e verso un nuovo orizzonte costruito sull’incontro e sul dialogo.

    Ci conduce verso un orizzonte nuovo, di vita, di relazione, di scambio in cui la regola è porsi con gli altri, accordarsi insieme e far maturare spazi comuni, rispettosi delle differenze.

    Tale orizzonte, però, la maggior parte delle volte, rimane fermo al pluralismo e non si innalza a risorsa, a occasione di crescita.

    Per pensare la diversità come risorsa e occasione di crescita, è necessario sviluppare quattro percorsi ideali:

    • La teorizzazione dell’incontro come spazio fisico e mentale, che si apre al riconoscimento reciproco delle differenze;
    • L’individuazione del dialogo come linea guida, che sia aperto, critico e autocritico;
    • Il riconoscimento della dimensione mondiale e planetaria dell’uomo che vive in una società multiculturale, e la sua relativa formazione;
    • L’importanza della scuola per fare intercultura, sia nelle relazioni sia negli apprendimenti.

    In questo senso, l’educazione e la formazione risultano essere l’unico mezzo per oltrepassare l’appartenenza, i pregiudizi, le chiusure, ed entrare, invece, nello spazio del pluralismo, di incontro e di dialogo.

    Educare alla diversità a scuola

    La scuola è il luogo privilegiato in cui ci avviamo alla costruzione del nostro futuro e alla scoperta del mondo che ci aspetta, oltre i confini dei nostri amici e della nostra famiglia.

    E’ il luogo nel quale entriamo in relazione con l’altro e facciamo le prime esperienze di socializzazione.

    Entrare in relazione con l’altro vuol dire entrare in contatto con un’altra identità, cioè con qualcuno che è diverso da sé.

    Il contesto scolastico rappresenta, infatti, il luogo in cui bambini e ragazzi iniziano a strutturare la propria personalità, i propri valori.

    Uno dei compiti della scuola dovrebbe essere quello di educare alla differenza, all’altro, per creare i presupposti di una cultura dell’accoglienza e aiutare a percepire la differenza non come un limite alla relazione, ma come un valore e una ricchezza.

    Ma, quali strategie e tecniche utilizzare per educare alla diversità come risorsa?

    Seguiteci: tanti consigli e spunti pratici saranno presentati nei prossimi articoli 😉

    Bibliografia 

    Reggio P., Santerini M, (a cura di), (2013), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci Editore

    Giusti M, (2004), Pedagogia interculturale, Editori Laterza

    Cambi F, (2012), Incontro e dialogo, Prospettive della pedagogia interculturale, Carocci Faber

  • Diversità e integrazione. Le basi per un’educazione interculturale

    diversità e integrazione

    Negli ultimi decenni, la società in cui viviamo ha assistito a grandi trasformazioni e cambiamenti in senso multiculturale.

    La causa è da attribuire ai processi migratori, agli scambi tra culture diverse e alla globalizzazione.

    Tali fenomeni hanno, infatti, posto alla società attuale nuove problematiche e nuove emergenze educative e sociali.

    Concetti come diversità e integrazione, accoglienza e spazio dell’incontro, dialogo costruttivo sono divenuti fondamentali per fronteggiare tali emergenze.

    L’educazione interculturale riguarda proprio questo: teorie e strategie per incontrare, accogliere e rapportarsi con le diversità, etniche e culturali.

    Vediamo insieme, in questo articolo, quali sono le basi della pedagogia interculturale, da conoscere e da promuovere sia a scuola che in famiglia.

    Multicultura e intercultura

    Ogni cultura non ha confini netti e separati, non coincide necessariamente con un determinato territorio, ma si presenta come un insieme complesso caratterizzato da incroci e scambi.

    Da sempre infatti le culture si sono intrecciate le une alle altre e sono state sottoposte a varie influenze, dovute a scambi, commerci, guerre, migrazioni.

    A maggior ragione, oggi, con l’aumento dei flussi migratori e della globalizzazione non si può pensare ad un territorio costituito da un’unica cultura chiusa in se stessa.

    Gli scambi e i contatti con differenti culture sono inevitabili.

    Tuttavia, non è più sufficiente un approccio multiculturale, che mette in atto soltanto una netta separazione fra le diverse culture, senza riconoscerle e valorizzarle.

    È proprio in questa situazione che risulta fondamentale promuovere un approccio pedagogico interculturale.

    Una pedagogia, cioè, attenta alle diversità fra le culture, volta all’interazione reciproca e all’integrazione.

    In questo senso, occorre affrontare il rapporto con le altre culture e con la differenza su due registri distinti:

    • L’accoglienza all’altro come incontro/scontro democratico e non violento;
    • La convivenza con le differenze per contribuire allo sviluppo dei processi di globalizzazione, interdipendenza e comunicazione interpersonale.

    Da una società multiculturale a una società interculturale

    Passare da una società multiculturale a una interculturale non è però automatico, per il semplice motivo che la cultura multiculturale risulta ormai da tempo consolidata.

    Ad impedire la costruzione di una società disponibile al confronto e allo scambio culturale, vi sono  atteggiamenti contradditori e resistenze messe in atto dalla popolazione autoctona.

    Infatti, il passaggio da una società multiculturale, caratterizzata dalla presenza di culture tra loro separate, ad una società interculturale, caratterizzata invece da interazione e integrazione delle differenze fra le varie culture, richiede un preciso progetto pedagogico.

    Un progetto cioè finalizzato alla costruzione e allo sviluppo di un pensiero:

    • Aperto e flessibile;
    • Problematico;
    • Antidogmatico;
    • Decentrato dai propri riferimenti mentali e morali.

    Tale pensiero sarà in grado di riconoscere e comprendere le differenze e le analogie con le altre culture.

    Oggi l’intercultura rappresenta il più alto grado di civilizzazione e va perseguita, nella società e nelle scuole, secondo l’approccio che assume la “diversità come normalità”, capace di introdurre l’educazione interculturale come progetto trasversale e interdisciplinare, a scuola e in famiglia.

    L’intercultura

    Il termine interculturale indica:

    una situazione di interazione e di integrazione fra le diverse culture, caratterizzata da pluralismo culturale, incontro e confronto democratico.

    Non indica, dunque, soltanto una compresenza su uno stesso territorio, di popoli diversi per etnia, lingua e cultura.

    Non è una realtà statica del fenomeno migratorio, che vede l’esistenza di una pluralità di popolazioni su uno stesso territorio, senza comportare necessariamente confronto, apertura, scambio, reciprocità e incontro.

    L’intercultura presuppone l’idea e l’impegno a ricercare forme, strumenti ed occasioni per sviluppare un confronto e un dialogo costruttivo e creativo.

    E’ infatti un concetto dinamico, che vede la volontà di riconoscere e accogliere le differenze e le diversità senza annullarle, bensì valorizzandole.

    Confronto, dialogo e ascolto

    Pluralismo e differenza possono costituire la base su cui è possibile costruire l’incontro e il confronto con l’altro che, se autentici, scaturiscono nel dialogo, che è insieme capacità di ascolto e di interazione.

    Il dialogo presuppone l’ascolto, vale a dire la capacità di intendere i problemi dell’altro attraverso le “sue” parole e i “suoi” bisogni.

    L’ascolto richiede la capacità di empatia, ossia la capacità di indossare i panni degli altri per vivere l’esperienza dall’altro punto di vista.

    In questo senso, si parla di ascolto attivo, capace, cioè, di porre attenzione alla comunicazione dell’altro senza formulare giudizi.

    È un atto intenzionale che impegna la nostra attenzione a cogliere quanto l’altro ci riferisce sia in modo esplicito che implicito, sia a livello verbale che non verbale.

    Il pensiero interculturale

    L’intercultura è un vero e proprio un modo di essere del pensiero che si conquista a livello di conoscenza, comprensione ed interpretazione dell’alterità.

    Essa infatti implica, e comporta, la pratica di un pensiero plurale e di una relazione ricca e creativa.

    Un pensiero complesso: disponibile a conoscere e a confrontarsi con una pluralità di approcci e punti di vista, non dando niente per scontato e rimettendo in discussione quanto già acquisito.

    Richiede necessariamente apertura e flessibilità.

    Così attrezzato il pensiero costituisce uno strumento efficace per esplorare i livelli di interazione e di integrazione tra le varie lingue e culture.

    Il pensiero interculturale è, dunque, fondamentale per reggere la sfida della complessità e del cambiamento, utilizzando le categorie del confronto e della cooperazione piuttosto che quelle del conflitto e della chiusura.

    La pedagogia interculturale

    Si pone come obiettivo la riflessione sulla diversità culturale e, più in generale, sul tema dell’alterità.

    Si preoccupa di facilitare la conoscenza reciproca e la disponibilità allo scambio e all’incontro, secondo un’ottica di cambiamento.

    Essa lavora, infatti, non solo per l’integrazione, ma anche per l’interazione, riconoscendo così il ruolo ineliminabile delle differenze, per fare in modo che culture diverse convivano senza ignorarsi.

    La pedagogia interculturale educa alla flessibilità cognitiva, aiutando la decostruzione di schemi mentali rigidi, al riconoscimento e all’interazione positiva con la diversità, ed infine alla capacità di convivere con l’incertezza.

    Ha come meta la formazione di persone con le seguenti competenze:

    • Mentali, quali capacità di problem solving, consapevolezza della relatività, contestualità e storicità delle culture;
    • Relazionali, ovvero capacità di confronto e dialogo con l’alterità, interesse per le diversità, capacità di empatia e di messa in discussione;
    • Valoriali, ossia solidarietà, coesistenza pacifica e responsabilità.

    Per questi motivi, l’educazione interculturale deve essere promossa a scuola e in famiglia, per educare le giovani generazioni ad accogliere e riconoscere le diversità.

    Nei prossimi articoli affronteremo sempre il tema della diversità, proponendo strategie e tecniche pratiche per educare alla diversità e viverla come ricchezza e risorsa.

    Bibliografia

    Reggio P., Santerini M, (a cura di), (2013), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci Editore

    Giusti M, (2004), Pedagogia interculturale, Editori Laterza

    Cambi F, (2012), Incontro e dialogo, Prospettive della pedagogia interculturale, Carocci Faber

  • Per una educazione alle emozioni e all’affettività nei bambini

    educazione alle emozioni

    Il tema delle emozioni è senza dubbio uno dei più ampi nel campo delle scienze umane.

    Soprattutto da quando, grazie al contributo degli studi sociologici e psicologici, si è iniziato a considerare le emozioni come la base del comportamento individuale e sociale.

    Le emozioni, infatti, regolano e governano tutti i rapporti umani, permettendo alle persone di aprirsi al mondo e di entrare in relazione con gli altri.

    Per questo motivo, l’educazione alle emozioni è di vitale importanza per promuovere lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti.

    Come promuovere l’educazione alle emozioni?

    Ecco alcuni consigli pratici da utilizzare sia a casa che a scuola.

    La drammatizzazione e la narrazione

    La recitazione è uno strumento privilegiato per sperimentare completamente le emozioni.

    Recitare vuol dire fingere, fingere significa immedesimarsi, ci si può immedesimare solo se si è empatici.

    La drammatizzazione aiuta i bambini a socializzare tra di loro, a lavorare in gruppo, a collaborare e ad aiutarsi.

    Allo stesso modo, la narrazione può essere uno dei momenti più importanti per sviluppare la competenza emotiva del bambino.

    Attraverso la lettura di libri i bambini possono esplorare ed entrare in contatto con il mondo delle emozioni.

    E’ compito dei genitori e degli insegnanti stimolarli nella lettura, con domande costruttive per comprendere le varie emozioni che si incontrano nei personaggi delle storie.

    Il diario delle emozioni

    Attività che può essere svolta sia a casa che a scuola, ma anche in continuità.

    Si richiede ai bambini di annotare su un diario le emozioni che provano, in modo tale che, a fine giornata, è possibile stimolarli con domande, quali: come ti senti? come ti sei sentito in quel momento? cosa hai provato?

    Le domande sulle emozioni provate sono fondamentali per incrementare la comprensione e la verbalizzazione delle emozioni.

    Con i bambini più grandi, invece, si può anche pensare di creare una vera e propria cartellina delle emozioni, in cui possono descrivere le emozioni provate, le cause e le conseguenze.

    Sul diario si annotano, a fine giornata, le emozioni più intense che hanno provato, divise in due colonne: positive e negative.

    Lo scopo è poi sempre quello di capire le cause ed imparare a riconoscere e a gestire le proprie emozioni.

    Contattaci per tanti altri consigli e attività pratiche 😉

  • Per un sostegno alla genitorialità: la consulenza pedagogica

    sostegno alla genitorialità

    Come abbiamo detto il mestiere del genitore non è sicuramente facile, anzi possiamo dire che è uno dei più difficili e complessi.

    Capita molto spesso ai genitori di sentirsi inadeguati nello svolgimento delle proprie modalità genitoriali, così come non mancano mai dubbi, ostacoli o difficoltà da affrontare.

    Niente paura, è più che normale: nessuno è nato capace di fare tutto 😉

    Riconoscere di non essere in grado e richiedere un sostegno, un consiglio, un aiuto su come svolgere al meglio il ruolo del genitore non è sintomo di debolezza, bensì di grande coraggio.

    In questo senso, la consulenza pedagogica o la mediazione familiare sono due strumenti molto efficaci come sostegno alla genitorialità.

    Alcuni consigli pratici per i genitori

    Nel momento in cui si diventa genitori si devono affrontare problematiche, incertezze, dilemmi riguardanti l’educazione dei propri figli.

    Diventa quindi importante essere in grado di gestire queste situazioni.

    Le domande più frequenti sono: scegliere per loro o consigliare? Aiutare od ostacolare? Farli sperimentare o evitare l’errore? Ignorare o ascoltare? Fare o insegnare a fare? Punire o lasciare correre?

    Ovviamente non esiste una risposta giusta o sbagliata ma andrebbe valutata ogni singola situazione.

    Per questo motivo, la figura del  consulente pedagogico può essere di grande aiuto e sostegno nell’affrontare e risolvere tali situazioni.

    Ecco alcuni semplici consigli, che potete utilizzare fin da subito nell’educazione dei vostri figli 😉

    Stabilite delle regole a seconda delle loro esigenze e fate seguire i fatti alle parole: non promettete qualcosa, sia positiva che negativa, e poi non rispettate tale promessa.

    Parlate in modo chiaro, fate richieste precise, controllate il tono di voce e il modo in cui comunicate le cose; se necessario, ripetete anche più volte e chiaramente quello che gli chiedete di fare.

    Ascoltateli e accogliete le loro esigenze, parlandogli in prima persona: devono sapere che li ascoltate e comprendete profondamente le loro richieste.

    Incentivateli piuttosto che minacciarli con punizione: credetemi troppe punizioni, per ogni cosa, sono controproducenti.

    Una punizione, comunque, deve essere misurata, coerente ed essere accompagnata da una spiegazione.

    Insegnate sempre ai vostri figli ad assumersi le proprie responsabilità e ad essere autonomi ed indipendenti.

    Devono imparare a fare le cose da soli e a prendere autonomamente le loro decisioni, senza sentirsi abbandonati.

    Loro sanno che voi siete al loro fianco, pronti ad aiutarli, ma sanno anche di poter decidere da soli.

    Per un sostegno alla genitorialità

    In questo senso, di grande aiuto sono i percorsi educativi di sostegno e di accompagnamento propri della consulenza pedagogica.

    Tali percorsi sono rivolti a genitori con figli di tutte le fasce d’età e hanno i seguenti obiettivi:

    • Sostenere i genitori nel loro ruolo;
    • Promuovere la consapevolezza dell’importanza di tale compito;
    • Accrescere e rafforzare le proprie competenze educative.

    Offrono, dunque, uno spazio di riflessione sugli atteggiamenti educativi e comunicativi messi in gioco nel rapporto tra genitori e figli.

    Come abbiamo già detto, una corretta pratica educativa e una comunicazione efficace sono strumenti fondamentali nell’educazione dei vostri figli.

    Questi percorsi, infatti, non sono solo rivolti a famiglie problematiche, o in situazioni particolarmente conflittuali, ma possono essere un cammino utile a qualsiasi genitore per migliorare la relazione e la comunicazione con i propri figli e le dinamiche familiari.

    Lo scopo è proprio quello di fornire ai genitori strumenti operativi per affrontare in maniera più adeguata i problemi evolutivi ed educativi che riguardano i propri figli.

    Contattaci per condividere i tuoi dubbi e risolvere, col nostro sostegno, le situazioni problematiche.

  • Educare e responsabilizzare i figli adolescenti: istruzioni per l’uso

    responsabilizzare i figli

    Educare e responsabilizzare i figli nell’età adolescenziale è un compito fondamentale dei genitori, non sempre facile.

    Autonomia e responsabilità sono due concetti molto importanti nella crescita e nello sviluppo di bambini e ragazzi.

    Autonomia e responsabilità

    L’autonomia è un aspetto importante della personalità che bisogna adeguatamente stimolare per permettere uno sviluppo armonioso e coerente.

    La conquista dell’ autonomia non è da considerarsi come una tappa unica raggiunta in un particolare momento dello sviluppo.

    E’ invece un lungo processo che comincia dalla nascita e che ci accompagna per tutta la vita.

    Ogni età ha i suoi ostacoli ed i suoi traguardi, e per ognuno di essi occorre tempo e pazienza.

    Le richieste, in termini di autonomia, devono essere adeguate all’età e al momento dello sviluppo.

    Non si può, infatti, pretendere lo stesso livello di autonomia in tutte le fasi evolutive e a tutte le età.

    I bambini poi non sono tutti uguali: lo sviluppo dell’autonomia, così come lo sviluppo cognitivo, emotivo e linguistico possono svilupparsi in momenti diversi.

    Sostenere l’autonomia e responsabilizzare i figli

    Uno dei fattori più importanti nel sostenere le autonomie è quello dell’autostima.

    Fondamentale è, infatti, incoraggiare l’autonomia e l’acquisizione della responsabilità, trasmettendo loro fiducia: possono farcela da soli, ma noi ci siamo se c’è bisogno 😉

    Alla base della capacità di responsabilizzare i figli troviamo proprio il concetto del genitore come base sicura.

    Una base dalla quale partire per esplorare il mondo circostante e fare le proprie esperienza, certi però che noi siamo lì pronti a sostenerli e ad incoraggiarli nelle difficoltà e nei traguardi positivi.

    Rendere i ragazzi autonomi non vuol dire infatti lasciare che “si arrangino” da soli nella quotidianità, ma piuttosto accompagnarli lungo un percorso che permetta loro, passo passo, di diventare sempre più indipendenti.

    Pian piano il loro livello di autonomia aumenta, sosteniamoli in ogni passo, anche quando questa autonomia non viene usata come ci aspettiamo.

    Mettiamoli nelle condizioni di riuscire con aspettative, però, che siano alla loro portata ed enfatizzando sempre le cose buone, aiutandoli a capire dove e come potevano fare meglio.

    Sottolineiamo tutti i traguardi, concentrandoci sull’impegno e non sui risultati.

    Aiutiamoli poi a decidere, ma non decidiamo al loro posto!

    Abbassiamo il livello di controllo ed aumentiamo le responsabilità man mano che crescono e imparano a fare da soli 😉

    Noi ci siamo, siamo sempre lì, ma devono imparare a fare da soli e devono essere lasciati liberi di fare le proprie esperienze, di commettere sbagli ed errori, di cadere per poi rialzarsi.

  • Autonomia personale bambini: consigli e buone pratiche per svilupparla

    autonomia personale bambini

    L’autonomia personale bambini è un tema di grande importanza che deve essere conosciuto, e compreso, dai genitori per essere conseguentemente promosso e sviluppato nei bambini.

    I genitori devono educare i propri figli all’autonomia e al senso di responsabilità fin da subito, quando sono piccoli, e continuare quando sono più grandi.

    In questo contributo vi forniremo dei consigli molto utili che potrete utilizzare nella vostra pratica educativa per favorire un’adeguata educazione all’autonomia.

    Educare i bambini all’autonomia

    L’autonomia è un aspetto importante della personalità che bisogna adeguatamente stimolare per permettere uno sviluppo armonioso e coerente.

    Le vostre richieste, in termini di autonomia, devono essere adeguate allo sviluppo cognitivo e linguistico dei bambini.

    Non si può, infatti, pretendere lo stesso livello di autonomia in tutte le fasi evolutive e a tutte le età.

    I bambini poi non sono tutti uguali: lo sviluppo dell’autonomia, così come lo sviluppo cognitivo, emotivo e linguistico possono svilupparsi in momenti diversi.

    Ecco alcune cose che dovete sempre tenere presenti.

    • Mantenete obiettivi realisti: ad ogni specifica età corrispondono compiti, attività e richieste ben precise, e ogni bambino è diverso;
    • Perseverate e rimanete costanti: quando richiedete a vostro figlio di svolgere un compito o un’attività, dovete spiegare la richiesta in modo chiaro e dovete essere costanti;
    • Incoraggiate senza imporre: le richieste devono essere sempre incoraggiate, mai imposte, e non devono essere eccessive.
    • Create delle routine: è necessario avere delle routine, per fornire al bambino un senso di sicurezza in quello che deve fare, soprattutto per quanto riguarda l’indipendenza nei pasti, nel sonno e nell’igiene personale;
    • Sosteneteli nei loro progressi e negli errori: è fondamentale supportare i bambini sia nei progressi ma anche negli errori, utilizzando sempre un linguaggio comunicativo chiaro.

    Le tappe di sviluppo dell’autonomia

    Come anticipato, dovete sempre considerare le fasi evolutive dei bambini per capire quali richieste è possibile fargli.

    Intorno ai 15 mesi il bambino è in grado tenere in mano il cucchiaio e comincia a desiderare di mangiare da solo.

    Tra i 18 e i 20 mesi egli inizia a spostare gli oggetti da un luogo ad un’altro.

    A 24 mesi il bambino è capace di lavarsi e asciugarsi da solo le mani e la faccia.

    Intorno ai 3-4 anni è in grado di vestirsi da solo.

    A 4-5 anni, infine, comincia a voler fare le stesse cose dei genitori.

    Durante tutte queste fasi il genitore deve essere in grado di guidare, dare consigli, stimolare e porsi come modello di comportamento per il bambino.

    Allo stesso tempo, deve anche essere in grado di lasciare al bambino degli spazi e dei momenti in cui possa prendere l’iniziativa, senza interferenze.

    Come si raggiunge l’autonomia nei bambini

    Il bambino deve essere educato a fare da solo, a risolvere i problemi quotidiani e ad affrontare le difficoltà.

    E’ fondamentale insegnargli prontamente a “fare le cose”, ovvero a mangiare da solo, a vestirsi da solo, a sistemare da solo i giochi, a curare l’igiene personale, e così via.

    Come dice Maria Montessori, infatti, “insegnare ad un bambino a mangiare, a lavarsi e a vestirsi, è un lavoro ben più lungo, difficile e paziente che imboccarlo, lavarlo e vestirlo”.

    Più difficile e più lungo certamente, ma fondamentale e di gran lunga più soddisfacente.

    Affinché un bambino acquisisca le competenze in maniera autonoma è indispensabile che abbia a disposizione gli strumenti giusti per realizzare materialmente la sua indipendenza.

    In questo senso, anche l’ambiente domestico deve essere arredato in modo da garantire al bambino di praticare effettivamente la sua autonomia.

    Fondamentale è garantirgli un ambiente a “misura di bambino”, con arredi da lui facilmente accessibili ed utilizzabili.

    Di seguito, troverete alcuni consigli pratici per promuovere l’autonomia.

    Stimolare l’autonomia in relazione all’igiene personale

    Il bambino impara a lavarsi da solo più facilmente, e con più soddisfazione, se accede liberamente al lavandino.

    Se riesce ad arrivare da solo a prendere lo spazzolino o il dentifricio, arrivare alla saponetta o prendere da solo l’asciugamano, avere a disposizione la spazzola e il pettine, sarà più stimolato ad agire.

    In questo modo può liberamente, e in autonomia, fare esperienza ed imitare l’adulto nei gesti relativi l’igiene personale.

    Il mio consiglio è quello di acquistare uno sgabello che permetta al bambino di raggiungere il lavandino, sul quale, poi, egli troverà tutto l’occorrente per l’igiene personale avendo ogni cosa a disposizione.

    E’ fondamentale che il bambino capisca la funzione dello sgabello e senta di possederlo come strumento che gli appartiene: solo così comprenderà l’importanza dell’igiene personale come routine quotidiana.

    La routine, in questo caso, è di vitale importanza: ogni mattina e ogni sera dovete svolgere assieme a lui queste attività, e poco a poco vedrete che le farà da solo e di sua spontanea volontà.

    Stimolare l’autonomia in relazione al vestirsi da solo

    Un bambino che si veste da solo è un bimbo che prova piacere nel vedersi vestito.

    Per ottenere questo grado di autonomia sono necessarie poche condizioni.

    Innanzitutto, il piccolo deve avere il consenso di mamma e papà, che devono elogiarlo, e mai sgridarlo o criticarlo, magari per una scelta di abbinamento un po’ eccentrica 😉

    In casa deve esserci una specchiera ad altezza di bambino, perché deve potersi specchiare da solo.

    Deve poi poter gestire da solo il suo guardaroba:  i vestiti e l’armadio devono “misurarsi” con l’altezza e le sue abilità motorie.

    Il consiglio è quello di sistemare gli indumenti ad altezza di bambino.

    Dunque, fate in modo che possa accedere alle grucce e destinategli e i cassetti bassi, ovvero quelli che può aprire e chiudere da solo, ed, eventualmente, utilizzata cestoni o cassettiere a misura di bambino.

    Educare il bambino a mangiare da solo

    La prima autonomia che va insegnata a un bambino è quella di mangiare da solo.

    Si inizia durante lo svezzamento mettendogli piccoli pezzi di cibo nel piattino, in modo che se li porti da solo alla bocca.

    Ricordatevi di imboccarlo il meno possibile, deve imparare a fare da solo!

    Quando è più grande si passa all’uso del cucchiaino e della forchetta, fino al coltello (per bambini) per tagliare i cibi più morbidi o spalmabili.

    In parallelo bisogna insegnargli a portare il bicchiere alla bocca e a pulirsi da solo con il tovagliolo.

    Tutte queste attività sviluppano la manualità e l’imparare a maneggiare le posate, come gli adulti, fa crescere l’immagine di sé e l’autostima.

    Tutte queste attenzioni aiuteranno il vostro bambino ad essere autonomo, inizialmente nelle piccole cose e poi, crescendo, in tutte le attività quotidiane.

    Il mestiere del genitore è uno dei più difficili e dei più belli in assoluto, l’importante è conoscere e comprendere le regole dell’educazione.

    In questo possiamo aiutarvi 😉

    Non esitate a contattarci per altri consigli o domande!

  • Gli stili educativi genitoriali e lo sviluppo del bambino

    stili educativi genitoriali

    Cosa sono gli stili educativi genitoriali? Quali sono le caratteristiche di ogni stile?

    Quanto influenzano la crescita e lo sviluppo dei bambini?

    Sono tutte domande che sicuramente vi sarete posti almeno una volta.

    Vediamo di dare una risposta a questi interrogativi, presentando gli stili educativi e indicando quale può essere quello più adeguato ad una crescita armonica dei vostri bambini 😉

    Gli stili educativi possono influenzare notevolmente lo sviluppo e la crescita dei bambini.

    Sono tutte quelle modalità educative che ognuno di noi utilizza nell’educazione e nella comunicazione con i propri figli, più o meno consapevolmente.

    Le modalità educative sono specifiche e corrispondono, infatti, ad uno stile piuttosto che ad un altro.

    Tali modalità possono influire, positivamente o negativamente, sullo sviluppo e sulla crescita dei figli, anche nel lungo periodo.

    È importante conoscere la propria modalità educativa e di comportamento, per orientare l’azione educativa e andare a modificare o potenziare un certo comportamento nell’educazione dei propri figli.

    Esistono tre tipologie di stili educativi genitoriali, vediamoli insieme!

    Immaginatevi una linea: ai due poli opposti troviamo lo stile permissivo e lo stile autoritario, mentre al centro troviamo lo stile autorevole, ovvero il più equilibrato per la crescita dei vostri figli.

    Lo stile permissivo

    • Basse aspettative nei confronti del figlio, sia di successo che di comportamento;
    • Soddisfazione delle richieste e dei bisogni del figlio, senza però fornire un sistema di regole adeguato all’età e alle esigenze del bambino;
    • Il genitore è presente, ma si rapporta al figlio troppo come un “amico” che come una figura genitoriale, senza essere per lui un modello di comportamento e fornirgli regole e consigli per la crescita.

    Il bambino crescerà senza aver interiorizzato un sistema di regole, dunque sarà presente una bassa disciplina e capacità di controllo, scarse abilità sociali e relazionali, un’insicurezza e una bassa autostima e fiducia in se stesso.

    Lo stile autoritario

    • Presenza di un sistema di regole troppo rigido, che viene imposto al bambino, e non condiviso;
    • Eccessive aspettative nei confronti del figlio: il genitore autoritario è rigido e inflessibile e non ascolta, e non conosce, i bisogni e i desideri del figlio;
    • Assenza di un modello di comportamento da seguire e feedback e consigli.

    A lungo termine, il bambino potrebbe sviluppare una bassa autostima, una bassa autonomia e indipendenza, una forte difficoltà nel socializzare e relazionarsi con il mondo circostante e con gli altri.

    Lo stile autorevole

    • Il genitore autorevole fornisce al bambino un sistema di regole positivo, con regole chiare, coerenti e adeguate al livello di sviluppo del figlio spiegando sempre i motivi di tali regole;
    • Il genitore autorevole, infatti, stabilisce regole e linee guida che il figlio è segue in modo democratico, condiviso e partecipato;
    • Non c’è imposizione, invadenza, ma condivisione, comunicazione assertiva e partecipazione tra genitori e figli.

    Lo stile educativo genitoriale autorevole è sicuramente quello più idoneo per promuovere lo sviluppo emotivo, sociale e relazionale dei bambini.

  • La gestione della rabbia nei bambini: come aiutarli a comprenderla

    gestione della rabbia nei bambini

    In un precedente articolo abbiamo approfondito l’importanza e l’influenza delle emozioni sul nostro comportamento e sui nostri modi di agire, soprattutto nei bambini.

    I bambini devono imparare a riconoscere e gestire la propria emotività, dando un nome a tutte le emozioni, accettarle ed imparare ad esprimerle.

    Prima fra tutte la rabbia, in quanto emozione primaria e fondamentale.

    La gestione della rabbia nei bambini, infatti, acquista una grande importanza nell’educazione e deve essere insegnata con l’aiuto e il sostegno dei genitori e degli educatori.

    Uno strumento che può essere utilizzato per canalizzare la rabbia dei bambini è rappresentato dalla “scatola della rabbia” 😉

    La scatola della rabbia

    Un modo molto funzionale e divertente che voglio consigliarvi è quello di costruire, insieme ai bambini, una vera e propria scatola della rabbia.

    Costruirla insieme è fondamentale: il bambino deve personalizzarlo e sentire suo questo oggetto.

    Poi deve scegliere un posto dove tenerlo: sulla scrivania, dentro l’armadio, sopra un mobile.

    Un posto dove possa prenderlo ed utilizzarlo facilmente da solo senza dover chiedere aiuto a nessuno.

    Il bambino ogni volta che si arrabbia, prende la sua rabbia, oppure un oggetto o un disegno che rappresenta la sua rabbia, e la mette nella scatola, chiudendola dentro.

    Oggetti e disegni che poi potranno essere guardati insieme nei momenti di calma per cercare di parlare insieme di quello che ha provato.

    Il potenziale educativo di questo gesto è immenso: il bambino incanala la sua energia distruttiva in un’azione costruttiva.

    La scatola della rabbia non serve tanto per liberarsi della rabbia, piuttosto per aiutare il bambino a dare una forma alla sua rabbia e ad imparare a gestirla.

    Se avete domande o avete bisogno di un sostegno più specifico nella gestione della rabbia dei vostri piccoli, non esitate a contattarci!

  • Il conflitto familiare: come riconoscerlo, gestirlo e trasformarlo in risorsa

    conflitti familiari

    Nell’articolo precedente abbiamo parlato delle relazioni familiari, introducendo la loro importanza e l’influenza delle relazioni conflittuali sullo sviluppo dei bambini.

    In tutte le famiglie sono inevitabili i momenti di conflitto familiare: tutti li abbiamo vissuti almeno una volta!

    Il conflitto non deve essere visto solo come scontro o controversia, bensì come possibilità di crescita, confronto, opportunità e collaborazione.

    E’ proprio nelle situazioni difficili e complesse che nascono le migliori opportunità.

    Per questi motivi, bisogna essere in grado di riconoscere i conflitti, gestirli e risolverli in modo positivo.

    Vederli, cioè, come espressione di visioni differenti e come possibilità di crescere e migliorare le proprie relazioni attraverso una comunicazione efficace.

    Il conflitto in famiglia

    La famiglia è il luogo dei conflitti: nella relazione, tra generi e generazioni, tra la famiglia ed il mondo che sta fuori.

    E’ in famiglia che si impara a gestire il conflitto e le differenze, e a stare in relazione con gli altri.

    Ciò che si riceve nella famiglia è parte costitutiva del nostro patrimonio, fisico e psichico, che portiamo nella comunità, in cui viviamo.

    Il conflitto è un evento naturale, fisiologico, che si ripete ciclicamente nella vita delle persone e in tutti i tipi di relazione.

    Può assumere una valenza positiva o negativa in base al modo con il quale viene risolto.

    Rappresenta, dunque, un’esperienza, propria dei rapporti interpersonali, che può permettere a ciascun membro della famiglia di differenziarsi, stabilire i propri confini e delineare la propria identità.

    Si configura come funzionale, se risolto e positivo, alla crescita dell’individuo e delle relazioni.

    Al contrario, un conflitto non risolto oppure negato, può creare tensioni e incomprensioni all’interno della famiglia impedendo il confronto autentico e il riconoscimento dei bisogni più profondi di ciascun componente.

    Se affrontata consapevolmente, anche la discordia può rappresentare un’esperienza di cambiamento e crescita, utile per riconoscere le idee altrui e ricercare soluzioni ai problemi condivise.

    Caratteristiche e specificità del conflitto

    Il conflitto è un aspetto inevitabile dell’esperienza umana: dall’infanzia all’adolescenza, dall’età adulta alla senilità, è un fenomeno che ci accompagna per tutto l’arco dell’esistenza.

    Esso può scaturire da una molteplicità di fattori:

    • Diversità dei sistemi valoriali;
    • Divergenza di interessi ed esigenze;
    • Dilemmi intrapersonali ed equivoci;
    • Problemi di comunicazione;
    • Difficoltà nell’accettare l’altro.

    Il conflitto è fisiologico e la sua natura è soggettiva.

    Giocano infatti un ruolo essenziale l’interpretazione e la rappresentazione che le parti danno della situazione e, pertanto, verrà percepito in modo dissimile in base alle diverse personalità coinvolte, alle esperienze conflittuali passate, alla percezione degli interessi altrui.

    Imparare a gestire il conflitto promuove le cosiddette “life skills“, ossia le abilità cognitive, emotive e relazionali che consentono di operare con competenza sia sul piano individuale che su quello sociale.

    In particolare, permette di potenziare:

    • La comunicazione efficace;
    • L’autostima;
    • L’assertività;
    • Le abilità di risoluzione dei problemi.

    L’importanza di una comunicazione efficace

    A volte il conflitto che si crea nel rapporto tra genitori e figli può significare una difficoltà di comunicazione all’interno del contesto familiare.

    È molto importante per un genitore saper comunicare in maniera efficace con il proprio figlio perché l’aspetto comunicativo migliora la qualità della diade.

    Una buona comunicazione favorisce l’esperienza da parte dei bambini di essere ascoltati e compresi dai loro genitori.

    Al contrario, una comunicazione non efficace o comunque negativa porta il bambino a credere che non è importante, che non è ascoltato o capito e a rappresentarsi il genitore come distante.

    Appare chiaramente come una comunicazione efficace e positiva è fondamentale soprattutto nelle situazioni conflittuali e verrà approfondita nel prossimo articolo.

    Come gestire il conflitto

    Il conflitto è produttivo e propositivo se gestito efficacemente dai componenti della famiglia.

    Di seguito, alcuni consigli e buone pratiche, basate su un’adeguata valutazione e gestione delle proprie emozioni.

    Innanzitutto, è fondamentale creare un clima sereno e favorevole, contraddistinto da apertura e vicinanza.

    In questo modo tutti i soggetti coinvolti possono sentirsi liberi di esprimere le proprie opinioni, senza essere giudicati o aggrediti.

    Favorire sempre una libera espressione delle reciproche idee.

    Concentrarsi sul problema da affrontare, evitando ogni forma di attacco alla persona con cui si è in disaccordo.

    È necessario chiarire l’oggetto della lite, evitando di accusare l’altro in modo generalizzato: chiarire sempre e mai essere distruttivi.

    Ascoltare sempre l’altro e le sue motivazioni per comprendere e dare significato alla situazione, tenendo in considerazione anche il punto di vista dell’altro e apre alla possibilità di una negoziazione.

    Formulare critiche costruttive: comunicare ciò che si sta provando senza giudicare l’altro permette di acquisire una maggiore comprensione reciproca.

    L’obiettivo comune di tutti i soggetti coinvolti è risolvere il conflitto, superarlo e rafforzare maggiormente i rapporti.

    Un ruolo fondamentale è giocato dal compromesso, dal confronto e dalla negoziazione: in altre parole dalla mediazione.

    Il ruolo del consulente pedagogico

    In alcuni casi può essere utile appoggiarsi ad un pedagogista esperto, che possa aiutare i soggetti coinvolti a risolvere il conflitto.

    Il consulente pedagogico, con il suo bagaglio di informazioni e di esperienza, mira a ristabilire il dialogo tra le parti, con l’obiettivo di sollecitare una riorganizzazione delle relazioni che risulti soddisfacenti per tutti i soggetti coinvolti nel conflitto.

    Egli facilita in essi la comprensione delle proprie e delle altrui emozioni, stabilendo un clima di fiducia e offrendo una visione alternativa al conflitto, che aiuti a conciliare le parti.

    Il consulente crea un ambiente di comunicazione e di scambio che agevola la conclusione di un accordo mutuamente accettabile.

    Dunque, il conflitto non va mai evitato, ma deve essere gestito e trasformato in risorsa per diventare un momento costruttivo e di confronto.

    I conflitti sono inevitabili e per questo bisogna saperli riconoscere, imparare a gestirli, mediandoli in chiave positiva.

    E’ importante vederli come un’espressione di diversità e come un momento di crescita.

    Contattateci o scriveteci per una consulenza!

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