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consulenza pedagogica

  • Autonomia e disabilità: le parole di una Educatrice di Sostegno

    autonomia e disabilità

    Quando parliamo di autonomia e disabilità ci stiamo riferendo a due concetti che un educatore di sostegno deve conoscere a fondo e padroneggiare.

    Infatti, nel lavoro educativo con la disabilità bisogna sempre tenere presente il concetto di autonomia e quello di inclusione.

    Oggi  parliamo dell’importanza dell’acquisizione dell’autonomia da parte di un bambino con disabilità.

    Il tutto con la testimonianza diretta di una Educatrice di Sostegno, Noemi Ferranti, che lavora da alcuni anni a stretto contatto con la disabilità.

    La sua esperienza come Educatrice di Sostegno

    L’esperienza di lavoro nelle scuole come educatore di sostegno mi ha dato la possibilità di confrontarmi con situazioni diverse e particolari. Ogni bambino con cui ci ritroviamo a lavorare ha la propria storia, il proprio vissuto e una patologia con cui confrontarsi, di fronte alla quale coloro che si trovano nella mia posizione devono riuscire ad improntare un percorso di crescita.

    Percorso non solo prettamente didattico e scolastico, ma anche per quanto riguarda il livello dell’autonomia personale.

    Durante questi 2 anni di lavoro ho avuto la possibilità di confrontarmi con il Disturbo dello Spettro Autistico. Un disturbo dello sviluppo che comporta un deficit più o meno grave nell’area della comunicazione e interazione sociale, nella creazione di legami e nell’area degli interessi e delle attività”.

    Il lavoro educativo

    Nella mia situazione specifica mi sono trovata a lavorare con una bambina della scuola primaria che, due anni fa, mi colpì fin da subito per la sua particolarità.

    Nonostante la sua certificazione denotasse un livello grave del disturbo, la bambina presentava buoni aspetti, seppur comunque limitati, di comunicazione e interazione con gli adulti di riferimento e alcuni pari in particolare, oltre ad uno sviluppo alto dell’ autonomia personale e fisica.

    Il tutto è stato possibile grazie ad un grande lavoro da parte dei terapeuti, degli educatori e della famiglia, che tuttora proseguono questo percorso educativo.

    Il lavoro integrato tra professionisti con diverse competenze è, infatti, fondamentale per elaborare un intervento globale verso l’autonomia e l’inclusione.

    Il lavoro quotidiano

    Fin dai primi anni, dopo il riscontro della patologia, l’obiettivo è stato quello di rendere la bambina capace di muoversi attivamente negli ambienti di casa.

    Per questo motivo, ci ha spiegato l’Educatrice, sono state applicate metodologie per consentire alla bambina di poter apprendere le funzioni degli oggetti e dei luoghi, la routine quotidiana, le azioni da compiere in base alla situazione in cui si trovava.

    Ad esempio, l’utilizzo di disegni raffiguranti “storie sociali” come la routine delle azioni da svolgere in bagno, lavarsi i denti, lavarsi le mani, usare il wc e delle azioni a tavola ovvero apparecchiare, usare la forchetta, il bicchiere e il tovagliolo.

    Queste hanno consentito alla bambina di potersi gestire autonomamente in molte cose, senza il bisogno perenne dell’adulto, acquisendo mano a mano maggior autonomia; anche la camera da letto è stata adattata tramite l’utilizzo di immagini per classificare i giochi in modo che lei riuscisse, senza bisogno di aiuto, a cercare un gioco da lei desiderato in base alla classificazione dentro i cassettoni.

    Il lavoro a scuola

    Nell’ambito scolastico si è lavorato sull’autonomia nelle azioni che si ripetono ogni giorno, ad esempio:

    svuotare lo zaino, preparare il banco per le attività con il materiale necessario, preparare la merenda e durante le ore di lezione.

    Si è cercato al meglio, ci ha riferito l’Educatrice, di far comprendere alla bambina il fatto di dover rimanere seduta al proprio banco e alzarsi solo in determinati momenti o per richiesta dell’insegnante, tutto tramite comunicazione visiva (disegno o immagini), seguita dal verbale.

    Il “visivo” è stata la rampa di lancio per agganciare la comunicazione con la bambina, essendo essa capace di poter trasmettere un messaggio anche in situazioni frustranti, in cui l’ascolto del verbale si annulla.

    La riflessione

    Come conferma l’Educatrice, i miglioramenti raggiunti dalla bambina denotano l’importanza di non porsi un muro di fronte a ciò che appare impossibile da compiere.

    Ciò soprattutto se si pensa che oggi la bambina è arrivata a parlare, leggere e scrivere, quando al momento della diagnosi sembrava non esserci speranza su quegli aspetti.

    E’, quindi, fondamentale ricercare il fondo del problema, che sia esso la comunicazione o la difficoltà del compito, e cercare di risolverlo utilizzando gli strumenti di cui si dispone.

    Spesso la praticità, il gioco e l’immagine visiva sono fonti di apertura verso concetti nuovi e apprendimenti che diventano col tempo naturali e autonomi.

    L’occhio dell’educatore diventa quindi lo strumento per ricercare la strategia giusta in un determinato momento, che sia esso positivo o negativo. Trovarsi di fronte a casi del genere, in cui il lavoro è supportato da un team disponibile a indirizzare verso determinati percorsi educativi, aiuta a sviluppare strategie alternative per consentire al bambino di viversi l’esperienza scolastica al meglio e all’educatore di poter raggiungere determinati obiettivi di lavoro.

    L’impegno e la determinazione degli Educatori di Sostegno sono fondamentali per raggiungere risultati e cambiamenti.

    Ringraziamo Noemi per aver condiviso la sua esperienza con noi 😉

  • Per un sostegno pedagogico: il nonno ha l’alzheimer

    sostegno pedagogico

    Questo articolo ha l’intento di fornire consigli e buone pratiche per un sostegno pedagogico a tutti coloro che hanno un familiare affetto da Alzheimer: un nonno, una nonna, un padre, una madre.

    La sempre maggiore incidenza di questa malattia può considerarsi la risultante del progressivo invecchiamento demografico che contraddistingue l’Italia e, più in generale, tutti i paesi a sviluppo avanzato.

    Siccome la malattia colpisce le persone anziane, sono tanti i bambini che hanno un nonno o una nonna che ne soffrono.

    Non nascondete la malattia ai vostri figli

    Come in tutte le cose, è sempre consigliabile dire la verità ai bambini: capiscono e si accorgono di tutto e hanno il diritto di sapere cosa sta succedendo.

    Inventarsi qualcosa di non vero, nella maggior parte dei casi, andrà soltanto a complicare la situazione.

    I bambini capiscono quando stiamo mentendo, se ne accorgono, e non raccontargli la verità creerà in loro confusione e disorientamento.

    In questo modo il bambino andrà ad amplificare il problema, senza capire realmente la situazione.

    La reazione dei bambini, naturalmente, dipende soprattutto dalla loro età.

    I bambini molto piccoli faranno più fatica a capire e a comprendere la situazione.

    E’ importante spiegare loro la situazione con parole semplici, chiare, e un tono di voce calmo e tranquillo, senza preoccuparlo.

    Come dovete comportarvi da genitori

    Come anticipato, dovete spiegare con parole semplici che il nonno è affetto da una malattia che colpisce la memoria, e che è per questo motivo che spesso si dimentica le cose, sicuramente il bambino lo avrà già notato 😉

    Attraverso questa vostra sincerità, il bambino comincerà a capire e a darsi finalmente una spiegazione per i diversi comportamenti del nonno o della nonna rispetto al passato.

    Per un sostegno pedagogico alla famiglia

    La malattia di Alzheimer coinvolge, al tempo stesso, il malato ma anche, e soprattutto, la sua famiglia.

    Non è una situazione semplice, alla quale prepararsi è quasi impossibile, il cambiamento nella famiglia sarà molto grande e potrà avere molte ripercussioni sui rapporti personali.

    Molto utile innanzi tutto potrebbe essere documentarsi ed informarsi rispetto alla malattia. 

    Sono molti i centri che si occupano di tali dinamiche e che possono offrire un sostegno anche alla famiglia che si prende cura del malato di Alzheimer.

    Centri che svolgono interventi educativi per accompagnare la famiglia nell’accettazione e nell’elaborazione di tale situazione per imparare a conoscere e a gestire la malattia.

    In questo, di grande aiuto potrebbe essere il sostegno pedagogico, con la modalità della consulenza pedagogica, per gestire questa delicatissima situazione.

  • Disabilità e scuola: l’esperienza di un educatore di sostegno

    disabilità e scuola

    Disabilità e scuola sono due parole delle quali oggi sentiamo parlare molto.

    Tutti noi, infatti, abbiamo sentito parlare della figura dell’educatore di sostegno e della sua importanza nell’inclusione di bambini con disabilità.

    Tuttavia, non tutti conoscono il significato delle sigle Pdf, Profilo Dinamico Funzionale, o Pei, il cosiddetto Piano Educativo Individualizzato.

    Vediamo insieme il loro significato e l’iter da seguire per l’inserimento a scuola di vostro figlio.

    Disabilità e scuola: l’iter da seguire

    Intanto, precisiamo che il diritto all’istruzione e all’educazione delle persone con disabilità, sancito dalla Costituzione, è regolato dalla legge Quadro dell’Handicap: la legge 104 del 1992.

    Il testo garantisce l’inserimento dei bambini disabili da 0 a 3 anni nell’asilo nido e il diritto all’istruzione per tutto il percorso scolastico e universitario.

    L’integrazione scolastica, infatti, ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona disabile, per quanto riguarda l’apprendimento, la comunicazione, le relazioni e la socializzazione.

    Prima di procedere con l’iscrizione a scuola, i genitori del bambino disabile devono recarsi presso la propria Asl di appartenenza e richiedere due documenti:

    • L’attestazione di “alunno in situazione di handicap”, redatta da uno specialista;
    • La diagnosi funzionale, ovvero il documento che contiene una diagnosi clinico-medica e una valutazione psicologica e sociale per individuare le potenzialità del soggetto.

    Alla diagnosi funzionale fa seguito, nei primi mesi del nuovo ciclo di studi, un profilo dinamico-funzionale (Pdf) che indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive dell’alunno.

    Il profilo, dunque, pone in rilievo:

    • Le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di disabilità e le possibilità di recupero;
    • Le capacità possedute che devono essere sostenute e sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona disabile.

    Sulla base di ciò si procede alla stesura del Piano Educativo Individualizzato (Pei), redatto congiuntamente dagli operatori sanitari, dal personale insegnante curricolare e di sostegno della scuola.

    Il ruolo dell’educatore di sostegno

    Quando si parla di disabilità e scuola, il ruolo dell’educatore di sostegno è molto importante.

    L’educatore lavora per recuperare e reinserire socialmente persone in difficoltà e in situazioni di disagio, che vivono per questo ai margini della società.

    L’obiettivo finale, dunque, è il recupero delle potenzialità dell’allievo e il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia, collaborando con la famiglia e il contesto sociale.

    Le funzioni dell’educatore sono:

    • Collaborazione alla stesura e aggiornamento del Piano Educativo Individualizzato e partecipazione a tutti i momenti di lavoro di équipe della scuola;
    • Programmazione, realizzazione e verifica di interventi quanto più integrati con quelli educativi e didattici dei docenti;
    • Supporto dell’alunno nelle sue difficoltà e promozione della sua autonomia, proponendo strategie per perseguire le finalità formative e di sviluppo complessivo della persona;
    • Spinta verso la socializzazione con gli altri alunni, mettendo in atto la cultura dell’inclusione;
    • Collaborazione con le famiglie e promozione di relazioni efficaci con esse.

    Un ruolo quindi coordinato, di completamento rispetto a quello di docenti e di altri operatori scolastici, che richiede competenze specifiche e titoli adeguati.

    Disabilità e scuola: l’esperienza di un educatore di sostegno

    Oggi vogliamo proporvi il racconto di un’esperienza diretta, per farvi capire realmente l’importante ruolo dell’educatore di sostegno quando parliamo di disabilità e scuola,

    Milena Gollini, Educatrice di Sostegno a Cento (Fe), ci spiega il suo lavoro educativo con un bambino di nome Mattia che ha accompagnato e sostenuto nel suo percorso di crescita.

    Mattia è un ragazzo affetto da autismo e da un grave ritardo mentale.
    Il suo ingresso alla scuola primaria non è stato facile: la sua condizione non gli permetteva di avere un’autonomia sociale e personale consona all’ambiente scolastico che frequentava.
    Le insegnanti, che tendono ad avere un approccio prettamente didattico anche nei confronti della disabilità, richiedevano la sua presenza in classe.
    Il bisogno principale di Mattia, però, era quello di trovare un ambiente sereno e sicuro, che gli permettesse di affrontare la giornata nella piena tranquillità.
    Diversamente avrebbe potuto irrompere in comportamenti-problema di difficile gestione.
    Ciò gli avrebbe permesso anche di acquisire un’autonomia, rapportata alle sue possibilità, sufficientemente accettabile dal contesto che si trovava a frequentare ogni giorno.
    La famiglia, inizialmente, non ha facilitato questo compito.
    A causa della non accettazione della condizione del proprio figlio, dell’approccio assistenziale che continuavano ad avere  e dello scarso interesse nell’impegnarsi a creare in lui determinate capacità.
    Mattia veniva imboccato, utilizzava il pannolino e veniva vestito e spogliato, non esprimeva bisogni o preferenze, non accettava nessun tipo di negazione o di richiesta da parte dell’adulto.
    Il suo tempo lo passava guardando esclusivamente cartoni animati (sempre gli stessi) e ascoltando musica, senza accettare che venisse interrotta.
    I coetanei per lui erano oggetti da guardare dall’angolo più lontano del giardino, gli adulti erano nemici da affrontare con la forza.

    Le basi per il cambiamento

    L’unica cosa da fare era osservarlo attentamente in ogni istante della sua quotidianità scolastica, leggere la sua comunicazione non verbale e non conscia, per poter cogliere messaggi non espliciti, ma rilevanti.
    In questo senso, ho esercitato quotidianamente un ruolo di mediazione.
    Mediazione tra il suo fastidio per il rumore in classe e le richieste della scuola, tra le risorse a mia disposizione e i suoi bisogni, tra la sua scarsa collaborazione e gli obiettivi che mi ero imposta.
    Ho dovuto trovare strategie sempre nuove per permettergli di crescere nella sua diversità, stimolandolo e attivandolo costantemente, nonostante le sue capacità e i suoi tempi di attenzione.
    Ho cercato di creare un ambiente accogliente e sicuro, di entrare nel suo mondo senza pretendere che lui entrasse nel nostro, nelle regole imposte dalla società e nelle necessità dettate dalla scuola.

    Gli obiettivi raggiunti

    In 8 anni, tanta testardaggine e una pazienza infinita, sono riuscita ad abbattere i muri familiari, entrare in contatto con la mamma e ottenere una collaborazione efficace e una totale fiducia.
    Mattia ha imparato gradualmente a mangiare da solo.
    Inizialmente non riusciva nemmeno a trovare la sua bocca o tenere in mano la forchetta, ora non versa nemmeno una goccia di brodo dal cucchiaio.
    Mattia ora va autonomamente in bagno ed esegue tutti i procedimenti da solo, compresa l’igiene di mani e viso.
    Ha imparato ad accettare la presenza di coetanei o adulti, prima all’interno dei suoi spazi e a piccole dosi, e ora corre con loro in giardino e li prende per mano di sua iniziativa.
    Inoltre, ti abbraccia se ha paura, o si porta le mani alle orecchie se qualcosa lo infastidisce, senza creare più panico.
    Non si butta a terra, non sbatte le mani forte sulle gambe, non ti graffia il collo e non ti strappa i capelli.
    Mattia ama ancora la musica, ma se la spegni sa che arriverà una richiesta da parte tua e si alza, pronto ad esaudirla.

    Ecco, questo per farvi capire l’importante ruolo che esercita l’educatore di sostegno sulla crescita e lo sviluppo di un bambino con disabilità.

    Grazie, Milena per aver condiviso con noi la tua esperienza 😉

    E grazie a tutti gli Educatori di Sostegno che ricoprono questo ruolo di grande responsabilità.

  • La diversità spiegata ai bambini: alcuni spunti e consigli

    la diversità spiegata ai bambini

    Nei precedenti articoli abbiamo parlato della diversità e dell’importanza di educare i bambini a scuola, e a casa, al rispetto delle differenze.

    Abbiamo visto l’importanza di spiegare ai bambini la diversità, in modo semplice e sincero.

    Non siamo tutti uguali: ognuno di noi ha le proprie caratteristiche che lo rendono unico.

    E per fortuna che non siamo tutti uguali 😉

    Le diversità ci sono, esistono, ognuno di noi ha il proprio specifico modo di vivere e stare “nel” mondo e “con” il mondo. “. Questo specifico modo che rende ciascuno di noi unico e irripetibile!

    Viviamo in un mondo pieno di diversità: insegniamo ai bambini a rispettarle e a condividerle.

    La diversità spiegata ai bambini

    I bambini notano le differenze. 

    I bambini sono attenti osservatori e percepiscono odori diversi, colori diversi, forme diverse.

    A differenza di noi adulti, però, i bambini, notano le diversità ma non giudicano.

    Fanno domande, certamente, ma perché sono curiosi, e vogliono sapere: perché io sono bianco e lui è marrone? Perché io cammino e lui usa la carrozzina? Perché a casa mia non vive un papà e a casa sua sì?

    Come parlare di diversità

    Teniamo sempre presente che dalle differenze possono nascere nuove opportunità di crescita e di sviluppo.

    E’ importante, per questo, parlare delle diversità, non nasconderle o accettarle incondizionatamente.

    Se i bambini vi pongono domande del tipo “perché lui è diverso da me?” rispondetegli sinceramente, con onestà e tranquillità, in modo semplice e rispettoso.

    Rispondete loro dicendo che tutti noi siamo unici: abbiamo tutti un diverso aspetto, dei gusti diversi, dei diversi modi di fare, dei diversi interessi.

    Trovare due persone uguali uguali è davvero impossibile!

    Vedrete, la comprensione dei bambini vi stupirà 😉

    Fingere che le diversità non esistono è controproducente per la crescita dei bambini.

    Diverso come uguale

    In questo libro “Diverso come uguale” di Luana Vergari e Massimo Semerano, troviamo una interessante storia sulla diversità che possiamo raccontare o leggere con i bambini.

    Aiutarsi con i libri o le narrazioni è sempre utile quando si vuole iniziare una conversazione su una tematica.

    Leone ha 6 anni, fa la prima elementare, gli piacciono le barzellette e guarda il mondo con occhi curiosi.

    Ovunque trova bambini con cui fare amicizia: bambini che gli somigliano moltissimo, ma che sono anche un po’ diversi da lui.

    In questo libro, la diversità diventa un dettaglio, una peculiarità di ognuno dei personaggi di questo libro. Una peculiarità come le altre.

    E’ proprio così che va affrontato con i bambini il tema della diversità.

    Bibliografia 

    Reggio P., Santerini M, (a cura di), (2013), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci Editore

    Giusti M, (2004), Pedagogia interculturale, Editori Laterza

    Cambi F, (2012), Incontro e dialogo, Prospettive della pedagogia interculturale, Carocci Faber

  • Per una educazione democratica: la pedagogia di Dewey

    educazione democratica

    Quando si parla di educazione democratica non si può non parlare di John Dewey, filosofo e pedagogista americano che ha profondamente influenza il sistema educativo.

    Rileggere Dewey ci permette di avere una visione completa dell’educazione democratica.

    L’educazione è un processo che accompagna le persone ad emergere come soggetti liberi.

    In questo senso, tutti i sistemi educativi dovrebbero adempiere a questo obiettivo.

    In una società democratica, l’educazione è sostanzialmente educazione alla democrazia: essa forma cittadini capaci di comprendere attivamente il mondo, di definire insieme il bene comune e lavorare a una maggiore solidarietà tra gli uomini e tra i popoli.

    Costruire la democrazia attraverso la formazione di cittadini attivi capaci di pensiero e comprensione della realtà e dunque attenti al cambiamento-miglioramento progresso della società.

    Qui l’educazione è una responsabilità comune e condivisa da tutti nei confronti del futuro, ciascuno deve dare il proprio contributo.

    Come afferma Dewey, l‘educazione alla cittadinanza attiva, infatti, deve essere intrinseca in ogni progetto pedagogico.

    Di conseguenza l’educazione condiziona l’avvenire della democrazia e l’esistenza del mondo.

    L’educazione come processo di vita

    Una prima formulazione delle idee pedagogiche di Dewey, legata alla sperimentazione della Scuola-Laboratorio di Chicago, è nello scritto Il mio credo pedagogico del 1897.

    L’educazione, secondo Dewey, ha due aspetti fondamentali: uno sociologico e uno psicologico.

    Da una parte essa conduce l’individuo a far parte della società, dall’altra si occupa del pieno sviluppo delle sue facoltà e possibilità.

    L’unico modo efficace per preparare il fanciullo alla vita futura è quello di sviluppare tutte le sue capacità, in modo che sappia da solo adattarsi ai cambiamenti.

    Qui emerge chiaramente l’idea dell’educazione come “processo di vita e di preparazione alla vita futura”.

    La scuola tradizionale dell’epoca però trasferiva soltanto una serie di nozioni che non avevano alcun contatto con la vita concreta e inerente al futuro degli allievi.

    Ma, avverte Dewey, se non c’è un contatto con la vita reale non c’è vera educazione.

    Il che significa che la scuola deve avere a che fare con la vita reale dell’allievo, con il suo ambiente e con le sue esperienze.

    Una scuola così intesa è una comunità vitale, nella quale i bambini imparano a lavorare insieme agli altri.

    L’educazione democratica

    In Democrazia e educazione Dewey riprende ed approfondisce il tema della scuola come luogo in cui l’ambiente sociale viene semplificato ed adattato alle esigenze dei soggetti in formazione.

    La scuola deve occuparsi della crescita e dello sviluppo degli allievi.

    Secondo Dewey, una scuola può dirsi democratica soltanto se educa al pensiero, vale a dire ad un atteggiamento critico e riflessivo. 

    Di fondamentale importanza qui il concetto di esperienza.

    Fare un’esperienza vuol dire agire, fare, tentare qualcosa, conoscere le conseguenze delle proprie azioni, negative o positive.

    Non è dunque una semplice conoscenza teorica di un oggetto, ma consiste in una relazione con l’oggetto che coinvolge la persona sia mentalmente che fisicamente. 

    Nella scuola questi due aspetti, attivo e passivo, fisico e mentale dell’esperienza, sono spesso separati.

    Dewey enfatizza proprio questa autenticità dell’esperienza: perché vi sia esperienza autentica, e quindi pensiero, occorre invece che si presenti una situazione problematica, incerta, in fase di sviluppo

    Se si vuole sviluppare il pensiero negli studenti, bisogna partire dalla presentazione di situazioni problematiche, reali e concrete, e vissute come tali dallo studente.

    Solo così può generarsi conoscenza.

    Dewey è stato davvero rivoluzionario e le sue teorizzazioni possono essere considerate attuali per l’educazione dei ragazzi.

    Bibliografia

    Democrazia e educazione, Dewey J, a cura di Spadafora G, Classici dell’educazione, 2018

    Le pedagogie del Novecento, Cambi F, Edizioni Laterza,

  • Lo spazio dell’incontro e la diversità come risorsa e occasione di crescita

     

    La diversità, per essere pensata come risorsa e come occasione di crescita, presuppone l’introduzione e la comprensione del concetto di intercultura. 

    Tale termine fa riferimento al modello di convivenza e conoscenza delle società attuali tipicamente multiculturali.

    Un modello, cioè, che vede il medesimo spazio abitato da etnie, religioni e culture differenti, con identità proprie, che collaborano e convivono.

    In questo senso, il traguardo non è la semplice accoglienza, bensì la creazione di una cultura condivisa che nasce dal confronto reciproco, dal dialogo e dall’incontro.

    Stereotipi e pregiudizi

    Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza in quanto, spesso, questi due termini vengono fraintesi.

    Lo stereotipo è un modello fisso di conoscenza e di rappresentazione della realtà.

    Infatti, l’uomo ha una tendenza a classificare, a dare un orientamento, a volere controllare l’ambiente circostante e a volere mantenere quest’ordine il più costante e protetto possibile.

    Una concezione orientata in questo senso è proprio all’origine del concetto di stereotipo, concetto che ci aiuta a semplificare le differenze che incontriamo, per renderle più accettabili e affinché non siano causa di paura o preoccupazione.

    Questa tendenza di “categorizzazione” viene estesa inevitabilmente anche ai popoli, ai gruppi umani e alle persone.

    Possiamo dire che:

    Lo stereotipo è l’anticamera del pregiudizio.

    Il pregiudizio, infatti, è una valutazione che precede l’esperienza, un giudizio formulato a priori, prima di disporre dei dati necessari per conoscere e comprendere la realtà.

    Questa caratteristica del pregiudizio fa sì che esso sia potenzialmente sbagliato, poiché l’informazione risulta insufficiente.

    Un concetto e un giudizio errato sono sempre possibili, ma essi si trasformano in pregiudizio quando rimangono irreversibili nonostante nuovi dati conoscitivi.

    Dunque, lo stereotipo è prevalentemente cognitivo, ovvero ci dice quale concezione le persone hanno di un determinato gruppo, mentre il pregiudizio è un vero e proprio atteggiamento.

    L’unico modo per andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi è quello di conoscere e incontrare l’altro: incontrarlo, ascoltarlo, capirlo e accettarlo.

    Contro i pregiudizi

    Ogni cultura è fatta di pregiudizi e agisce attraverso i pregiudizi.

    Essi possono essere molteplici, ma comunque capaci di vincolare il ragionamento e di orientare le scelte d’azione.

    I pregiudizi socio-culturali, connessi all’ideologia, sono custoditi dai gruppi e sono assunti inconsapevolmente dalle persone.

    Agiscono, quasi sempre in modo inconscio, nel linguaggio, nei comportamenti, nelle reazioni, fino alle credenze e ai principi.

    Il pregiudizio è mobile e sottile, si infiltra in ogni dove, ed è proprio lì che va trovato e smascherato.

    La diversità come risorsa

    Tra i tanti compiti educativi quello che forse risulta più difficile è insegnare ad accettare e rispettare l’altro indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dalle diversità sociali e culturali.

    Spesso la diversità è vista come un problema, un ostacolo, e non come risorsa per il confronto, lo scambio di idee e la crescita personale.

    Accettare la diversità non significa soltanto accettare chi è diverso da noi, ma anche di “vederlo” come un’opportunità di crescita e non come una minaccia.

    Vederlo come un portatore di idee, esperienze e valori che non conosciamo, che in realtà possano arricchirci e aiutarci a comprendere meglio il mondo che ci circonda.

    È proprio attraverso la diversità, infatti, che si arriva alla conoscenza.

    C’è una metafora che spiega tutto molto bene:

    “ciascuno di noi contribuisce con la sua tessera al grande mosaico del sapere umano”.

    Anche senza una sola tessera il mosaico sarebbe incompleto.

    Le tessere del mosaico possono avere varie forme, colori e dimensioni.

    Proprio per questo il mosaico alla fine è così bello 😉

    Il valore della diversità

    Il suo valore sta proprio nell’accettazione dell’altro, nell’amicizia autentica, nello scambio e nel rispetto reciproco, dove ognuno è portatore di conoscenze e comportamenti propri.

    Ognuno è portatore di un proprio bagaglio di risorse e conoscenze, ognuno è un talento, una capacità, un valore da rispettare, da scoprire proprio nell’incontro con le diversità.

    La scoperta del valore educativo della diversità sa attivare atteggiamenti di ascolto-conoscenza di sé e modulare relazioni positive con gli altri, nelle quali ci si confronta, ci si libera da ogni forma di pregiudizio, facendo vivere due dimensioni: il rispetto e la condivisione.

    Dunque, la diversità è ricchezza.

    Lo spazio dell’incontro

    L’intercultura ha il compito di sfidare i pregiudizi, i canoni cognitivi, e ci conduce oltre le identità, pur non negandole, e verso un nuovo orizzonte costruito sull’incontro e sul dialogo.

    Ci conduce verso un orizzonte nuovo, di vita, di relazione, di scambio in cui la regola è porsi con gli altri, accordarsi insieme e far maturare spazi comuni, rispettosi delle differenze.

    Tale orizzonte, però, la maggior parte delle volte, rimane fermo al pluralismo e non si innalza a risorsa, a occasione di crescita.

    Per pensare la diversità come risorsa e occasione di crescita, è necessario sviluppare quattro percorsi ideali:

    • La teorizzazione dell’incontro come spazio fisico e mentale, che si apre al riconoscimento reciproco delle differenze;
    • L’individuazione del dialogo come linea guida, che sia aperto, critico e autocritico;
    • Il riconoscimento della dimensione mondiale e planetaria dell’uomo che vive in una società multiculturale, e la sua relativa formazione;
    • L’importanza della scuola per fare intercultura, sia nelle relazioni sia negli apprendimenti.

    In questo senso, l’educazione e la formazione risultano essere l’unico mezzo per oltrepassare l’appartenenza, i pregiudizi, le chiusure, ed entrare, invece, nello spazio del pluralismo, di incontro e di dialogo.

    Educare alla diversità a scuola

    La scuola è il luogo privilegiato in cui ci avviamo alla costruzione del nostro futuro e alla scoperta del mondo che ci aspetta, oltre i confini dei nostri amici e della nostra famiglia.

    E’ il luogo nel quale entriamo in relazione con l’altro e facciamo le prime esperienze di socializzazione.

    Entrare in relazione con l’altro vuol dire entrare in contatto con un’altra identità, cioè con qualcuno che è diverso da sé.

    Il contesto scolastico rappresenta, infatti, il luogo in cui bambini e ragazzi iniziano a strutturare la propria personalità, i propri valori.

    Uno dei compiti della scuola dovrebbe essere quello di educare alla differenza, all’altro, per creare i presupposti di una cultura dell’accoglienza e aiutare a percepire la differenza non come un limite alla relazione, ma come un valore e una ricchezza.

    Ma, quali strategie e tecniche utilizzare per educare alla diversità come risorsa?

    Seguiteci: tanti consigli e spunti pratici saranno presentati nei prossimi articoli 😉

    Bibliografia 

    Reggio P., Santerini M, (a cura di), (2013), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci Editore

    Giusti M, (2004), Pedagogia interculturale, Editori Laterza

    Cambi F, (2012), Incontro e dialogo, Prospettive della pedagogia interculturale, Carocci Faber

  • Diversità e integrazione. Le basi per un’educazione interculturale

    diversità e integrazione

    Negli ultimi decenni, la società in cui viviamo ha assistito a grandi trasformazioni e cambiamenti in senso multiculturale.

    La causa è da attribuire ai processi migratori, agli scambi tra culture diverse e alla globalizzazione.

    Tali fenomeni hanno, infatti, posto alla società attuale nuove problematiche e nuove emergenze educative e sociali.

    Concetti come diversità e integrazione, accoglienza e spazio dell’incontro, dialogo costruttivo sono divenuti fondamentali per fronteggiare tali emergenze.

    L’educazione interculturale riguarda proprio questo: teorie e strategie per incontrare, accogliere e rapportarsi con le diversità, etniche e culturali.

    Vediamo insieme, in questo articolo, quali sono le basi della pedagogia interculturale, da conoscere e da promuovere sia a scuola che in famiglia.

    Multicultura e intercultura

    Ogni cultura non ha confini netti e separati, non coincide necessariamente con un determinato territorio, ma si presenta come un insieme complesso caratterizzato da incroci e scambi.

    Da sempre infatti le culture si sono intrecciate le une alle altre e sono state sottoposte a varie influenze, dovute a scambi, commerci, guerre, migrazioni.

    A maggior ragione, oggi, con l’aumento dei flussi migratori e della globalizzazione non si può pensare ad un territorio costituito da un’unica cultura chiusa in se stessa.

    Gli scambi e i contatti con differenti culture sono inevitabili.

    Tuttavia, non è più sufficiente un approccio multiculturale, che mette in atto soltanto una netta separazione fra le diverse culture, senza riconoscerle e valorizzarle.

    È proprio in questa situazione che risulta fondamentale promuovere un approccio pedagogico interculturale.

    Una pedagogia, cioè, attenta alle diversità fra le culture, volta all’interazione reciproca e all’integrazione.

    In questo senso, occorre affrontare il rapporto con le altre culture e con la differenza su due registri distinti:

    • L’accoglienza all’altro come incontro/scontro democratico e non violento;
    • La convivenza con le differenze per contribuire allo sviluppo dei processi di globalizzazione, interdipendenza e comunicazione interpersonale.

    Da una società multiculturale a una società interculturale

    Passare da una società multiculturale a una interculturale non è però automatico, per il semplice motivo che la cultura multiculturale risulta ormai da tempo consolidata.

    Ad impedire la costruzione di una società disponibile al confronto e allo scambio culturale, vi sono  atteggiamenti contradditori e resistenze messe in atto dalla popolazione autoctona.

    Infatti, il passaggio da una società multiculturale, caratterizzata dalla presenza di culture tra loro separate, ad una società interculturale, caratterizzata invece da interazione e integrazione delle differenze fra le varie culture, richiede un preciso progetto pedagogico.

    Un progetto cioè finalizzato alla costruzione e allo sviluppo di un pensiero:

    • Aperto e flessibile;
    • Problematico;
    • Antidogmatico;
    • Decentrato dai propri riferimenti mentali e morali.

    Tale pensiero sarà in grado di riconoscere e comprendere le differenze e le analogie con le altre culture.

    Oggi l’intercultura rappresenta il più alto grado di civilizzazione e va perseguita, nella società e nelle scuole, secondo l’approccio che assume la “diversità come normalità”, capace di introdurre l’educazione interculturale come progetto trasversale e interdisciplinare, a scuola e in famiglia.

    L’intercultura

    Il termine interculturale indica:

    una situazione di interazione e di integrazione fra le diverse culture, caratterizzata da pluralismo culturale, incontro e confronto democratico.

    Non indica, dunque, soltanto una compresenza su uno stesso territorio, di popoli diversi per etnia, lingua e cultura.

    Non è una realtà statica del fenomeno migratorio, che vede l’esistenza di una pluralità di popolazioni su uno stesso territorio, senza comportare necessariamente confronto, apertura, scambio, reciprocità e incontro.

    L’intercultura presuppone l’idea e l’impegno a ricercare forme, strumenti ed occasioni per sviluppare un confronto e un dialogo costruttivo e creativo.

    E’ infatti un concetto dinamico, che vede la volontà di riconoscere e accogliere le differenze e le diversità senza annullarle, bensì valorizzandole.

    Confronto, dialogo e ascolto

    Pluralismo e differenza possono costituire la base su cui è possibile costruire l’incontro e il confronto con l’altro che, se autentici, scaturiscono nel dialogo, che è insieme capacità di ascolto e di interazione.

    Il dialogo presuppone l’ascolto, vale a dire la capacità di intendere i problemi dell’altro attraverso le “sue” parole e i “suoi” bisogni.

    L’ascolto richiede la capacità di empatia, ossia la capacità di indossare i panni degli altri per vivere l’esperienza dall’altro punto di vista.

    In questo senso, si parla di ascolto attivo, capace, cioè, di porre attenzione alla comunicazione dell’altro senza formulare giudizi.

    È un atto intenzionale che impegna la nostra attenzione a cogliere quanto l’altro ci riferisce sia in modo esplicito che implicito, sia a livello verbale che non verbale.

    Il pensiero interculturale

    L’intercultura è un vero e proprio un modo di essere del pensiero che si conquista a livello di conoscenza, comprensione ed interpretazione dell’alterità.

    Essa infatti implica, e comporta, la pratica di un pensiero plurale e di una relazione ricca e creativa.

    Un pensiero complesso: disponibile a conoscere e a confrontarsi con una pluralità di approcci e punti di vista, non dando niente per scontato e rimettendo in discussione quanto già acquisito.

    Richiede necessariamente apertura e flessibilità.

    Così attrezzato il pensiero costituisce uno strumento efficace per esplorare i livelli di interazione e di integrazione tra le varie lingue e culture.

    Il pensiero interculturale è, dunque, fondamentale per reggere la sfida della complessità e del cambiamento, utilizzando le categorie del confronto e della cooperazione piuttosto che quelle del conflitto e della chiusura.

    La pedagogia interculturale

    Si pone come obiettivo la riflessione sulla diversità culturale e, più in generale, sul tema dell’alterità.

    Si preoccupa di facilitare la conoscenza reciproca e la disponibilità allo scambio e all’incontro, secondo un’ottica di cambiamento.

    Essa lavora, infatti, non solo per l’integrazione, ma anche per l’interazione, riconoscendo così il ruolo ineliminabile delle differenze, per fare in modo che culture diverse convivano senza ignorarsi.

    La pedagogia interculturale educa alla flessibilità cognitiva, aiutando la decostruzione di schemi mentali rigidi, al riconoscimento e all’interazione positiva con la diversità, ed infine alla capacità di convivere con l’incertezza.

    Ha come meta la formazione di persone con le seguenti competenze:

    • Mentali, quali capacità di problem solving, consapevolezza della relatività, contestualità e storicità delle culture;
    • Relazionali, ovvero capacità di confronto e dialogo con l’alterità, interesse per le diversità, capacità di empatia e di messa in discussione;
    • Valoriali, ossia solidarietà, coesistenza pacifica e responsabilità.

    Per questi motivi, l’educazione interculturale deve essere promossa a scuola e in famiglia, per educare le giovani generazioni ad accogliere e riconoscere le diversità.

    Nei prossimi articoli affronteremo sempre il tema della diversità, proponendo strategie e tecniche pratiche per educare alla diversità e viverla come ricchezza e risorsa.

    Bibliografia

    Reggio P., Santerini M, (a cura di), (2013), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci Editore

    Giusti M, (2004), Pedagogia interculturale, Editori Laterza

    Cambi F, (2012), Incontro e dialogo, Prospettive della pedagogia interculturale, Carocci Faber

  • La crescita personale di genitori e figli per superare le difficoltà

    la crescita personale

    Responsabilità, autostima, controllo e pensiero positivo sono ingredienti segreti per implementare la crescita personale di un genitore ma anche per sostenere la crescita dei figli, nel loro percorso di vita.

    Vediamo insieme ciascuno di questi elementi, così come influenza le nostre performance, i nostri comportamenti e le nostre emozioni.

    Come interpretiamo gli eventi

    Nell’articolo sul cambiamento personale abbiamo già visto in che maniera i nostri pensieri influiscono su ciò che ci accade, nel bene e nel male.

    Esiste questo atteggiamento mentale grazie al quale, o a causa del quale, interpretiamo gli avvenimenti e ne determiniamo anche i risultati.

    La potenza del nostro pensiero è davvero importante!

    Pensate a volere smettere di fumare: l’elemento determinante per uscire da una dipendenza è la convinzione mentale.

    Se tuo figlio va sempre male nelle interrogazioni di matematica è possibile che non investa tempo nella preparazione, tanto “andrà male, perché è sempre così”.

    Beh allora spieghiamo ai figli che cambiando alcune convinzioni cristallizzate, anche le loro performance potrebbero cambiare!

    La crescita personale di un genitore deve tenere conto di questo principio, anche per meglio indirizzare il figlio verso una propria crescita a sua volta.

    Pensate positivo!

    Pensate all’effetto placebo: se sono convinto di bere acqua con vitamine mi sentirò più stimolato anche se non c’è nulla dentro a quel bicchiere se non semplice acqua frizzantina!

    Ricordate le profezie che si auto-avverano? Ne abbiamo parlato nell’articolo sulle risorse personali; le nostre percezioni sugli eventi e le convinzioni influenzano gli eventi. Ma in che modo?

    1. Associamo uno stimolo ad una reazione che si ripete in base alla nostra esperienza (davanti al compito di matematica reagisco con chiusura e rifiuto, perché “tanto non va mai bene”);
    2. La percezione che ho del compito è negativa e la mia emozione sarà negativa, provo tristezza, disgusto, paura, rabbia;
    3. Le emozioni provate provocano modificazioni fisiologiche di stress, ansia, tensione;
    4. Vi è una modifica del funzionamento biochimico del cervello, in conseguenza all’attivazione di tali emozioni;
    5. In conclusione, la mia mente e il mio corpo portano ad un fallimento nel compito di matematica!!!

    Percezioni, convinzioni e neuroscienze

    Le convinzioni negative dunque agiscono sul nostro cervello!

    L’emozione comporta cambiamenti nell’organismo animale e umano, che fanno riferimento al sistema nervoso: amigdala ed ippocampo sono le parti del cervello più fortemente influenzate.

    Gli stati d’animo e le emozioni veicolano neurotrasmettitori che modificano il corpo.

    Gli stimoli agiscono sul cervello ed esso si adatta alle esperienze creando continuamente nuovi neuroni.

    L’esperienza crea nel cervello nuove strutture neurali, perciò in ogni situazione simile reagiamo allo stesso modo e col tempo cristallizziamo i nostri comportamenti!

    Consigli pratici per agire sul pensiero

    Nel processo del cambiamento, la crescita personale può partire dai concetti della Mindfulness: i pensieri vanno e vengono, cerchiamo di non reagire ad essi!

    Provate a cercare di distanziarvi dal pensiero negativo per vederlo sparire…

    Proviamo a decentrarci, accettiamo i sentimenti spiacevoli, non ci identifichiamo con essi!

    La crescita personale vostra e dei vostri figli deve proseguire in questa direzione, per riconoscere ed affrontare le difficoltà. Pensate al compito di matematica tanto temuto:

    “Provate a modificare la vostra convinzione, trasformate la percezione e la paura del fallimento in determinazione, e osserverete un cambiamento nel risultato!”

    In soldoni dobbiamo essere convinti che ce la faremo e che le cose andranno bene!! 😉

    Abbiamo parlato del pensiero. Ma per rafforzare la crescita personale di ciascuno di noi, vediamo insieme altri capisaldi: responsabilità, autostima e controllo.

    La responsabilità è nostra

    Per crescere e migliorare le nostre prestazioni dobbiamo avere la convinzione che esse dipendano da noi e dunque la responsabilità degli eventi che ci capitano è esclusivamente nostra.

    Se la causa del nostro fallimento nel compito di matematica è del professore, del poco tempo a disposizione, di un compagno che mi ha distratto, non potrò mai responsabilizzarmi e portare avanti con fermezza il mio cambiamento.

    La crescita personale comincia sempre con un processo di consapevolezza sulle proprie responsabilità.

    Possiamo cambiare e condizionare gli eventi che siamo convinti dipendano da noi.

    Dobbiamo trovare dentro di noi, nel nostro atteggiamento, le cause di un fallimento, per cominciare a cambiare le cose!

    Non c’entra la fortuna, il fato, il caso, una serie di coincidenze che si susseguono.

    Cominciamo da questo, per rafforzare la nostra responsabilità genitoriale e sostenere la crescita personale dei nostri figli.

    D’altro canto, dobbiamo accettare che ci sono delle cose che non possiamo controllare ed è necessario fare intervenire un aiuto esterno, se la situazione è fuori dal nostro controllo; il rischio è un senso di frustrazione e stress e ricordate che ne risponde anche il vostro corpo!

    Forza e coraggio, autostima e auto-efficacia

    Dalla nascita tutti noi sviluppiamo una forte motivazione ad impegnarci nel controllare le cose e ad acquisire nuove capacità.

    È molto importante che i genitori sostengano questo processo nei piccoli, la voglia di scoprire, la curiosità, fare esperienza.

    Come abbiamo detto in un articolo sulla resilienza nei bambini, è importante cadere e rialzarsi da soli, alcune volte, per rafforzare la propria convinzione di farcela.

    È questo il significato del concetto di auto-efficacia, è la convinzione di farcela, di essere efficaci.

    I bambini imparano presto se possono ottenere qualche risultato, oppure no. Come sostengono i pedagogisti:

    “L’auto-efficacia viene trasmessa già ai lattanti, è la fiducia a superare i propri problemi”

    Per favorire la crescita personale di un bambino, questo non deve essere mai inibito o può generare un futuro individuo passivo, scarsamente resistente.

    “Questa responsabilizzazione precoce favorisce lo sviluppo dell’auto-efficacia e della perseveranza”

    Sapere di potere risolvere le cose, di valere, aumenta la propria autostima e motiva al rendimento, aiutando a superare le sconfitte.

    L’impotenza appresa

    Se prendiamo continuamente il controllo delle situazioni difficili che riguardano i nostri figli, non lasceremo mai loro spazio per imparare ad affrontare le difficoltà e una volta nel mondo esterno, non protetto, non saranno in grado di reagire.

    In mancanza di resistenza psichica, un ragazzo prova apatia, azzeramento di auto-efficacia, aumenta la sua vulnerabilità fisiologica: anche in condizione di disagio non fa niente per salvarsi!

    Questo concetto si chiama impotenza appresa: è ciò che imparano i figli in un ambiente spesso iperprotettivo, in cui i genitori impediscono qualsiasi esperienza possa esporli a pericolo, stress e frustrazione.

    Sviluppo dell’autostima, resistenza psicologica, coraggio, responsabilità e pensiero positivo costituiscono la ricetta per un percorso di cambiamento personale.

    Modellare e sviluppare queste caratteristiche già da bambini è il segreto per affrontare serenamente le difficoltà quotidiane, soprattutto nel periodo delicatissimo dell’adolescenza.

  • Risorse personali ed educazione alla resistenza psicologica

    risorse personali

    Il tema delle nostre risorse personali va di pari passo con quello della resilienza o resistenza psicologica.

    Tante sono le difficoltà legate a questa condizione, ma la buona notizia è che noi siamo stati progettati per affrontarla con successo!

    Innata o no, la seconda buona notizia è che si tratta di una capacità che si può sempre migliorare e fortificare.

    È dunque per noi stessi, per il nostro cambiamento personale e per l’educazione ed il sostegno verso i nostri figli che è necessario acquisire questa caratteristica.

    Tra le risorse personali la più… particolare è proprio questa Resilienza, definita come la capacità di piegarsi senza spezzarsi.

    Ed è la mia preferita! 😉

    Conoscete la resilienza….

    Tante sono le risorse personali necessarie per affrontare i momenti più difficili della nostra quotidianità, ma è importante ricordare che dietro ogni “Crisi” si nasconde una “Opportunità”.

    Una Crisi comporta sempre una “Scelta”: singole frustrazioni quotidiane a scuola tormentano i vostri figli oppure hanno dovuto affrontare traumi non da poco, è bene, da genitori, sapere che c’è sempre una via di uscita!

    Una forza che si trova dentro di noi, dentro a ciascun genitore che sta attraversando un periodo di separazione o di divorzio, dinamiche familiari conflittuali o perdite, dentro a ciascun bambino coinvolto in violenza assistita o ragazzo vittima di bullismo.

    Siamo accanto e dentro ai nostri figli: noi conosciamo lo stress lavorativo e loro lo stress scolastico, noi ci misuriamo con le richieste articolate del capo e loro con i risultati scolastici.

    E per affrontare tutto ciò è necessario essere uniti, comunicare in modo funzionale, ascoltarsi ed implementare insieme la resilienza.

    Biogenetica delle risorse personali

    Le risorse personali di ciascuno di noi si apprendono e solidificano attraverso l’esperienza.

    Alcune sono genetiche, ereditarie, trasmesse dai nostri genitori.

    Tutte possono essere potenziate, se ci impegniamo!

    Studi sul cervello

    Bambini che in condizioni iniziali devastate possono sfuggire il destino disastroso, Emmy Werner lo dimostra. Anche se le condizioni di partenza sono tanto brutte, ci sono persone che riescono apprendere il controllo della propria vita.

    Il criminologo Friedrich Losel ha cercato di capire quali possibilità abbiano bambini provenienti da un ambiente sociale difficile di condurre la loro vita in modo diverso nel futuro.

    Ebbene, è stato provato che ci sono bambini che hanno inclinazione a cavarsela bene anche in presenza di condizioni familiari negative!

    Certo, le statistiche sociologiche dimostrano prevalentemente il contrario, ma almeno possiamo negare la correlazione tra maltrattamento in infanzia e disturbi nell’adulto.

    Addirittura è stato dimostrato che alla base di una predisposizione a soffrire più lo stress e dunque ad essere meno resiliente ci sarebbe una modificazione del cervello.

    Da un esperimento su piccoli roditori si è dimostrato che a causa di piccole mutazioni generiche alcuni sono predisposti a male tollerare le avversità della vita, in seguito ad un abuso nell’infanzia.

    Effetti dell’educazione all’affettività

    “La difesa più grande in assoluto nella vita è la formazione”

    I fattori ambientali incidono sulle nostre risorse personali: anche le personalità deboli possono superare le crisi grazie al sostegno del proprio ambiente.

    Anche in un ambiente terribilmente negativo si dà la possibilità di uno sviluppo sano; non tutti i bambini maltrattati diventano a loro volta violenti!

    Questo perché l’educazione ed il sostegno emotivo-affettivo hanno una grandissima potenza nel migliorare la vita dei bambini.

    Una ricerca svolta all’interno di una comunità in Germania ha mostrato che alcuni ragazzi hanno sviluppato, in età adulta, comportamenti violenti o dipendenze.

    Quasi la metà dei ragazzi, quelli che hanno potuto incontrare una buona famiglia affidataria con la quale sviluppare una buona relazione, non ha sviluppato disturbi.

    Di fatti, le maggiori statistiche presentano, in ragazzi abbandonati o cresciuti soli, una maggiore probabilità di diventare vittime croniche o di sviluppare disturbi psichiatrici.

    È negli anni ’80 che i ricercatori sottolineano l’importanza del contatto fisico per un sano sviluppo del bambino!

    Durante un esperimento svolto in un orfanotrofio di Bucarest, alcune famiglie adottive vennero istruite con l’indicazione di dare particolare affetto ed attenzione ai figli adottati.

    Nell’arco di 20 mesi dal Progetto, il Q.I. di questi bambini aumentò e diminuì l’incidenza di disturbi legati a paure e fobie.

    ….Per insegnarla ai vostri figli

    Seneca diceva: “le difficoltà rafforzano la mente, così come il lavoro irrobustisce il corpo”.

    Nella società di oggi siamo concentrati sul tutto e subito, le teorie sociologiche descrivono una società in velocissimo cambiamento, in cui pretendiamo egoisticamente, senza adattarci mai.

    Saper incassare e stringere i denti, incamerare delusioni e sconfitte sono capacità che non esistono quasi più.

    È qui che crescono i bambini di oggi; hanno tutto ciò che vogliono.

    In questa società, sempre più, i genitori adottano modelli educativi di iperprotezione, con la conseguenza di allevare ragazzi impulsivi, aggressivi e insicuri.

    È un istinto naturale del bambino quello di provare a fare le cose da sé: se non sostenuto c’è il rischio che con la crescita egli mostri passività e poca resistenza psicologica.

    Crescendo protetti da tutte le frustrazioni, non sviluppano sufficienti risorse personali; da grandi saranno dunque adulti delusi, che rischiano un vero e proprio trauma a contatto con il mondo esterno.

    Non è necessario per forza privarsi di tutto per coltivare la resilienza, ma come diceva Confucio:

    “Lascia che i figli abbiano sempre un po’ di freddo e un po’ di fame”

    Una certa abitudine e dimestichezza con il disagio e i sacrifici in tenera età aiutano a costruire l’antidoto al senso di frustrazione da adulti.

    Il sostegno delle risorse del bambino si accompagna con il processo di autonomia e responsabilizzazione. Nel mondo reale mamma e papà non ci saranno sempre, dunque:

    “Per ottenere ciò che si desidera è necessario faticare e soffrire un po’. Fattene una ragione, perché non c’è alternativa!”

    Sostenere questo davanti ai vostri figli li aiuta a prepararsi all’adattamento e alle strategie necessarie per fronteggiare tutte le difficoltà della vita.

    La vita non ti vizia!

    Gli studi della psicoanalisi, con Freud, spiegano che, alla nascita, siamo caratterizzati dal “principio del piacere”, per il quale vogliamo vedere realizzati immediatamente tutti i nostri desideri.

    Questo avviene quando un bambino piange e la mamma lo prende in braccio, assecondando il suo bisogno di attenzioni, il bimbo smette di piangere.

    Durante la crescita è necessario però sostituire questo funzionamento con il “principio di realtà”.

    L’educazione genitoriale per lo sviluppo delle proprie risorse personali è davvero determinante per riuscire ad aspettare e sopportare.

    Implementare la capacità di tollerare il disagio e di accettare la fatica è il trucco per aumentare la resistenza psicologica.

    È solo attraverso il lavoro umile, i sacrifici ed i fallimenti, che si impara il rispetto per tutti gli uomini.

  • Cambiamento personale: breve guida per conoscerne i segreti

    cambiamento personale

    In questo articolo vorrei parlarvi di cambiamento personale, sperando di potere rispondere alle vostre necessità personali di cambiamento 🙂

    Parto con un esempio: alcuni genitori ci hanno scritto chiedendoci “mi riconosco come troppo permissivo, come posso fare per modificare questo aspetto?” oppure “come posso rendermi un genitore più aperto e disponibile?”.

    Le nostre caratteristiche di personalità ed i nostri stili comunicativi, di cui abbiamo parlato nell’articolo sulla comunicazione funzionale, in età adulta sono già formati e risultano difficilmente modificabili.

    Quindi, se ho uno stile caratterizzato da reazioni aggressive e mi arrabbio molto quando mio figlio fa i capricci, non potrò mai modificare questo mio atteggiamento?”

    A questa domanda, nello specifico, abbiamo risposto, qualche giorno fa, in questo modo:

    Ogni comportamento può essere modificato in una direzione o in un’altra, ma è importante essere consapevoli che operare un cambiamento personale comporta dei sacrifici, necessita di una dose iniziale di coraggio, tanta fiducia in sé stessi, la convinzione che quel miglioramento porterà a benefici chiari e calcolabili e tantissima motivazione”.

    Dunque non è per niente facile e immediato, ma un cambiamento è sempre possibile!

    Infatti consapevolezza, sacrificio, coraggio, forza di volontà e motivazione sono caratteristiche che possiamo sempre sviluppare o migliorare, ma necessitano di metodo, tempo e costanza.

    Cadere è normale, insomma, ma è importante sempre rialzarsi per raggiungere il proprio obiettivo.

    I fallimenti lungo il percorso che è la vita sono naturali, errare è umano, sbagliare è sano e fortifica la crescita, se guidati nel modo giusto ed è bene accettarli come parte della nostra sfida di cambiamento.

    Dunque SI! caro genitore, puoi modificare il tuo atteggiamento. Vediamo insieme come farlo!

    I segreti del cambiamento personale

    Le abitudini, la quotidianità, le nostre routine, i comportamenti che mettiamo in atto in risposta a determinati stimoli, sono tutti ostacoli al nostro obiettivo di cambiamento.

    I nostri comportamenti, infatti, sono frutto dell’apprendimento, da quando siamo piccoli, dell’imitazione dei nostri adulti di riferimento, dei compagni di scuola e gli amici, che integrano le nostre conoscenze e le nostre idee e inevitabilmente le influenzano.

    Diverse sono le correnti di studio del comportamentismo che ci spiegano come apprendiamo un comportamento da piccoli, in modo più o meno volontario, e come esso viene nel tempo cristallizzato, grazie ai rinforzi che ci vengono proposti.

    Il comportamentismo spiega che, imparando a riconoscere un determinato stimolo, positivo o negativo che sia, durante la crescita apprendiamo, anche attraverso l’esperienza, a reagire ad esso in un determinato modo e così ci abituiamo piano piano ad associare lo stesso stimolo alla stessa reazione.

    E’ così che nascono i comportamenti umani.

    È chiaro che quanto più le abitudini comportamentali sono forti, tanto più sarà difficile mettere in atto un cambiamento personale!

    Ecco perché non ce la fai

    Vorrei analizzare qui alcuni principi che rendono molto più difficile perseguire il nostro obiettivo di cambiamento.

    • A causa del Principio del Verificazionismo siamo portati a cercare qualsiasi prova, affinché la nostra idea e la nostra convinzione siano confermate. La nostra ipotesi rispetto ad un evento viene così convalidata, escludendo ogni altra possibilità.

    Attraverso questo processo di pensiero saremo portati ad effettuare diversi ragionamenti logici, ma ATTENZIONE! È un trucco della nostra mente, un meccanismo inconscio che ci frega!

    Lasciamoci andare a idee differenti, usciamo un po’ dalla nostra zona di comfort!

    E’ importante pensare che esista un’alternativa, così impariamo piano piano a considerare prospettive diverse dalla nostra e smantelliamo le nostre convinzioni, poiché esse ci allontanano dal nostro obiettivo di cambiamento personale.

    • L’Euristica di Pensiero è un modo di pensare automatico, basato sulle esperienze vissute; è una strategia di giudizio che ci porta, ad esempio, a sovrastimare l’accadimento di qualche evento, anche senza avere fatto prima una stima di probabilità.

    Le euristiche di pensiero sono anche definite bias cognitivi: non c’entrano nulla con il pensiero critico logico e con la ragione, bensì si basano su pregiudizi ed ideologie, che semplificano la presa di decisione.

    I bias sono errori, scorciatoie mentali che ci aiutano a convincerci di alcune cose (ad esempio che ce la faremo o no) ma non sono frutto di una valutazione razionale tra pro e contro o tra benefici e costi, bensì trappole mentali.

    • Il fenomeno della Fallacia di Gabler, è la tendenza a dare rilevanza a ciò che ci è accaduto in passato, così che i giudizi attuali risultano completamente influenzati da esperienze passate, da nostri fallimenti pregressi, ad esempio.
    • Il pensiero negativo, è un Bias della Negatività: molto banalmente, è la considerazione di essere portatori sani di una macchietta della sfortuna.. Comincia a cambiare tu stesso per primo il tuo pensiero, vedrai come cambieranno le cose!!!
      Non mi credi?
      Fai una prova!!

    La profezia che si auto-avvera

    Con Profezia che si auto-avvera definiamo una situazione che, solo perché siamo convinti che si verificherà, si realizzerà in concreto di conseguenza.

    Se siamo convinti di non riuscire nel nostro obiettivo di cambiamento personale, bene! ..faremo di tutto per non riuscirci!

    La psicologia sociale ha studiato che le nostre convinzioni hanno una grandissima influenza sulla realtà: gli schemi stabili e rigidi dei nostri comportamenti cristallizzati, orientati in direzione di una nostra convinzione, possono essere profetici!!

    Se dite:

    Non ci riuscirò mai”; “Fallirò come le altre volte”; “Non troverò mai parcheggio”; “Se mangio quel cibo mi verrà sicuramente mal di stomaco”.

    Provate a dire:

    Mi impegno al massimo, sono determinato a riuscirci!”; “Questa volta sarà diverso!”; “Basta impegnarsi, sicuramente troverò parcheggio“; “Non starò sicuramente male questa volta!”.

    E fatemi sapere! 😉

    Come puoi fare: comincia così!

    Ecco alcuni segreti che ti fornisco per cominciare il tuo percorso di cambiamento:

    1. Inizia a cambiare la convinzione che hai di te stesso.

    Sei capace! Puoi farlo! Fai un altro tentativo! Non giudicare mai la tua persona: non dire “sono cattivo” ma ripetiti “ho un comportamento inadeguato”. Convinciti che è necessario cambiare per te stesso, per i tuoi figli e il benessere della tua famiglia.

    1. Fai piccoli passi per volta.

    Non cambierai dall’oggi al domani. Siediti, prendi carta e penna e scriviti i temperamenti e i comportamenti che vorresti cambiare. Riconosci i momenti in cui li metti in atto durante la giornata e crea piccoli step di cambiamento.

    Una cosa alla volta, una regola dopo l’altra, ma fai con calma e monitora ogni miglioramento, premia ogni tuo piccolo successo!

    1. Dialoga con tuo figlio.

    Se la sua età lo permette, spiega a tuo figlio la motivazione del tuo cambiamento personale: perché è importante per te cambiare? Come migliorerà questo il vostro rapporto?

    Includere tuo figlio aiuterà a siglare tra voi un nuovo patto di fiducia; è un atto di umiltà e perché no… di amicizia!

    1. Contattaci!

    Se vuoi misurare le tue abilità educative, chiederci un consiglio sulle tue reazioni o cerchi un sostegno per il tuo percorso di cambiamento, contattaci, scrivici una email!

  • Per una educazione alle emozioni e all’affettività nei bambini

    educazione alle emozioni

    Il tema delle emozioni è senza dubbio uno dei più ampi nel campo delle scienze umane.

    Soprattutto da quando, grazie al contributo degli studi sociologici e psicologici, si è iniziato a considerare le emozioni come la base del comportamento individuale e sociale.

    Le emozioni, infatti, regolano e governano tutti i rapporti umani, permettendo alle persone di aprirsi al mondo e di entrare in relazione con gli altri.

    Per questo motivo, l’educazione alle emozioni è di vitale importanza per promuovere lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti.

    Come promuovere l’educazione alle emozioni?

    Ecco alcuni consigli pratici da utilizzare sia a casa che a scuola.

    La drammatizzazione e la narrazione

    La recitazione è uno strumento privilegiato per sperimentare completamente le emozioni.

    Recitare vuol dire fingere, fingere significa immedesimarsi, ci si può immedesimare solo se si è empatici.

    La drammatizzazione aiuta i bambini a socializzare tra di loro, a lavorare in gruppo, a collaborare e ad aiutarsi.

    Allo stesso modo, la narrazione può essere uno dei momenti più importanti per sviluppare la competenza emotiva del bambino.

    Attraverso la lettura di libri i bambini possono esplorare ed entrare in contatto con il mondo delle emozioni.

    E’ compito dei genitori e degli insegnanti stimolarli nella lettura, con domande costruttive per comprendere le varie emozioni che si incontrano nei personaggi delle storie.

    Il diario delle emozioni

    Attività che può essere svolta sia a casa che a scuola, ma anche in continuità.

    Si richiede ai bambini di annotare su un diario le emozioni che provano, in modo tale che, a fine giornata, è possibile stimolarli con domande, quali: come ti senti? come ti sei sentito in quel momento? cosa hai provato?

    Le domande sulle emozioni provate sono fondamentali per incrementare la comprensione e la verbalizzazione delle emozioni.

    Con i bambini più grandi, invece, si può anche pensare di creare una vera e propria cartellina delle emozioni, in cui possono descrivere le emozioni provate, le cause e le conseguenze.

    Sul diario si annotano, a fine giornata, le emozioni più intense che hanno provato, divise in due colonne: positive e negative.

    Lo scopo è poi sempre quello di capire le cause ed imparare a riconoscere e a gestire le proprie emozioni.

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