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Giulia Piazza

  • Le relazioni familiari: significato ed influenza sullo sviluppo infantile

    relazioni familiari

    Instaurare relazioni con altre persone è uno dei compiti più vitali dell’infanzia ed è anche uno dei primi a comparire.

    E’ evidente come le prime relazioni siano quelle primarie di attaccamento con i genitori: le cosiddette relazioni familiari.

    La natura di queste prime relazioni esercita un’influenza profonda su tutte le relazioni successive, anche nell’età adulta.

    Comprendere la costruzione delle relazioni, dunque, è un elemento essenziale per capire lo sviluppo dei bambini e i loro comportamenti futuri.

    La natura delle relazioni

    Le relazioni, soprattutto quelle familiari, costituiscono un aspetto fondamentale per comprendere le dinamiche personali e i comportamenti.

    Esse forniscono il contesto in cui si sviluppano tutte le funzioni psicologiche.

    Qui il bambino fa le sue prime incursioni nel mondo esterno, acquisisce mezzi di comunicazione e, con il tempo, sviluppa modalità di considerare se stesso in relazione al mondo.

    Le differenze riguardanti proprio la natura delle relazioni che instaura con gli altri, possono avere profonde implicazioni sul percorso evolutivo che il bambino seguirà in futuro.

    Per analizzare, dunque, obiettivamente quello che accade tra le persone occorre tenere presente alcune considerazioni.

    • Le relazioni possono essere solo desunte e non percepite direttamente: la nostra consapevolezza riguarda le interazioni tra le persone.
    • Solo quando le interazioni danno vita a conseguenze coerenti nel tempo, possiamo dedurre l’esistenza di un certo tipo di relazione.
    • Le interazioni sono un fenomeno circoscritto al qui e ora, mentre le relazioni implicano la continuità nel tempo.
    • Una relazione è un qualcosa di più della semplice somma delle interazioni di cui è composta ed ognuna possiede caratteristiche proprie.
    • Le relazioni non sono isolate da altre relazioni, e tendono a formare una rete: il tipo di rapporto esistente tra moglie e marito ha conseguenze chiare sulla relazione che ognuno di essi instaura con il figlio.

    Il ruolo della famiglia

    La famiglia è il primo nucleo sociale per l’educazione dei figli e agisce come fattore di socializzazione.

    La prima esperienza di relazione dei bambini, infatti, ha luogo generalmente nella famiglia.

    Il bambino nasce, vive e cresce nell’ambiente familiare che provvede ai suoi bisogni primari, influenzando il suo sviluppo psichico in modo determinante.

    L’ambiente consente al bambino di trovare le condizioni adatte allo sviluppo della sua personalità, di integrarsi successivamente nella scuola con i pari e di sviluppare la sua indipendenza e la sua autonomia.

    La famiglia favorisce lo sviluppo del linguaggio e incide sullo sviluppo della personalità per due fattori:

    • L’importanza della sua dimensione affettiva, che soddisfa il bisogno di sicurezza e di auto-realizzazione dei figli
    • Per la struttura sociale  delle relazioni interpersonali mediante le quali i figli interagiscono con gli altri e con il mondo esterno.

    Questo gruppo è il primo e fondamentale contesto utile per lo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo del bambino.

    La famiglia introduce il bambino alla convivenza sociale, all’acquisizione delle regole del comportamento interpersonale e adempie alla funzione di fornire una base sicura.

    È proprio all’interno della famiglia che il bambino riceve le prime indicazioni su ciò che è bene fare o non fare, percependo così messaggi riguardo al valore e all’importanza delle proprie azioni.

    E’ dunque il contesto primario e ideale per l’educazione dei bambini.

    Le relazioni familiari e lo sviluppo infantile

    Il rapporto tra genitori e figli è un tassello fondamentale per la crescita e lo sviluppo di un individuo.

    E’ attraverso questa relazione che si scoprono elementi fondamentali della vita, che diventeranno un punto di riferimento, sia in positivo, sia in negativo, per il futuro.

    Il senso di Sé e della propria identità si fondano sulla realtà dei legami affettivi sperimentati a partire dai primissimi anni.

    Ogni neonato possiede capacità innate necessarie allo sviluppo e alla sopravvivenza, determinate a livello biologico e genetico.

    In questo senso, l’ambiente di vita, con la sua azione, può stimolare, modificare o bloccare tali potenzialità.

    Per comprendere lo sviluppo infantile, l’ambiente più importante da considerare è la famiglia, poiché al suo interno avviene quasi tutto il processo di crescita e maturazione dell’individuo.

    Sulla base del comportamento pratico dei genitori o di chi si prende cura di lui, il bambino forma l’idea basilare di se stesso nel mondo e costruisce i modelli interni di Sé e degli altri.

    Questi modelli sono importantissimi perché rappresentano la mappa interiore attraverso cui il minore si orienterà nelle esperienze future.

    L’influenza delle relazioni familiari conflittuali

    La struttura della famiglia ha un ruolo molto meno significativo rispetto al suo funzionamento.

    Le variabili strutturali esercitano un’influenza limitata sul risultato psicologico del bambino.

    Molto più importante è, invece, la qualità della relazione che intercorre tra qualunque individuo che compone l’ambiente domestico.

    Un evento che può avere particolari effetti sullo sviluppo dei bambini è la separazione o il divorzio dei genitori.

    Durante e in seguito alla separazione, i genitori hanno un ruolo determinante: devono reggere con efficacia il mondo interiore proprio e quello dei figli, poiché il loro comportamento influenza l’intero sistema parentale.

    Ad influenzare maggiormente, e negativamente, lo sviluppo dei figli, non è tanto la separazione in sé, quanto piuttosto l’esposizione ad un ambiente caratterizzato da alta conflittualità.

    Il conflitto tra i genitori è il fattore fondamentale che danneggia lo sviluppo dei figli e genera in loro problemi di comportamento.

    E, nella maggior parte dei casi, tale conflitto può precedere di anni la separazione.

    Il conflitto prolungato crea un clima familiare più teso e i due genitori, occupati a litigare, sono meno disponibili con i figli.

    Inoltre, il conflitto genera tensione emotiva e dolore ma i bambini per crescere in serenità hanno bisogno di vivere in ambienti armonici.

    E’ più importante che i genitori non siano in conflitto, piuttosto che siano insieme: il bene dei figli lo fa una coppia genitoriale non conflittuale.

    Le relazioni familiari, dunque, possono influenzare, negativamente o positivamente, lo sviluppo infantile dei bambini, e sono alla base di tutti i loro comportamenti o atteggiamenti futuri.

    L’educazione familiare, in questo senso, può essere di grande aiuto e sostegno ai genitori: contattateci o scriveteci!

  • L’educazione alla libertà come pratica di educazione alla vita

    educazione alla libertà

    Maria Montessori nel 1909 pubblica “Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini” che rimarrà alla base di tutta la pedagogia moderna.

    Questo metodo mette al centro il rispetto per la spontaneità del bambino ed è il primo a offrire un’alternativa all’educazione autoritaria dell’epoca.

    Di seguito vengono presentate le caratteristiche e i principi di questa “educazione alla libertà” proposta da Maria Montessori nel suo famoso Metodo.

    Il Metodo Montessori ha, infatti, rivoluzionato completamente la concezione d’istruzione ed educazione del bambino, dimostrandosi, ancora oggi, estremamente attuale ed efficace.

    Il metodo Montessori

    E’ una disciplina il cui obiettivo è quello di dare libertà al bambino di manifestare la sua spontaneità.

    La vera salute fisica e mentale è il risultato della “liberazione dell’anima”: in questo percorso di liberalizzazione del bambino, l’adulto deve intervenire solo per aiutarlo a conquistarla.

    L’adulto, dunque, deve essere un “angelo custode” che osserva e non interviene quasi mai: deve rispettare il bambino che commette errori e guidarlo a migliorarsi da solo.

    Interferendo sul suo operato, l’adulto gli toglierà la dignità e la libertà di riuscirci da solo e non gli darà la possibilità di correggersi in autonomia.

    Non interferire permetterà al bambino di autocorreggersi e pensare a soluzioni per risolvere eventuali ostacoli.

    Mai aiutare un bambino mentre sta svolgendo un compito nel quale sente di poter avere successo!

    L’educazione alla libertà come educazione di vita

    Il principio fondamentale dell’educazione è quello della libertà, dell’autonomia e dell’indipendenza.

    Secondo questa prospettiva il bambino viene visto come un essere completo, dotato naturalmente di una energia creativa, innata e affettiva: un piccolo adulto e una persona pensante già da piccolissimo.

    I bambini non devono essere semplicemente indirizzati e guidati dagli adulti; devono piuttosto essere lasciati liberi di esplorare e scoprire da soli il mondo circostante.

    Devono, cioè, essere educati all’indipendenza, per allenare le proprie capacità ed inclinazioni personali.

    Fondamentale è lasciarli liberi di esplorare, scoprire e imparare da soli, senza forzarli in alcun modo.

    Per educare i bambini ad essere autonomi, gli adulti, infatti, non devono intervenire ed aiutarli mentre stanno svolgendo un compito.

    Ciò significa vigilare sulla loro sicurezza ma intervenire il meno possibile: guidarli senza condurli in ogni azione e movimento.

    I bambini non devono essere “serviti” dai genitori, bensì educati a fare da soli e a compiere da soli le loro conquiste.

    Devono imparare a responsabilizzarsi, per prendere coscienza delle loro azioni.

    Educare i bambini al silenzio

    Il silenzio nella pedagogia ha un valore molto importante e profondo, ed è un mezzo molto prezioso per crescere ed educare i bambini.

    Ogni individuo, adulto o piccolo che sia, ha bisogno del silenzio per riposare, rigenerarsi ma anche riflettere, concentrarsi e capire.

    Il silenzio è, infatti, la quiete dei sensi: trasmette quella “giusta” tranquillità che permette al corpo e alla mente di rigenerarsi.

    Il rumore, al contrario, ha degli effetti devastanti sul nostro organismo: ci distrae, ci stanca, ci confonde e ci agita.

    Nei bambini tali effetti sono amplificati e il rumore rappresenta un pesante ostacolo, non solo al loro stesso sviluppo sensitivo ma anche al loro benessere generale.

    Il silenzio permette così ai bambini di riequilibrarsi.

    Fargli vivere ogni giorno un pò di sano silenzio gli permette di apprezzarlo, di capirne il significato e il valore e sopratutto gli permette di riflettere sul rapporto che hanno con loro stessi e con gli altri.

    I bambini non devono temerlo, ma conoscerlo e apprezzarlo per saperne trarre tutti i benefici che esso comporta, ovvero:

    • La concentrazione;
    • Il saper ascoltare;
    • La meditazione;
    • Il rapportarsi con gli altri;
    • La comprensione;
    • La calma.

    Educare i bambini al contatto con la natura

    La natura può fortemente influenzare e potenziare lo sviluppo e l’educazione dei bambini.

    Nella società l’uomo “civilizzato” è costretto in limiti e restrizioni che si ripercuotono inevitabilmente anche nella vita del bambino.

    Grazie alla natura è possibile riportare agli occhi del bambino la vita libera che segue la natura stessa.

    Osservare, studiare e vivere la natura sono gli obiettivi del Metodo Montessori.

    Il bambino a contatto con la natura riesce a sviluppare le percezioni su ciò che lo circonda e instaura una moralità importante verso la cura e la vita della natura stessa.

    Nell’infanzia il bambino è un vero ed ottimo osservatore che può assimilare moltissimo da un contatto importante e diretto con la natura.

    Permettere al bambino di curare la natura risponde ad uno dei suoi desideri ed istinti più forti: rendersi pienamente attivo alle cure di qualcosa.

    Moltissime sono le attività che possono essere utilizzate per permettere un contatto diretto con la natura, quali:

    • Ripulire lo spazio esterno dalle foglie secche cadute;
    • Ripulire le aiuole da foglie, fiori o rami rovinati;
    • Raccogliere i frutti da alberi e piante;
    • Raccogliere, riconoscendo gli odori, diverse erbe aromatiche;
    • Seminare e curare un piccolo orto dove raccogliere poi i suoi frutti e imparare a conoscerli.

    L’ambiente a misura di bambino e i materiali sensoriali

    La predisposizione dell’ambiente educativo riveste un ruolo primario per lo sviluppo, con l’utilizzo di materiali selezionati sempre a portata del bambino.

    Un ambiente che riproduce quello di vita naturale, assecondando il movimento, la scoperta, la libertà di scelta del materiale da utilizzare, svincolato dalla necessità di imposizione dell’educatore o da vincoli di tipo strutturale.

    Ciò consente il rispetto dei tempi di sviluppo di ciascuno e accompagna una solida acquisizione di competenze fondata sulla conquista attraverso le proprie capacità personali.

    Maria Montessori iniziò col progettare e preparare diversi materiali sensoriali: oggetti aventi lo scopo specifico di favorire l’esercizio e lo sviluppo dei cinque sensi dei bambini.

    I materiali sono diversificati in base alla fascia d’età dei bambini e sono proposti gradualmente a seconda delle capacità acquisite.

    Per un “corretto utilizzo” di questi oggetti, rimane fondamentale sempre il ruolo dell’adulto che deve lasciare libero il bambino di manifestare la sua spontaneità senza interferire sul suo operato.

    Sarà la manipolazionel’esplorazione e la concentrazione stessa del bambino sull’oggetto a sviluppare le sue abilità.

    L’adulto deve rispettare sempre le sue scelte, i suoi tempi e i suoi ritmi. Deve permettere al bambino di muoversi liberamente e in “autonomia” di autocorreggersi.

    Di seguito, vengono presentati e proposti  alcuni esempi di materiali che potete utilizzare per lo sviluppo sensoriale dei vostri bambini, sulla base dei cinque sensi.

    Lo sviluppo della vista

    Il senso della vista riveste un ruolo primario nella comunicazione.

    L’occhio riesce a percepire le forme, la profondità, la distanza, i colori, il movimento stesso attraverso gli oggetti che lo circondano.

    Vi propongo la torre rosa, composta da dieci cubi decrescenti, in grado di coadiuvare lo sviluppo percettivo della tridimensionalità, della geometria e dell’impatto del colore.

    Lo sviluppo del tatto

    Il tatto per il bambino è un altro importante strumento che gli permette di conoscere ed esplorare sé stesso e l’ambiente circostante.

    Come materiale vi propongo le tavolette tattili, del liscio e del ruvido, molto utili per stimolare i bambini a riconoscere le caratteristiche fisiche dei vari materiali.

    Lo sviluppo dell’udito

    I bambini amano ascoltare i suoni già da quando sono neonati.

    E’ molto importante per loro affinare l’udito e imparare a riconoscere i diversi suoni presenti nell’ambiente.

    Per sviluppare tale senso vi propongo i cilindri dei rumori, che permettono di sviluppare e affinare la percezione sulla differenza di un suono.

    Lo sviluppo dell’olfatto e del gusto

    Affinare questi sensi permetterà al bambino di imparare a riconoscere i vari odori e ad apprezzare ogni sapore.

    Come materiali sensoriali molto interessanti sono le boccette degli odori o sacchetti profumati, con odori differenti che il bambino dovrà riconoscere e associare tra loro.

    Similmente troviamo le boccette del gusto, contenenti i quattro sapori principali, dove il bambino deve assaggiare i sapori, riconoscerli e abbinare le bottigliette con lo stesso sapore.

    Rispettare la spontaneità del bambino è uno snodo cruciale per una buona educazione ed una crescita armoniosa di vostro figlio.

    Vi consiglio di consultare questo sito interamente dedicato ai giochi montessoriani, cliccate su questo link!

  • L’educazione tra pari a scuola: caratteristiche e vantaggi

    Sapete cosa si intende con il termine “educazione tra pari” o “peer education”?

    E’ un processo di apprendimento innovativo che vede gli studenti come protagonisti attivi del loro apprendimento.

    Gli studenti, in questo modo, sono maggiormente coinvolti e più motivati ad imparare, rispetto alla modalità di insegnamento tradizionale.

    Le metodologie didattiche utilizzate sono innovative e prevedono la partecipazione attiva dei ragazzi con attività partecipative e pratiche.

    I vantaggi dell’educazione tra pari nell’apprendimento sono notevoli.

    Le relazioni tra pari 

    Facciamo un passo indietro e vediamo insieme l’importanza delle relazioni tra pari nello sviluppo. 

    Quando crescono, i bambini, si avventurano in una gamma sempre più vasta di relazioni interpersonali. 

    Tra queste i legami costruiti con i coetanei svolgono un ruolo particolarmente significativo nella vita dei bambini. 

    In tutte le culture, infatti, i bambini trascorrono una grande quantità di tempo in compagnia dei pari 😉

    Questo aspetto suggerisce che le relazioni tra pari possono avere un’influenza notevole sulle forme di comportamento e di pensiero

    Alcuni studiosi hanno anche suggerito l’idea che la socializzazione abbia luogo prevalentemente nel gruppo dei pari!

    Questa può essere un’esagerazione. 

    Una conclusione più plausibile è quella secondo la quale i genitori e i pari adempiono a funzioni diverse, e ognuno ha un ruolo preciso da svolgere per soddisfare esigenze specifiche nella vita dei bambini. 

    Le relazioni orizzontali

    Possiamo suddividere le relazioni in due categorie: orizzontali e verticali.

    Le relazioni verticali si instaurano con una persona che detiene conoscenza e potere in misura maggiore rispetto al bambino, come un genitore o un insegnante.

    Le relazioni orizzontali, invece, sono quelle che intercorrono tra individui con lo stesso grado di potere sociale. Hanno carattere di uguaglianza e le interazioni sono tendenzialmente reciproche, invece che complementari.

    I ruoli possono essere invertiti, perché i partner hanno abilità simili.

    La funzione delle relazioni orizzontali consiste nell’acquisire abilità che possono essere apprese solo tra pari, come quelle che implicano la cooperazione e la competizione.

    L’educazione tra pari si basa sulle relazioni orizzontali.

    Educazione tra pari e sviluppo sociale dei bambini

    Sociale in riferimento alla costruzione del Sé, un tentativo di rispondere alla domanda più importante di tutte “chi sono io?”.

    Il senso del Sé si costruisce nel contesto relazionale, all’inizio con i genitori, in seguito sempre più di frequente con i pari.

    L’opinione dei pari sul bambino e il modo in cui si comportano nei suoi confronti hanno un’enorme importanza, a partire dall’età prescolare fino all’adolescenza.

    All’interno del gruppo dei pari il bambino scopre qual è il ruolo sociale adatto a un certo individuo.

    Educazione tra pari e sviluppo intellettuale

    Anche le influenze dei pari sullo sviluppo intellettuale dei bambini sono notevoli.

    L’idea che i bambini acquisiscano conoscenze solo dagli adulti è una semplificazione troppo grossolana!

    Prendiamo come esempio la ricerca sull’educazione tra pari o collaborazione tra pari.

    Esistono attualmente molte prove del fatto che quando i bambini affrontano un problema in gruppo progrediscono nella comprensione del problema stesso più di quanto non accada quando cercano di risolverlo da soli.

    Mettiamo due bambini, ugualmente ignari della questione, a confronto su un problema intellettuale che devono risolvere. Non sono presenti insegnanti che possono aiutarli.

    La relazione è basata sull’interesse condiviso.

    Grazie, dunque, allo scambio di idee, alla discussione attiva e alla condivisione delle loro prospettive, i bambini raggiungono alla fine una soluzione a cui nessuno dei due sarebbe arrivato se avesse lavorato da solo.

    L’apprendimento qui è una questione di scoperte a cui si giunge insieme.

    La collaborazione tra pari rappresenta uno strumento molto efficace nell’apprendimento.

    Bibliografia

    Shaffer H. “Psicologia dello sviluppo. Un’introduzione”, Raffaello Cortina Editore, 2014

  • Educare alle emozioni a scuola: attività e metodologie

    educare alle emozioni a scuola

    Le emozioni svolgono un ruolo essenziale nella vita di tutti noi, influenzando il nostro comportamento e i nostri modi di agire.

    Per questo motivo, è fondamentale educare i bambini a riconoscere e gestire la propria emotività: aiutarli cioè nella scoperta delle loro emozioni.

    I bambini devono imparare a riconoscere tutti i tipi di emozioni, anche quelle negative, come rabbia e tristezza, dare loro un nome, accettarle ed esprimerle.

    Questo contributo si rivolge sia agli insegnanti che ai genitori, per offrire consigli, buone pratiche, attività per educare i bambini alle emozioni a scuola e a casa.

    Le emozioni: cosa sono e a cosa servono

    Le emozioni nascono e si manifestano in maniera spontanea e involontaria, “capitano” senza lasciare alla persona la possibilità di decidere quale provare e quando

    Si generano in base ai significati e ai valori che ognuno di noi attribuisce ad un determinato evento e divengono così la conseguenza di un processo di valutazione.

    Dunque, possiedono una forte componente situazionale che pone in evidenza la dimensione soggettiva e personale dell’esperienza.

    Per questo variano da persona a persona e possono cambiare.

    Inducono un’attivazione generale dell’organismo con la comparsa di reazioni motorie, fisiologiche ed espressive precise e rilevanti.

    Possono essere definite, infatti, come uno schema composto da aspetti fisiologici, comportamentali e da aspetti di pensiero.

    Le emozioni esercitano le funzioni di:

    • Preparare il soggetto all’emergenza o ad affrontare le situazioni impreviste;
    • Far percepire alla persona le sensazioni buone o cattive provocate da alcuni eventi;
    • Far conoscere agli altri il proprio stato emotivo.

    Le emozioni ci aiutano a leggere cosa ci succede: sono la nostra prima finestra sul mondo.

    La capacità di riconoscere le nostre emozioni, di viverle in modo consapevole, ci permette di comprendere non solo quello che accade dentro di noi, ma anche quello che accade attorno a noi.

    Una parte importante del vantaggio delle emozioni, sta nella capacità di nominarle e descriverle.

    La consapevolezza aiuta la conoscenza del mondo e di se stessi nella misura in cui io riesco, attraverso di essa, a dare parole alle emozioni stesse.

    Le emozioni primarie e secondarie

    Le emozioni primarie sono una risposta automatica e istintiva agli stimoli esterni e vengono espresse da tutti allo stesso modo: sono innate e universali.

    Quelle secondarie invece hanno origine dalla combinazione delle emozioni primarie, e si sviluppano con la crescita e l’interazione sociale: sono complesse e sociali.

    Sono, quindi, delle emozioni più complesse e hanno bisogno di più elementi esterni o pensieri eterogenei per essere attivate.

    Le emozioni primarie o di base sono:

    1. Rabbia, generata dalla frustrazione che si può manifestare attraverso l’aggressività;

    2. Paura, emozione che ha come obiettivo la sopravvivenza del soggetto ad una situazione pericolosa;

    3. Tristezza, si origina a seguito di una perdita o da uno scopo non raggiunto;

    4. Gioia, stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri;

    5. Sorpresa, si origina da un evento inaspettato, seguito da paura o gioia;

    6. Disprezzo, sentimento e atteggiamento di totale mancanza di stima e disdegnato rifiuto verso persone o cose, considerate prive di dignità morale o intellettuale;

    7. Disgusto, risposta repulsiva caratterizzata da un’espressione facciale specifica.

    L’importanza di educare alle emozioni

    Le emozioni determinano la nostra relazione con il mondo.

    Quando nasciamo, non abbiamo sviluppato né il pensiero né il linguaggio, né tanto meno possiamo pianificare quello che facciamo, ma nonostante questo, le emozioni ci permettono di comunicare e di identificare quello che è positivo e negativo per noi stessi.

    Attraverso il pianto, il sorriso o dei comportamenti rudimentali ci relazioniamo con il mondo e con il resto delle persone.

    Le emozioni ci apportano informazioni sulla relazione che abbiamo con l’ambiente circostante.

    Le emozioni sono come un sistema di allarme che si attiva quando individuiamo qualche cambiamento nella situazione che ci circonda.

    Durante l’infanzia provare emozioni positive spesso favorisce il possibile sviluppo di una personalità ottimista, confidente ed estroversa, mentre avviene il contrario se si provano emozioni negative.

    Un’adeguata educazione emotiva, dunque, permetterà di acquisire destrezza per la gestione degli stati emotivi, di ridurre le emozioni negative e di aumentare in buona parte le emozioni positive.

    In questo senso possiamo citare, ad esempio, il saper risolvere in maniera positiva i conflitti, il mettere da parte una frustrazione a breve termine in cambio di una ricompensa a lungo termine, e il gestire gli stati d’animo per motivarci.

    Educare alle emozioni a scuola

    La scuola ha un ruolo centrale nell’educazione emotiva.

    Per educazione emotiva si intende la capacità di riconoscere e comprendere le emozioni, dominarle senza reprimerle, a trasformarle in uno strumento prezioso per la conoscenza dell’altro da sé, in sintesi, a gestirle.

    La formazione emotiva avviene inizialmente in famiglia ed in stretta collaborazione, poi, con la scuola.

    La scuola è lo spazio ideale per lavorare sulle emozioni, perché è il luogo in cui la maggior parte degli individui passa più tempo negli anni fondamentali della propria formazione e perché quel tempo è molto significativo in termini di trasmissione di valori, oltre che di conoscenze.

    L’educazione emotiva in aula non deve diventare una disciplina a sé, rigidamente intesa, da aggiungere alle materie curricolari e per la quale l’insegnante sia chiamato a trovare il tempo, il luogo e i materiali necessari al fine di sviluppare e portare a termine il programma.

    Deve e può, invece, diventare una compagna di strada dei saperi cognitivi, dello sviluppo delle competenze e delle abilità.

    In tutto questo il compito fondamentale spetta agli insegnanti che devono essere in grado di attivare, costruire, implementare nei bambini le capacità di identificare, gestire e modulare il loro mondo emozionale interno.

    Consigli e buone pratiche

    Ancora una volta le storie, le fiabe, sono protagoniste.

    Le storie sono strumenti molto utili per arrivare al cuore dei bambini, per mettere in atto l’educazione emotiva e promuovere l’apprendimento del linguaggio delle emozioni.

    Una risorsa per me molto innovativa che vi propongo è il libro l’Emozionario: dimmi cosa senti, nell’edizione del 2015 di Scalabrini e Pereira, in versione illustrata.

    E’ una sorta di dizionario delle emozioni, contenente 42 voci, ciascuna riferita ad una emozione e accompagnata da un’illustrazione che rappresenta l’emozione e da una breve descrizione delle caratteristiche della stessa.

    In questo modo, i bambini inizieranno a comprendere, dare un senso, riconoscere le emozioni ed imparano piano piano, con il sostegno degli adulti, a gestirle, verbalizzarle ma soprattutto a regolarle.

  • Diversità e inclusione: due concetti da insegnare ai bambini

    diversità e inclusione

    Sentiamo spesso parlare di diversità, inclusione e integrazione, a scuola ma anche nella vita di tutti i giorni.

    Sono concetti fondamentali per l’educazione e per la società, che devono essere conosciuti, padroneggiati ed utilizzati da tutti noi, giovani e adulti.

    Ma cosa significano realmente? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

    La diversità spiegata ai bambini

    I bambini notano le differenze. 

    I bambini sono attenti osservatori e percepiscono odori diversi, colori diversi, forme diverse.

    A differenza di noi adulti, però, i bambini, notano le diversità ma non giudicano.

    Fanno domande, certamente, ma perché sono curiosi, e vogliono sapere: perché io sono bianco e lui è marrone? Perché io cammino e lui usa la carrozzina? Perché a casa mia non vive un papà e a casa sua sì?

    Come parlare di diversità

    Teniamo sempre presente che dalle differenze possono nascere nuove opportunità di crescita e di sviluppo.

    E’ importante, per questo, parlare delle diversità, non nasconderle o accettarle incondizionatamente.

    Se i bambini vi pongono domande del tipo “perché lui è diverso da me?” rispondetegli sinceramente, con onestà e tranquillità, in modo semplice e rispettoso.

    Rispondete loro dicendo che tutti noi siamo unici: abbiamo tutti un diverso aspetto, dei gusti diversi, dei diversi modi di fare, dei diversi interessi.

    Trovare due persone uguali uguali è davvero impossibile!

    Vedrete, la comprensione dei bambini vi stupirà 😉

    Fingere che le diversità non esistono è controproducente per la crescita dei bambini.

    Elmer, l’elefante variopinto: un modo per spiegare la diversità ai bambini

    Di grande aiuto per parlare di diversità sono proprio i libri.

    Oggi vi propongo la storia di Elmer, l’elefante variopinto, di David Mckee.

    I colori qui diventano sinonimo di diversità e la diversità è ciò che rende speciale Elmer. 

    Elmer, infatti, invece di essere del solito color elefante, è di tutti i colori: rosa, rosso, arancione, verde, blu… e questo lo rende unico e speciale 😉

    Ogni tanto si sente diverso dagli altri e vorrebbe assomigliare al resto degli elefanti.

    Ma cosa succederebbe se, per un giorno, Elmer diventasse tutto grigio?

    Questo è solo una delle tante illustrazioni per bambini che possono essere utilizzate per spiegare temi importanti come la diversità: ce ne sono tantissimi, usateli!

    Essi sono molto utili per acquisire uno sguardo interculturale, o per meglio dire un atteggiamento curioso, accogliente, aperto a tutto ciò che è diverso, divergente, nuovo.

    Contattateci per condividere o richiedere progetti ad hoc sui temi della diversità! 😉

  • Per un uso consapevole dei social network: buone pratiche e strategie

    uso consapevole dei social network

    Siamo ormai consapevoli della grande diffusione e della grande influenza che i media hanno su ognuno di noi, anche su bambini e adolescenti.

    Negli articoli precedenti abbiamo affrontato i rischi dei social network, primo fra tutti il cyberbullismo, ma anche potenzialità e i benefici.

    Se usati coscientemente, infatti, i social media possono aiutarci in molti aspetti della vita quotidiana: la ricerca di informazioni, la condivisione e la comunicazione.

    Per questi motivi è fondamentale educare i giovani ad un uso consapevole dei social network, imparando a districarsi tra i vari linguaggi dei media ed imparare ad approcciarsi con essi in maniera corretta.

    Educare ad un uso consapevole dei social network

    Fondamentale, per raggiungere questo scopo, è conoscere la Media Education, ampiamente trattata negli articoli precedenti, che vi consiglio di leggere! 😉

    Con Media Education si intende un’attività di tipo didattico ed educativo finalizzata a sviluppare negli studenti la capacità di:

    • Comprendere i diversi media e le varie tipologie di messaggi;
    • Utilizzarli correttamente, saper interpretare in maniera critica il messaggio;
    • Essere in grado di generare un messaggio e quindi usare in maniera propositiva i media.

    Ciò comporta la promozione di un ruolo attivo e di un atteggiamento critico negli studenti, con lo scopo di formarli alla necessaria competenza mediale.

    La Media Education è “esplosa” con la diffusione, su scala mondiale, di Internet e dei social media, ormai onnipresenti e indispensabili.

    Siamo tutti ormai consapevoli del fatto che Internet è uno strumento indispensabile, che non dobbiamo guardare con sospetto o con atteggiamenti di chiusura.

    Possiamo invece parlarne, conoscerlo e “imparare a conviverci” utilizzandolo in modo educativo, critico e consapevole.

    Pensare alla rete e al mondo virtuale come un ambiente da conoscere in tutte le potenzialità e rischi, per educare i propri figli ad un utilizzo consapevole.

    Conoscere cioè tutti quegli aspetti che riguardano la sicurezza informatica, la privacy, i videogiochi adatti all’età, i rischi dei social network.

    Utilizzare il web in famiglia: consigli e buone pratiche

    Vogliamo ora fornirvi alcuni consigli che potete utilizzare in casa con i vostri figli, per educarli ad un utilizzo consapevole di Internet.

    Come prima cosa, spiegate ai vostri figli come funziona la Rete internet ed il web, rispondendo sempre ai loro dubbi.

    Stabilite poi delle regole chiare e precise sull’utilizzo di Internet.

    Definite, insieme ai vostri figli, in modo condiviso, dei momenti per utilizzare le tecnologie e rispettateli.

    Spiegate ai vostri figli che Internet può essere utilizzato in modo consapevole, utile e critico, per esempio per fare una ricerca per la scuola o come sostegno allo studio, e non soltanto per giocare 😉

    Educateli, infine, anche ai rischi e alle diverse situazioni  che potrebbero trovare in rete, così saranno preparati e, in caso di pericoli, sapranno come comportarsi.

    Se volete approfondire con noi queste tematiche, contattateci o scriveteci!

  • Il cyberbullismo a scuola: l’aggressività e le nuove tecnologie

    cyberbullismo a scuola

    Abbiamo visto, negli articoli precedenti, come la diffusione delle nuove tecnologie, in particolare di Internet, è accompagnata da messaggi ambivalenti.

    Da una parte si sottolinea la sua utilità per migliorare le pratiche quotidiane, dall’altra, invece, si enfatizzano i rischi implicati nel loro utilizzo.

    Il maggiore di questi rischi è senz’altro rappresentato dal cosiddetto bullismo elettronico, meglio conosciuto come cyberbullismo.

    In questo articolo approfondiremo il cyberbullismo a scuola, confrontandolo con il bullismo tradizionale, cercando di capire quali sono i fattori determinanti e le caratteristiche.

    Il bullismo elettronico

    Il bullismo elettronico è un fenomeno nuovo e, purtroppo, ancora poco approfondito.

    Al centro della sua definizione vi è sicuramente il fatto di utilizzare strumenti elettronici, come il computer e il cellulare, per molestare, ferire o diffamare altre persone.

    Si tratta quindi di un comportamento offensivo, ostinato e ripetuto, ma soprattutto intenzionale.

    Una forma di violenza, principalmente psicologica, nascosta, che viene perpetuata dietro uno schermo. 

    Ad esempio, si ha bullismo elettronico quando vengono inviati contenuti offensivi o foto imbarazzanti via email oppure messaggi con l’intento di deridere o minacciare. 

    Sicuramente la caratteristica principale di tutti questi fenomeni è l’anonimato, reso possibile dallo strumento tecnologico.

    Gli elementi caratteristici, come per il bullismo, sono i seguenti:

    • Intenzionalità: non è un comportamento accidentale ma volontario;
    • Ripetizione: non è un episodio isolato ma è reiterato nel tempo;
    • Anonimato: la vittima non sa chi ha inviato l’offesa;
    • Danno: provoca sempre un disagio negativo alla vittima;
    • Strumento o tecnologie elettroniche: cellulare e computer.

    Il profilo dei protagonisti

    I protagonisti del cyberbullismo sono tre:

    • I cyber bulli: chi commette l’azione offensiva;
    • Le cyber vittime: chi subisce l’azione;
    • Gli spettatori: chi assiste all’azione.

    Come anticipato, la caratteristica principale è l’anonimato.

    Il bullo, infatti, si sente sicuro e protetto dall’anonimato possibile attraverso la rete Internet. 

    Le vittime non conoscendo il loro aggressore, la maggior parte delle volte non riescono neppure a difendersi. 

    Il caso di Alice

    Alice oggi ha 15 anni ma è dall’età di 11 anni che è vittima di comportamenti aggressivi da parte dei suoi compagni di classe.

    E’ una ragazza molto sensibile, timida, introversa; si è sempre sentita a disagio per essere un pò in sovrappeso.

    Va molto bene a scuola, prende buoni voti, risponde sempre alle domande dei professori.

    Circa un mese dopo l’inizio della scuola comincia ad essere presa di mira da un bulletto con il suo gruppo: la disturbano con prese in giro e nomignoli, le lanciano palline di carta in aula, le rompono i quaderni, le svuotano o nascondono l’astuccio.

    Questi comportamenti continuano per mesi, fino a peggiorare passando, come succede nella maggior parte dei casi, dal bullismo tradizionale a quello elettronico.

    Un giorno, durante l’ora di educazione fisica, le scattano una fotografia che viene postata sui social network, con commenti denigranti e offensivi.

    Alice ne soffre tantissimo, non vuole più andare a scuola, comincia a sentirsi inadatta e sbagliata.

    Segue però il prezioso consiglio della sorella maggiore “Alice, più dimostri di essere vulnerabile, più loro continueranno, fagli vedere che sei superiore alle loro prese in giro e smetteranno, fidati”.

    Dopo qualche tempo il gruppo smette di prenderla in giro e Alice comincia a riacquistare fiducia in sè stessa e autostima.

    Oggi Alice frequenta il secondo anno di liceo: è più forte, socievole ed espansiva, va sempre bene a scuola, ha molte amiche e si sente parte della classe.

     
    Noi possiamo aiutarvi ad affrontare questa situazione: contattateci o scriveteci!!

    Bibliografia

    Menesini E, Nocentini A, Palladino E. B, (2017), Prevenire e contrastare il bullismo e il cyberbullismo, Editore Il Mulino

    Buckingam D, (2006), Media Education: alfabetizzazione, apprendimento e cultura contemporanea, Erickson

    Craggs E. C, (2006), Media Education nella scuola primaria, Morlacchi Editore

  • I rischi dei social network per le nuove generazioni

    rischi dei social network

    Negli articoli precedenti abbiamo parlato della grande diffusione e del grande utilizzo dei media da parte di tutti noi, anche dei bambini e degli adolescenti.

    Oggi le tecnologie fanno parte della nostra vita, a tal punto che non possiamo eliminarli: quello che possiamo fare, invece, è educare i bambini ad un loro utilizzo consapevole e critico.

    Per fare ciò occorre conoscere i rischi e i pericoli delle nuove tecnologie ed imparare a navigare coscientemente nella Rete, per non cadere nelle sue trappole.

    In questo articolo approfondiremo i cosiddetti social network, utilizzatissimi dai più giovani, per imparare a conoscerli ed utilizzarli nel modo giusto.

    La società della conoscenza

    Con questo termine ci riferiamo alla società contemporanea, quella attuale, che ha portato al superamento della precedente società dell’informazione.

    Parlare di società della conoscenza mette in risalto la possibilità degli individui non solo di accedere alle informazioni, ma anche di riorganizzare e ristrutturare la propria conoscenza.

    Significa proprio la capacità di dare un senso personale alle informazioni stesse per farle proprie ed elaborare, costruire, produrre e diffondere conoscenze nuove.

    La conoscenza diventa così il nuovo e più importante bene da possedere, produrre, acquisire e consumare.

    Tutto ciò è strettamente legato allo sviluppo e alla diffusione globale delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione.

    Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione

    Con tale definizione ci riferiamo a tutte quelle tecnologie che permettono la conservazione, la trasformazione e, soprattutto, la trasmissione delle informazioni attraverso i computer e la rete.

    Le cosiddette nuove tecnologie velocizzano e ottimizzano le modalità di comunicazione, e permettono l’accesso alle informazioni a milioni di individui che a loro volta possono ricevere e trasmettere conoscenza.

    Si possono consultare enormi quantità di dati senza limitazioni di tipo spazio-temporale.

    I processi di conoscenza diventano così di tipo reticolare e la fruizione dei saperi è aperta a gruppi allargati di persone.

    Hanno quindi un ruolo importante come strumento democratico che possa garantire a tutti il diritto alla conoscenza e all’informazione.

    Vivere nella rete

    Possiamo dire che siamo tutti gli abitanti della “Rete”, uno spazio che è un non luogo, perché non è uno spazio fisico, ma che allo stesso tempo è ovunque.

    Siamo compagni di viaggio, abitanti dello stesso luogo, secondo forme di socialità nuove, diverse da quelle sperimentata nella vita reale.

    Forme di socialità che però ci consentono di comunicare con sconosciuti, di condividere, di sentirci parte della stessa collettività.

    E’ un mondo, quello della Rete, che viene definito virtuale ma che è fatto di persone collegate tra loro.

    Un nodo, una persona: il suo punto di vista, i suoi pensieri, la sua visione del mondo, per costituire un’autobiografia intellettuale a disposizione di chi è interessato alla conoscenza e al confronto.

    I collegamenti tra un nodo e l’altro sono le relazioni tra le persone.

    E i collegamenti di un nodo rimandano ad altri nodi, in un reticolato di relazioni, di scambi, che virtualmente mettono in comunicazione un vastissimo numero di persone.

    Un reticolato che prende il nome di rete sociale o social network.

    I rischi dei social network

    Vediamo insieme quali sono i rischi, i pericoli, di questa realtà virtuale.

    Innanzitutto, quello di creare una realtà basata sull’apparenza, sull’immagine che, nella maggior parte dei casi, può non corrispondere alla realtà.

    Si creano, così, identità virtuali, immaginarie, false. 

    Sicuramente poi i social network vanno a ledere la nostra privacy, in quanto tutti sul web possono vedere tutto: immagini, video, informazioni personali, che possono poi essere usate contro di noi. 

    Essi sono infatti il luogo ideale per la diffusione del cyberbullismo in quanto le persone si sentono protette dall’anonimato e scrivono cattiverie e insulti senza riflettere sulle conseguenze.

    Le sfide educative

    La Rete ci consente di collaborare, condividere e lavorare in gruppo, considerando sempre la diversità come un valore aggiunto.

    Internet deve riportare gli individui verso una partecipazione attiva nella costruzione della società, della cultura, della politica.

    In tutto questo, l’educazione ha il compito di formare gli individui a “essere digitali” e non creare ulteriori divari digitali, enfatizzando la collaborazione e partecipazione di tutti.

    Innanzitutto, vi è la necessità di formare all’uso dei social network, ad un utilizzo critico e consapevole delle informazioni.

    Si tratta di educare a sapere:

    • Leggere nel modo corretto i contenuti, sapendo che essi son di natura collaborativa;
    • Valutare e comparare i diversi contenuti;
    • Cercare in modo critico.

    Ciò comporta una alfabetizzazione ad un uso consapevole, fornendo le competenze necessarie a comprendere e a utilizzare le informazioni e i contenuti fino ad arrivare ad una forma più produttiva.

    In secondo luogo, occorre formare alla produzione di contenuti, allo sviluppo delle capacità necessarie per partecipare attivamente al processo di utilizzo e produzione delle conoscenze.

    Si tratta, in questo caso, di educare a sapere:

    • Rappresentare ed esprimere le proprie idee;
    • Organizzare i contenuti, condividere e comunicare in modo critico;
    • Ragione per obiettivi e compiere sintesi del proprio pensiero, per creare contenuti innovativi;
    • Sollecitare una partecipazione attiva e una collaborazione responsabile che sia rispettosa del singolo.

    Infine, vi è la necessità di formare a diventare davvero parte della realtà virtuale, stimolando una produzione e un utilizzo creativo e soggettivo.

    Educare, dunque, all’abilità di sapere:

    • Essere flessibili nel proprio ruolo di utilizzatori e produttori;
    • Collaborare e condividere con gli altri le proprie competenze e conoscenze.

    Sono sfide molto importanti per l’educazione ma necessarie, o per meglio dire, inevitabili, in funzione della crescente diffusione dei media.

    In questo senso, noi proponiamo corsi di formazione rivolti a insegnanti e genitori: solo così, solo conoscendo e padroneggiando le nuove tecnologie, sarete in grado di educare i vostri figli e i vostri alunni ad un loro utilizzo critico e consapevole.

    Bibliografia

    Guerra L, (a cura di), (2010), Tecnologie dell’educazione e innovazione didattica, Edizioni Junior

  • La media education a scuola: buone pratiche e strategie didattiche

    media education a scuola

    Nell’articolo precedente abbiamo introdotto la Media Education a scuola in tutti i suoi aspetti teorici e formativi, spiegando la sua importanza e le sue peculiarità.

    Ora invece entriamo nel vivo dell’argomento fornendovi consigli, buone pratiche e strategie didattiche per proporre l’educazione ai media a scuola.

    Il fondamentale scopo della scuola è proprio quello di promuovere un ruolo attivo e un atteggiamento critico negli studenti e formarli anche alla competenza mediale.

    Per fare ciò occorre una progettazione mirata, competenze specifiche ed una conoscenza ampia dell’argomento da parte degli insegnanti, ma anche dei genitori, per garantire un’educazione parallela scuola-famiglia.

    Perché insegnare la Media Education a scuola

    Innanzitutto, per l’attuale consumo di media: i mezzi di comunicazione sono una parte fondamentale ed innegabile dell’ambiente culturale di ciascun individuo, compresi i bambini e gli adolescenti.

    Significativo non è soltanto il volume di saturazione prodotto dai media, ma anche il ruolo di queste influenze sociali nella comprensione del mondo e nella costruzione del senso d’identità.

    I bambini sono continuamente esposti ed influenzati dalle informazioni che ottengono dalle nuove tecnologie e ciò può portare a conseguenze molto negative, anche al cyberbullismo.

    Ciò che possiamo fare è incoraggiarli a decostruire i testi mediali per analizzare, indagare e giudicare i valori trasmessi, sia quelli manifesti sia quelli nascosti.

    In secondo luogo, perché l’approccio pedagogico della Media Education valorizza alcuni principi fondamentali per l’educazione, quali:

    • L’educazione alla cittadinanza e alla partecipazione attiva;
    • L’apprendimento centrato sul bambino;
    • L’imparare ad imparare;
    • L’apprendimento di tipo trasversale.

    Dunque, è un approccio non autoritario, orientato all’azione, basato sui processi, cooperativo e caratterizzato da un clima che consente di prendere decisioni su basi democratiche.

    Promuove un esercizio critico da parte del bambino ponendolo al centro del suo apprendimento, e non in una posizione subalterna.

    Favorisce la motivazione degli studenti attraverso un insegnamento significativo e piacevole, per stimolare la loro naturale curiosità e criticità, mettendo in discussione le loro conoscenze e credenze.

    Aiuta i bambini ad imparare a imparare, ovvero aiutarli ad indagare e riflettere e a pensare da soli.

    E’ un approccio che cerca di generare l’atteggiamento interrogativo, accompagnato dal dialogo e dal pensiero critico.

    Possiamo così affermare che la Media Education persegue le stesse finalità della scuola: formare cittadini autonomi, critici, democratici e responsabili.

    Per tutti questi motivi è così importante.

    Un curricolo di Media Education

    L’educazione ai media deve essere intesa come insegnamento di tipo trasversale, in quanto non vuole ottenere un posto a sé nel programma scolastico.

    I media possono, e devono, essere pensati come trasversali al programma, come elementi imprescindibili e come dimensione aggiuntiva, valorizzante e ispiratrice.

    In questo senso, l’educazione ai media dovrebbe essere inclusa come curricolo trasversale a tutte le discipline di insegnamento, per incrementare e migliorare l’insegnamento e l’educazione.

    Deve essere garantita agli studenti con sistematicità e continuità da insegnanti interessati e capaci, e non in modo estemporaneo, sporadico, nelle ore di laboratorio.

    Il passo da compiere, dunque, è quello di passare da una programmazione per singoli laboratori alla progettazione di un curricolo di Media Education, cosa che richiede uno sforzo di riflessione e progettazione.

    Per fare ciò occorre:

    • Riflettere su quali siano le competenze necessarie oggi per vivere da cittadini nel mondo dei media;
    • Pensare a quali attività educative siano necessarie per sviluppare tali competenze in maniera completa e organica;
    • Disporre tali attività in ordine logico lungo i diversi anni di scolarità, in modo che la competenza mediale vada di pari passo con la crescita e con le altre esperienze di apprendimento offerte dalla scuola.

    Così facendo sarà possibile accrescere la confidenza dei bambini con i linguaggi e le tecnologie dei media.

    Le buone pratiche dell’educazione ai media

    I percorsi di Media Education, intesi come l’esperienza di accompagnamento dei bambini all’incontro e alla scoperta dei media, richiedono una grande complicità tra pedagogisti, educatori, insegnanti e genitori.

    Per una concreta, positiva ed efficace realizzazione dei percorsi, è necessaria un’attenzione organizzativa e relazionale che ne permetta e ne agevoli l’attuazione.

    A questo fine vengono di seguito riportate alcune “buone pratiche“, ampiamente sperimentate e irrinunciabili, che potete utilizzare nella realizzazione dei vostri percorsi di insegnamento ai media a scuola.

    1. E’ una partita da giocare in squadra: deve costituirsi un gruppo docenti, in cui ognuno possiede un ruolo e competenze specifiche, dove regna la collaborazione e la condivisione per perseguire uno scopo comune;
    2. Il Dirigente Scolastico deve promuovere, agevolare e stimolare l’attuazione del curricolo di Media Education;
    3. E’ necessario definire chiaramente tempi e spazi per la realizzazione delle attività;
    4. Fondamentale è la documentazione dell’esperienza e la sua valutazione;
    5. Così come la condivisione con i genitori, per favorire una costruttiva collaborazione scuola-famiglia;
    6. E’ opportuno che gli studenti tengano un loro quaderno di Media Education, nel quale raccogliere tutti i materiali, le informazioni e le riflessioni, per raccogliere i saperi e le pratiche;
    7. Ogni percorso prevede un prodotto di comunicazione (cartaceo, filmico o digitale) che deve essere condiviso con la comunità scolastica: deve essere socializzato.

    Queste buone pratiche possono rivelarsi di grande utilità agli insegnanti che intendono avventurarsi in questo terreno.

    L’importante è avventurarsi convinti negli obiettivi, consapevoli dei contenuti, organizzati nelle pratiche, mantenendo vivo lo spirito di scoperta e di novità.

    Le strategie didattiche

    Una strategia didattica è l’applicazione di un insieme di azioni intenzionali, coerenti e coordinate, volte al raggiungimento di un obiettivo educativo.

    Non ha però soltanto l’obiettivo di raggiungere lo scopo prefissato, ma anche di farlo bene: deve cioè essere efficace per quella situazione specifica.

    Per quanto riguarda la Media Education, le strategie didattiche devono trovare un equilibrio tra pratiche trasmissive della conoscenza e forme di costruzione sociale dei messaggi del sapere.

    Nell’uso quotidiano i media sono spesso legati al gioco, al piacere, alla relazione sociale, pertanto è opportuno utilizzare metodologie che non trasgrediscano tali modelli.

    Di seguito, riportiamo le tecniche di insegnamento specifiche e applicabili all’educazione ai media.

    L’analisi del testo e del contenuto

    Sono tecniche molto utili per l’insegnamento dei media, in quanto è essenziale avviare gli studenti alla conoscenza dei media tramite l’analisi sia testuale che di contenuto, per sviluppare la conoscenza della grammatica mediale.

    L’analisi del contenuto implica l’analisi quantitativa di un numero ampio di materiali, utilizzando codici e categorie stabiliti; ad esempio misurando le proporzioni tra testo e immagini, o la quantità di spazio dedicata alla pubblicità nei giornali.

    L’analisi del testo, invece, implica una maggiore profondità, concentrandosi sui dettagli del singolo testo per comprendere e giudicare.

    Entrambe, per avere senso, devono essere applicate a testi reali in reali contesti.

    Il Case study

    E’ lo studio di un caso specifico, in cui gli studenti sono incoraggiati a condurre una ricerca approfondita su un argomento di loro scelta relativo ai media.

    Si può chiedere ai ragazzi di studiare il lancio di un programma televisivo o di una rivista di giornale, o una campagna pubblicitaria, raccogliendo tutte le informazioni necessarie allo studio.

    Questo approccio richiede che gli studenti sviluppino abilità come “ricercatori”, incentivando così il giudizio critico e la valutazione dell’affidabilità delle informazioni raccolte.

    La simulazione

    E’ una tecnica molto nota e molto utilizzata nell’insegnamento dei media, in cui la sfida e il gioco di ruolo agiscono sia sulla motivazione sia sulla conoscenza.

    La simulazione è proprio una forma di gioco di ruolo, una simulazione, facendo assumere agli studenti il ruolo di produttori, in modo ovviamente immaginario.

    Viene infatti presentata una serie di scelte da fare o di problemi da risolvere, incoraggiandoli a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni e decisioni, confrontandole anche con quelle degli altri gruppi all’interno della classe.

    Tale tecnica consente un approccio attivo e accessibile, garantendo l’esperienza diretta e concreta e la partecipazione personale.

    La produzione

    E’ l’aspetto centrale e indispensabile della Media Education, in quanto comporta l’uso pratico, coinvolgente e diretto delle tecnologie.

    Il lavoro pratico offre uno spazio in cui i ragazzi sono messi nelle condizioni di esplorare il proprio investimento emotivo nei media, e di rappresentare i propri interessi.

    L’attività di produzione ha un forte valore educativo, garantendo una comprensione chiara e critica del linguaggio mediale, così come una sistematica riflessione e autovalutazione.

    In questo senso noi possiamo aiutarvi: contattateci per avere maggiori informazioni su come educare i vostri studenti o i vostri figli all’educazione ai media.

    Bibliografia

    Masterman L, (1997), A scuola di media. Educazione, media e democrazia dell’Europa degli anni ’90, Editrice La Scuola

    Buckingam D, (2006), Media Education: alfabetizzazione, apprendimento e cultura contemporanea, Erickson

    Craggs E. C, (2006), Media Education nella scuola primaria, Morlacchi Editore

    Felini D, Trinchero R, (a cura di) (2015), Progettare la media education. Dall’idea all’azione, nella scuola e nei servizi educativi, FrancoAngeli

  • Un primo sguardo alla media education tra formazione e scuola

    media education tra formazione e scuola

    I nuovi media occupano gran parte del nostro tempo sociale e sono fortemente presenti, ed utilizzati, anche a scuola da bambini e adolescenti.

    Spesso e purtroppo, però, li utilizziamo in modo spropositato ed errato e ciò può avere gravi conseguenze per le persone e per la società.

    Ora più che mai è importante parlare delle nuove tecnologie: solo così sarà possibile conoscerle, comprenderle, per utilizzarle in modo consapevole, critico e cosciente.

    Ciò deve avvenire sia a scuola che in famiglia, allo stesso modo e nello stesso tempo, per educare i bambini e gli adolescenti alla cosiddetta Media Education.

    In questo articolo viene approfondita la Media Education tra formazione e scuola, offrendone un primo sguardo, un’introduzione, focalizzando l’attenzione sui suoi aspetti teorici.

    Perché educare ai media

    La grande diffusione dei media e del loro utilizzo, negli ultimi vent’anni, ha posto alla società attuale, una vera e propria emergenza pedagogica.

    Viviamo ormai da tempo in quella che possiamo chiamare era dell’immagine, dell’informazione, della comunicazione, della multimedialità.

    I media sono diventati parte integrante dei nostri processi di costruzione delle conoscenze, orientando i nostri comportamenti e mutando le tradizionali modalità di comunicare.

    Le nuove tecnologie permeano, nel bene o nel male, ogni aspetto della nostra vita quotidiana, modificando sempre più le dimensioni relazionali, familiari, professionali, scolastiche e del tempo libero.

    Ciò non implica naturalmente che sono onnipotenti, ma piuttosto che sono onnipresenti ed inevitabili.

    Dunque, siamo tutti consapevoli della loro presenza e del fatto che non possiamo eliminarli o smettere di utilizzarli.

    Ciò che possiamo fare è parlarne, conoscerli e “imparare a conviverci” utilizzando i media in modo educativo, critico e consapevole.

    Studiare e vedere le nuove tecnologie non tanto come qualcosa da cui proteggersi, ma piuttosto come un ambiente da frequentare e per il quale bisogna prepararsi adeguatamente.

    Tutto ciò anche per prevenire fenomeni di cyberbullismo, ormai troppo presenti nelle nostre scuole.

    Una possibile risposta a tutto ciò la possiamo trovare nella Media Education.

    Cosa è la Media Education

    Nasce come forma di educazione degli allievi, ad un uso critico e consapevole dei mezzi di comunicazione.

    E’ un ambito d’intervento educativo che punta a migliorare la conoscenza e la consapevolezza dei media negli individui.

    Possiamo definirla anche come un processo di insegnamento e apprendimento centrato sulle nuove tecnologie.

    Dunque, non è soltanto riferita ad un incremento della loro capacità di utilizzo, bensì ad un incremento della loro conoscenza e comprensione, in senso critico e consapevole.

    Ecco perché parliamo di Media Education tra formazione e scuola: per il forte collegamento all’ambiente formativo, proprio della scuola.

    I destinatari privilegiati sono senz’altro i minori, ma anche gli adulti, genitori, insegnanti, educatori, che a loro volta andranno ad educare le nuove generazioni.

    E’ possibile riferirsi alla Media Education in qualità di educazione con i media e educazione ai media.

    Educazione con i media: il contesto metodologico

    Di questa categoria fanno parte quelle attività in cui le tecnologie assumono il carattere strumentale di “supporti didattici”, ovvero come oggetti e linguaggi che facilitano l’azione di insegnare ed apprendere.

    Ad esempio, quando l’insegnante o l’educatore utilizza strumenti specifici, come il videoproiettore e le Lavagne Multimediali, per amplificare e supportare il proprio intervento.

    L’educazione con i media non ha come oggetto di apprendimento le tecnologie, ma le utilizza come strumenti utili per facilitare e promuovere l’apprendimento.

    Educazione ai media: il contesto critico

    Questo contesto si ha quando l’intervento educativo mira ad una comprensione dei media intesi come fenomeno complesso che include aspetti linguistici, sociali e psicologici.

    Le finalità principali sono la promozione di un ruolo attivo e di un atteggiamento critico in chi fruisce delle tecnologie.

    Qui i media sono posti come oggetto di studio privilegiato, in modo che ciò che si insegna e si apprende riguardi specificatamente il mondo della comunicazione.

    L’educazione ai media si concentra dunque sui contenuti: studiare e capire i modi con cui un telegiornale viene prodotto, capire come funziona la pubblicità, produrre e realizzare un cortometraggio, raccontare una storia.

    Le nuove tecnologie non solo vengono utilizzate, ma c’è uno sforzo di comprensione delle stesse che, in quanto oggetti culturali, fanno parte del nostro mondo e devono essere conosciute.

    I principi base della Media Education

    L’educazione ai media si basa sui seguenti concetti e principi fondamentali.

    1. Rappresentazione: i media, essendo sistemi simbolici, non riflettono la realtà ma la rappresentano;
    2. Investigazione: mira ad accrescere la comprensione da parte degli studenti dei modi in cui i media rappresentano la realtà, incoraggiandoli ad esplorare e ad esaminare le fonti e gli effetti;
    3. Lifelong learning: è un processo di apprendimento a lungo termine, che dura per tutta la vita;
    4. Motivazione, coinvolgimento e interesse: deve garantire un’esperienza divertente e appagante, stimolante, oltre che istruttiva, per non ridurre le sue potenzialità;
    5. Comprensione, consapevolezza e autonomia critica: deve stimolare la fiducia in se stessi, il giudizio critico, così come autonomia e comprensione;
    6. Utilizzo di temi di attualità per suscitare l’interesse e l’entusiasmo, illuminando le situazioni di vita quotidiana;
    7. Riflessione e dialogo nel rapporto tra docente e studente;
    8. Partecipazione attiva e democratica: incoraggia gli studenti ad assumersi maggiore responsabilità e controllo sul proprio apprendimento;
    9. Apprendimento cooperativo: preferisce il lavoro in gruppo;
    10. Cambiamento continuo della realtà circostante.

    Il media educator: ruolo e competenze

    Questa figura professionale, dotata di alte competenze specifiche, esiste e risulta necessaria nella società attuale.

    Quello che ancora manca è il riconoscimento istituzionale di una figura responsabile di interventi di educazione ai media.

    Occorre superare la prospettiva secondo la quale chiunque possa fare interventi di Media Education, per passare ad una nuova prospettiva in cui essa richieda una figura professionale specifica: il media educator.

    Egli è dotato sia di competenze specifiche di comprensione e fruizione dei media, sia di competenze formative:

    • Strategie didattiche specifiche;
    • Metodi di lettura dei contesti;
    • Competenze relative alla progettazione di interventi formativi;
    • Tecniche di gestione dell’aula e dei gruppi;
    • Competenze di supervisione e valutazione;
    • Conoscenza dei linguaggi e dei processi dei media;
    • Padronanza delle metodologie e delle pratiche didattiche.

    Dunque, una figura complessa, dotata di un ruolo preciso e di alte competenze specialistiche, che però necessita di un riconoscimento formale per essere presa sul serio all’interno dei contesti scolastici e formativi.

    Concludiamo così questa panoramica dell’educazione ai media, nella speranza che possa avervi stimolato l’interesse e la voglia di conoscere e comprendere le nuove tecnologie.

    Nel prossimo articolo affronteremo nello specifico le strategie didattiche e le buone pratiche per promuovere la Media Education a scuola.

    Bibliografia

    Masterman L, (1997), A scuola di media. Educazione, media e democrazia dell’Europa degli anni ’90, Editrice La Scuola

    Buckingam D, (2006), Media Education: alfabetizzazione, apprendimento e cultura contemporanea, Erickson

    Craggs E. C, (2006), Media Education nella scuola primaria, Morlacchi Editore

    Felini D, Trinchero R, (a cura di) (2015), Progettare la media education. Dall’idea all’azione, nella scuola e nei servizi educativi, FrancoAngeli

  • La violenza psicologica sui figli e le condotte lesive

    violenza psicologica sui figli

    Nei precedenti articoli abbiamo parlato di quali sono le forme e le conseguenze della violenza, approfondendo quella assistita e intrafamiliare.

    Essa è una particolare forma di violenza e di maltrattamento che avviene tra le mure domestiche e coinvolge l’intero nucleo familiare, anche i figli.

    Quando questi atti di violenza si svolgono all’interno della famiglia ed in presenza di minori, si parla di “violenza assistita”, una forma molto pericolosa per lo sviluppo del bambino.

    Può infatti essere la causa di gravi conseguenze emotive, cognitive e comportamentali, ma anche uno sviluppo e una crescita disfunzionali.

    In questo articolo affronteremo le cosiddette “condotte lesive”, ovvero le forme di violenza psicologica causata dai genitori nei confronti dei figli.

    Le condotte lesive

    La violenza psicologica, così come la violenza assistita, non prevede necessariamente azioni fisiche e dirette, bensì può riguardare anche azioni indirette.

    Rientrano infatti nei casi di violenza psicologica tutte quelle azioni e comportamenti che, indirettamente, hanno una influenza negativa e violenta sui figli.

    Questi casi, purtroppo, sono ancora nascosti e poco conosciuti, in quanto la violenza psicologica agisce nell’ombra e passa spesso inosservata, lasciando lo spazio solo alla violenza puramente fisica.

    Vediamoli insieme e iniziamo a conoscerli.

    PAS: la sindrome di alienazione parentale

    Con questo termine si intende una forma di violenza psicologica sui figli che coinvolge direttamente sia figli che genitori.

    E’ una dinamica psicologica disfunzionale che può avere effetti gravissimi: emotivi, comportamentali, di sviluppo e di crescita.

    Può avvenire in presenza di una coppia coniugata e convivente, ma anche e soprattutto in presenza di genitori separati, o in procinto di separarsi.

    Ricordate che nella maggior parte dei casi la PAS si verifica proprio nel momento in cui i genitori si stanno separando o si sono appena separati.

    Una situazione molto comune vede un genitore che vuole controllare il coniuge e l’intera situazione familiare, attraverso il figlio. E’ il caso di un padre violento che vuole controllare la madre.

    Si tratta di condotte e comportamenti manipolatori, che causano una vera e propria violenza psicologica sui figli.

    Il minore diventa, così, un mezzo di sfogo per genitori in conflitto: per un padre violento e manipolatorio, da un lato, e per una madre vittimizzata che cerca sostegno, dall’altro.

    Attenzione!

    In questa situazione, vostro figlio non riuscirà ad instaurare un legame significativo, reale e concreto con nessuno dei due genitori, perché non in grado di sostenerlo per un sereno ed equilibrato sviluppo.

    L’abbandono di minore

    Parlerò adesso di una fattispecie violenta nei confronti dei figli, di cui purtroppo sentiamo parlare, ogni tanto, anche dai media.

    Nell’articolo 591 del codice penale si fa riferimento all’abbandono di persone deboli: i minori e i soggetti incapaci.

    Tale condotta fa riferimento ad un’azione o ad un’omissione a carico dei soggetti che devono avere cura e garantire protezione dei cosiddetti soggetti deboli.

    Per poter parlare di abbandono, da questa omissione deve derivare uno stato di pericolo, anche potenziale, che necessita di essere dimostrato.

    L’abbandono non è dunque una violenza fisica, ma è una trascuratezza che rientra nelle forme di violenza psicologica.

    Il termine trascuratezza fa riferimento ad una inadeguata attenzione da parte delle figure genitoriali nei confronti dei bisogni evolutivi e delle necessità del bambino.

    E‘ quindi una particolare forma di maltrattamento e di abuso.

    A sostegno di ciò troviamo diverse Sentenze della Cassazione che, nei doveri genitoriali, annoverano quello di “essere presenti” per i propri figli.

    Importante sottolineare che l’articolo 591 del codice penale è strettamente in correlazione con i maltrattamenti sui minori.

    L’iperprotezione

    Con iperprotezione si intende un eccesso di cure, di protezione, di paure e di ansie da parte del genitore verso i figli: è proprio il contrario della trascuratezza!

    Non è un reato, bensì è una errata modalità educativa, che può  portare a gravi conseguenze per lo sviluppo del minore.

    E’ generalmente la madre, il genitore più iperprotettivo, prima figura di rifermento per il piccolo.

    I genitori che crescono i figli (dis-educano, possiamo dire) usando una educazione di questo tipo, sono generalmente genitori spaventati, ansiosi a loro volta, chiusi, critici e autoreferenziali.

    E’ una modalità educativa che può includere fare regali costosi, promettere di diventare come la mamma da grandi, bandire attività più libere o vacanze a contatto con molta gente.

    Il bambino così cresce con un eccesso di ansie, preoccupazioni e paure nei confronti del mondo esterno e degli altri, da non permettergli una corretta crescita psico-fisica.

    L’eccesso di accudimento e di attenzioni comporta un isolamento del minore dalle attività scolastiche e ricreative, impedendo i rapporti sociali con i coetanei.

    Così facendo vengono violati i diritti del bambini, causando una vera e proprio violenza psicologica sui figli.

    La violenza psicologica e il reato di maltrattamento

    La violenza psicologica è punibile dalla legge perché rientra nell’articolo 572 del codice penale “Maltrattamenti contro familiari o conviventi”.

    Il reato di maltrattamenti si configura quando ci sono comportamenti vessatori, che coinvolgono anche indirettamente i figli, come involontari spettatori delle liti tra i genitori.

    Non prevede dunque necessariamente azioni fisiche dirette sui figli, ma offende ugualmente l’interesse del minore, in quanto lo costringe ad essere presente e testimone di queste manifestazioni violente.

    A conferma di ciò cito la Sentenza n. 1833 del 2018, che inserisce la violenza assistita indirettamente dai figli, nel reato di maltrattamenti.

    Il caso di Riccardo

    Riportiamo ora un caso realmente accaduto, il caso di Riccardo, un adolescente il cui nome è naturalmente fittizio, per farvi capire in che modo la violenza assistita rientra nei reati di maltrattamenti.

    I genitori di Riccardo non vanno più d’accordo, litigano sempre più spesso, anche davanti al figlio.

    Il padre, violento, aggredisce verbalmente la madre, spaventata e silenziosa.

    Riccardo assiste a tutto ciò. Spesso è costretto a chiudersi nella sua camera o ascoltare la musica ad alto volume per non sentire.

    Nonostante ciò non manifesta particolari segnali di disagio, palesi, se non alcune forme di “imbarazzo”, come verrà riferito poi in sede di giudizio.

    Il clima in casa è ormai irrespirabile, colmo di violenza, paura e tensione, ma i genitori, non rendendosi conto del problema, e di quanto Riccardo stia soffrendo, continuano a litigare.

    A seguito di una denuncia, i genitori vengono imputati del reato di maltrattamento sul figlio, per averlo costretto ad assistere alle reiterate manifestazioni di conflittualità e ripetuti episodi di violenza psicologica.

    E’ emerso che la condotta del genitore ha causato disprezzo, offesa alla dignità e sofferenza morale del figlio minore.

    Il figlio ha dovuto vivere in una famiglia, anche se per un lasso di tempo limitato, nella quale regnava timore, paura e supremazia.

    Il tempo non ha importanza, anche se è stato limitato ha comunque provocato una grave sofferenza nel figlio.

    Quando e come fare causa a un genitore

    E’ consentito fare causa a un genitore. o ad entrambi, quando viene a mancare la responsabilità genitoriale.

    Quando cioè non vengono rispettati i doveri genitoriali, espressi dall’articolo 315 bis del codice civile.

    Secondo questo articolo, “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacita’, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.

    I principali motivi di cause civili contro i genitori sono i seguenti:

    • Non adempiere all’obbligo di mantenimento dei figlio, anche se maggiorenne;
    • Interferire nelle scelte del figlio, costringendolo a fare qualcosa contro la sua volontà, non rispettando le sue inclinazioni naturali e aspirazioni.
    • Impedire al figlio di frequentare la scuola e di ottenere un’educazione adeguata.

    Il procedimento giudiziario può essere attivato dal Giudice Tutelare, su richiesta da parte degli assistenti sociali o di coloro che assistono a tali violazioni.

    Il Giudice deve accertare che la segnalazione dica il vero, analizzando la situazione della famiglia, sentendo i genitori, ascoltando il minore, sempre sopra i 12 anni di età.

    Se la situazione riscontrata è grave, può prendere provvedimenti urgenti.

    Il Tribunale dei Minori può predisporre l’affidamento temporaneo ai servizi sociali, in attesa della sentenza, e prevedere il decadimento della capacità genitoriale e l’allontanamento definitivo del minore dalla famiglia violenta.

    Ciò non deve, o perlomeno non dovrebbe succedere, fino a quando non si ha la certezza assoluta che i genitori stanno commettendo un reato nei confronti dei figli.

    Allontanare un minore dalla propria famiglia, anche se per poco tempo, è sempre un evento traumatico, e deve essere fatto accertando e comprendendo bene la situazione.

    In questo senso, noi ci occupiamo di segnalare una eventuale situazione di disagio, ma sempre e solo dopo aver accertato le dinamiche e fatto le opportune verifiche, contattando chi di competenza, dopo avere compreso ed ascoltato i genitori.

    Contattateci, possiamo aiutarvi a ritrovare la vostra armonia familiare e superare situazioni di disagio.

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